SOVERATO WEB - HOME PAGE Diario di un Soveratese a Milano

Articoli di Cesare Cundari

12 SETTEMBRE 2003

     Carissimi amici di SOVERATO WEB, teoricamente non avrei tempo, oggi, per scrivere quanto stò scrivendo ma mi è appena arrivata una e-mail di una carissima amica che, anche lei, lontana, e non certo per vocazione, dalla ns. terra, dopo aver letto il mio diario si è riconosciuta nei sentimenti che animano quello che ho scritto prima delle ferie agostane. Allora ho deciso di mettere da parte quanto stavo facendo per dedicarmi a qualcosa che se non riempie lo stomaco di certo accarezza lo spirito: scrivere di me, della mia terra, di noi!

Ai viaggi di ritorno non si fa mai l’abitudine, il crampo allo stomaco quando si attraversa col treno dell’obbligo la stazione ferroviaria del paese che lasci è una sensazione di cui farei volentieri a meno. Ma l’organismo non segue la volontà e il crampo resta.

Prendo il treno 35682 da Soverato ed è già, come sempre, colmo all’inverosimile. Stessa storia di sempre, stesse legittime ma vacue lagnazioni: “potrebbero mettere più treni”, “dovrebbero impedire la salita in carrozza a chi è senza prenotazione”, “e poi fanno la pubblicità di Trenitalia”, “i biglietti aumentano ma il servizio fa sempre schifo” ecc…,ecc….  . Non ho soluzioni per questo atavico dramma nazionalpopolare! E voi?

 Prima della mia partenza da Milano (già da diversi giorni prima a Milano c’era solo il mio orpello carnale) avevo pensato a questo articolo. Sarebbe dovuto essere una specie di nostalgico resoconto della mia vacanza. Che, detto per inciso, non è andata benissimo complice qualche problemino di salute! Poco mare, pochissimo sole, nessuna notte “pazza”!

Soverato poi l’ho visto poco e i mie propositi di un salotto “intellettuale” al San Domenico col ns. webmaster sono stati rinviati, con rammarico, a data da destinarsi. Non è mancata la capatina al Gange dei poveri: un saluto a Mimmo, una, forse due birre, niente di più! In compenso ho rivisto qualche caro amico e nelle poche occasioni ho goduto di uno strepitoso mare e di un caldissimo sole col quale in verità non sono mai andato tanto d’accordo! Nessun falò ad attendere l’alba anche se per godersi il sole che s’alza invece di aspettarlo per una intera notte ci si può alzare presto. E Così ho fatto per un paio di giorni; la passeggiata da casa mia fino al centro a prendere insieme al caffè il quotidiano presso l’edicolante di fiducia ti riempie di una sensazione di pace e libertà che non credo abbia uguali in tutte le mille faccende in cui di solito siamo affaccendati! Le vacanze durano sempre un attimo e l’ultimo giorno vorresti sempre fare tutto quanto non hai fatto nei quindici precedenti!

Quello che non è mancato è stato uno anzi due splendidi bagni a Soverato intorno alle 19.00 e qualche buon panino presso la mitica “Donna Lina” che pochi di Voi conosceranno ma che vale la pena di conoscere anche solo per rendersi conto dell’abissale differenza che corre tra il panino della pausa pranzo milanese e il filone pomeridiano azzannato dominando con lo sguardo le insenature di Caminia!

Passeggiando sull’inesistente lungomare di Montepaone Lido con un amico milanese di Gasperina ho potuto apprezzare la lodevole e impegnativa non curanza che alcuni amministratori hanno per le ns. coste e per i luoghi limitrofi alle spiagge. Non e’ tanto una questione di disordine o di menefreghismo ignorante quanto, a mio parere, una assoluta mancanza dell’idea del bello, dell’armonico. Non credo sia necessario lastricare tutto di cotto fiorentino ma estirpare qualche erbaccia, sistemare qualche aiuola ripiantare qualche pianta che non faccia a pugni con il ns. bel clima mediterraneo non dovrebbe richiedere per forza l’intervento di Renzo Piano! Vabbè mi dico e tiro avanti.

Vi risparmio la descrizione del viaggio in treno visto che molti di noi potrebbero, forse meglio di me, testimoniare del disagio e dell’inumanità dei carrozzoni plebei che conducono noialtri verso l’opulento e ricchissimo nord!

