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Il Pane di Giuda

   


Il pomeriggio del sabato santo, 30 marzo 2013, mi sono ritrovata nel piazzale della Chiesa matrice “santa Maria del Monte” di San Sostene Superiore. Un paesino della nostra terra, “sicuramente arretrato” si penserà, senza sapere che invece può vantare, come sua cittadina, il primo sindaco donna dell’Italia Meridionale, Virginia Cundari. Intraprendenza testimoniata anche quest’anno. Sono stati, infatti, proprio gli abitanti stessi di San Sostene a chiedere la realizzazione di un lavoro teatrale sulla Passione di Cristo a due dei nostri concittadini, Tonino Pittelli e Ulderico Nisticò, i quali hanno accettato con entusiasmo. E’ un segnale positivo costatare che esistano realtà che, seppur piccole, sentano invece la voglia e l’interesse di mettersi alla prova e di crescere, questo anche grazie al supporto delle autorità locali, in particolare, della pro loco del dott. Palaia e del sindaco di San Sostene, Patrizia Linda Cecaro. Prima ancora che iniziasse lo spettacolo, scorsi, tra i personaggi, due sacerdoti con la classica tunica nera e il colletto bianco, i quali attirarono immediatamente la mia attenzione. “Perché quei vestiti? Non si addicono al periodo storico in cui visse Gesù!”. Scoprì solo più tardi il motivo di quell’abbigliamento e di quel titolo, Il Pane di Giuda. La scena si apre con un vagabondo, vittima delle perfidi Erinni vendicatrici. Pensai subito: “Quest’uomo deve aver commesso un orrendo peccato!”. Subentrano poi i due ecclesiastici accennati all’inizio, uno dei quali decide di ascoltare e di recare conforto al pover’uomo e così si siedono dietro una tela e, con il loro discutere, dipingono la storia. Il nomade parla di una figura molto cara al sacerdote, Gesù. Alla fine lo sconosciuto rivela il suo nome, quel nome: Giuda Iscariota! E’ lui, il traditore! Egli, così come l’anziano marinaio di Coleridge, il quale con l’uccisione dell’albatro ha rotto il legame con Dio, anch’egli è costretto ad errare e a raccontare quello che ha visto ai posteri, a portare quel fardello per l’eternità perché non può morire, non senza la pace con Dio. Giuda però, a differenza del marinaio dal vitreo occhio, può liberarsi, confessando al sacerdote il suo pentimento, riallacciando così il rapporto con Dio, il quale in realtà lo ha già perdonato. Giuda si riscatta quindi e mangia quel pane, lo stesso pane che, secoli prima, durante l’ultima cena, aveva regalato al Demonio, nonostante Gesù avesse detto: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Vangelo: Gv 6, 51). Alla resurrezione di Giuda, segue quella di Gesù, il quale ha bisogno di ogni uomo, anche del pentimento del suo traditore. Interessante e originale la tecnica narrativa scelta. La storia, il contenuto della Passione non sarebbe potuto essere stato diverso, l’importante, infatti, è il modo in cui viene trattato un argomento e le guide di questo progetto, l’autore Ulderico Nisticò e il regista Tonino Pittelli , hanno avuto la capacità di rendere la rappresentazione del tutto originale. Toccante anche il messaggio: quest’uomo, che sembra aver commesso il più grande dei peccati, dopo così tanto tempo può ancora redimersi. D’altra parte un Dio, un uomo, ricco di misericordia, al punto da commuovere, più umile dei veri uomini, i quali invece condannano con incoerenza e presunzione, i quali, pur avendo peccato, sono sempre pronti a scagliare la prima pietra, verso gli altri però. Gesù concede nuovamente un’altra possibilità, alla Maddalena, alla quale dice: “Neppure io ti condanno; va' e d’ora in poi non peccare più!” (Vangelo: Gv 8, 11), al centurione, ai suoi stessi uccisori, per i quali pronuncia le seguenti parole, parlando da Dio, ma soffrendo in croce come un uomo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Vangelo: Lc 23, 34).

 Francesca Mancuso

   
   


 


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