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COME ERAVAMO - Anni '50 e '60 a Soverato di Franco Cervadoro |
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I Salesiani, che nostalgia… e quanti aneddoti
di Michele Repice Lentini
Santissimo Franco Cervadoro, tu mi istighi a raccontare le antiche gesta di intrepidi allievi che andavano “a li Prèvati”. Quante ne abbiamo combinate in quegli otto anni bellissimi, ci vorrebbe un romanzo. Ma se ne raccontassi alcune, tornerebbe De Magistris ad indagarmi… Dalla prima Media al terzo Liceo, passando per due anni di Ginnasio, la mia è stata una classe di fuoriclasse: su ventisette allievi, ben dieci diplomati col massimo dei voti, e i restanti 17 appena un paio di voti in meno! E’ stato un privilegio l’aver studiato dai Salesiani: un metodo di studio eccellente, docenti eccezionali che hanno fatto la storia dell’Istituto, e che tra noi chiamavamo senza il “Don”: Mariani (Latino, Greco e Storia dell’Arte), Casalino (Matematica), Mandia (Storia e Filosofia), Don Volta alle Medie (Disegno e Scienze), e poi il pittoresco prefetto “Popònzio”, e scusate se non cito gli altri. Nello stesso cortile eravamo in tanti e giocavamo due partite in contemporanea, con 2 palloni (uno bianco e l’altro marrone) divisi per quattro squadre. I professori non si azzardavano ad attraversarlo, col rischio di beccarsi qualche pallonata… involontaria (?), s’intende! Come involontari erano i vetri rotti delle finestre, finchè non ce li fecero pagare di tasca! Allora, come d’incanto, raddrizzammo la mira. Durante la lezione in tre o quattro con la scusa di andare al bagno, ci infilavamo nell’orto dei Salesiani a ingozzarci di arance e mandarini. Durante l’intervallo, mentre Don Alcaro vendeva merendine dietro la finestra a sbarre, qualche temerario gli sfilava sotto il naso qualche barretta di cioccolata… qualche volta non gli saranno tornati i conti, a quel buon uomo. Ogni mattina Don Mariani ci radunava in chiesa per le preghiere, ed al suo “Sia lodato e ringraziato ogni momento…” alcuni rispondevano con una rima del tipo “… tormento” (in realtà la parola era più spinta, ma De Magistris incombe…) Gli interni erano le nostre vittime predestinate: costretti a rimanere reclusi, noi esterni gli passavamo davanti parlando a voce alta di ragazze e di gite in macchina fuori Soverato… che sadici. Marachelle di gioventù, mica reati penali… ma sempre col sacro rispetto per i nostri Padri Salesiani. Ogni professore, poi, era a suo modo unico. DON MARIANI: mitico, se oggi traduco il latino senza vocabolario lo devo a lui. Ci faceva scomporre coi numeretti le frasi da tradurre, e da lì ho imparato a scomporre anche i problemi della vita. Ci ammoniva a non copiare durante i compiti in classe: “Io vi vedo”, si vantava, e noi capimmo che il modo migliore per passarci i compiti era quello di farglieli scorrere sotto in naso con noncuranza. Io ero tra quelli che passavano le versioni. Una volta ci beccarono con la stessa traduzione, e ci annullarono il voto. Dopo di allora, quando le passavo, ci mettevo già dentro un paio di errori per non farci sgamare. Don Mariani interrogava i volontari anche fuori lezione, passeggiando sotto il portico come i “peripatetici” di Aristotele, e la tensione si scioglieva in una chiacchierata amichevole. Ci consigliava di non frequentare le ragazze della piazzetta, che lui chiamava “le piccole Veneri”, ma ovviamente parlava ai sordi. Poi, finito l’anno scolastico, a luglio montava sul suo leggendario vespone e se ne andava in giro per l’Italia. DON CASALINO: un gigante buono, dal portamento lento ed imponente, amante della buona tavola, un genio dei numeri, riusciva a farti capire i problemi più difficili. Un giorno, sconsolato, disse ad un nostro compagno, con la sua incomparabile “erre moscia”: … tu e la matematica siete come due rette parallele: non vi incontrerete mai! Un’ altra volta entrando in classe vide volare un rotolo di carta appena lanciato da uno di noi: ne seguì la traiettoria, senza dire nulla. Ma invece di spiegare le equazioni previste, cominciò a scrivere sulla lavagna alcune formule di balistica: dopo cinque minuti aveva calcolato quella traiettoria, individuò l’autore del lancio e con la sua flemma bonaria lo mandò fuori aula, lasciandoci tutti a bocca aperta! DON MANDIA: forse il mio preferito, mi ha insegnato a ragionare, uomo di intelligenza sopraffina ed intrigante che stimolava il confronto. Diceva sempre che la storia è come una ruota, perché gli uomini fanno sempre gli stessi errori, e ci dimostrava che gli eventi si ripetevano ciclicamente con uomini diversi, saltando da Giulio Cesare a Mussolini, da Hitler a Cavour. Ma mi ha trasmesso soprattutto la grande passione per la filosofia che - diceva - non è una cosa fuori dal mondo, ma “te la ritrovi nella minestra”. Verissimo. Sapeva applicare i concetti dei filosofi (Platone, Aristotele, fino al suo amato Kant..) portando come esempi le pubblicità della tivù, e noi rimanevamo stupiti di come un pensiero metafisico potesse essere così reale e concreto. Ancora oggi guardando le molte pubblicità ingannevoli ripenso a lui che direbbe: “Ma chi vuoi fare fesso?” DON VOLTA: mi ha insegnato a disegnare, a fare le sfumature dei volti, in un grande laboratorio con le pareti tutte coperte dai migliori disegni degli alunni: avere un disegno appeso lì era come vincere Wimbledon giocando a tennis. Su ogni disegno metteva una sfilza di voti, scalando dal dieci al sette, ma non ho mai capito perché. Usava farsi un piccolo manganello di 20 centimetri tagliando i manici di scopa, più che altro per intimorirci. Una volta però, con precisione millimetrica, lo lanciò dalla cattedra sul banco di un allievo distratto, facendolo sobbalzare dallo spavento, tra le risate generali. Allora era normale, oggi passerebbe un guaio… ma nessuno di noi si sarebbe sognato di lamentarsi. Altri tempi, ma anche altra tempra di ragazzi! Il resto, forse, ad una prossima puntata… |
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