Torno a Milano con la convinzione di cui non voglio prendere atto che qui, tra queste facce multirazziali, tra i fumi di scarico di mille auto, tra la vorticosa vuotezza della ricerca di un destino qualsiasi, che qui è il mio futuro prossimo venturo e, forse, quello prossimo a venire. E mentre penso questi pensieri mi accorgo di quanto sia ormai normale e consueto attraversare quelle strade, prendere quel caffè in quel bar in quella piazza, imboccare quella tangenziale, arrivare in quell’ufficio, tornare alla sera in quella casa in quel paese in periferia che ricorda quanto sia grande questa Milano bevuta.

Abitudine. L’uomo è il più adattabile degli esseri viventi e fa presto (più o meno) ad abituarsi alla nuova realtà in cui si immerge! Milano è la mia città, quella definitiva, quella dove ci si ritira fino alla vecchiaia? Maah! Di sicuro Milano mi è lontana almeno quanto a chi vive a Roma! Milano io la dribblo, ci passo sotto, di lato ma non la vedo. Come molti che vivono fuori Milano e lavorano fuori Milano: dall’altra parte spesso. Milano e’ una città di una normalità planetaria, come tutte le città del mondo, come tutte le metropoli di questo nostro tempo col cambio automatico.

Mi sono arrivate e-mail di gente che mi chiede se Milano, insomma, mi piace o no. E se si perché sto sempre li a criticare. E se no perché non volto le spalle al duomo e tiro avanti? (i cazzi vs. no?!).

Non ho risposte. Non mi curo poi tanto di indagare i mali o i beni della città meneghina. Ci sono capitato e ci vivo come avrei vissuto se fossi capitato a Terni o a paulonia, a sbologno o a Firenze.

QUI MILANO: ANCHE A META’ AGOSTO

      Ma voi non credete che bisogna proprio essere dotati di fede nella Madonna per sopportare anche solo l’idea che un calabrese doc, per di più di uno dei posti più suggestivi delle nostre coste debba starsene al 10 di Agosto in quel di Milano, tra piazza Cadorna e Trezzano sul Naviglio. E non credete che questa povera persona abbia un posto quasi assicurato al fianco di Pietro tra un caffè Lavazza e un altro! E non pensate voi che se questo poveraccio si trova ogni giorno e-mails di amici che gli dicono di un mare strepitoso e di serate indimenticabili abbia quasi del tutto spianata la strada del martirio? E se poi il ns. webmaster inserisce le foto della celeberrima festa sacra della “Madonna a Mare” (è questo il primo anno che io e la mia dolce metà non siamo allo “Squalo”) non sembra evidentissimo segno dei favori di cui il sottoscritto gode nelle altissime sfere, favori che naturalmente non sulla terra godrà ma nel mondo eterno, a venire?

Io credo di no. Credo che il sudore di questi giorni non sia prova di particolare merito per Nostro Signore quando si troverà a fare due conti sulla mia persona. Ma allora che ci faccio qua, dove l’umidità si taglia a fette mentre amici e parenti mi parlano di una estate che qui sembra qualcosa di remoto e lontana a venire? Mah……misteri della fede!

In questi giorni ho sperimentato sulla mia pelle che l’estate non la si nota tanto dal caldo quanto dal mare (dalla sua mancanza), dalla spiaggia (dalla sua assenza), dai seni al vento delle bagnanti (miraggio!) e dal tirare tardi con gli amici di sempre e con quelli ogni estate nuovi! Ma qui c’è solo il terribile caldo e del resto niente. Uno potrebbe dire: sogna…..sogna! E io gli risponderei magari…e chi riesce a dormire quando la media notturna è di 27°. dormire è già un sogno. Insomma un agonia che io sopporto con stoica nonchalance.

Siccome poi, il buon Dio vuole saggiare seriamente le mie intenzioni, la mia purezza d’animo mi ha regalato una strana infezione alle vie respiratorie dovuta all’abbondante uso dei condizionatori, perennemente accesi a casa, in macchina, in ufficio. Ergo devo fare a meno dell’aria condizionata. E si, perché la prova deve essere dura, e la privazione del corpo è segno di grandissimo merito presso l’Altissimo.

Stare in un ufficio caldo come un ufficio senza aria condizionata ad agosto ti da modo di immergerti in pensieri pericolosi, autolesionisti. Per fortuna che sono interista e sono temprato contro la sofferenza!

La mole di lavoro agostana è assai limitata ma quel poco va fatto ed io qua sono per questo. Per fortuna, occupandomi di personale, so di dipendenti che in ferie non andranno proprio o meglio -o peggio ancora- di gente che dalle ferie e già tornata. Io mi consolo pensando al giorno in cui io partirò e farò il gesto dell’ombrello a chi è in vece appena rientrato.

La sofferenza incattivisce! 

Però, sarà l’istinto di autoconservazione, ma mi rincuoro elaborando pensieri privati che rendono meno insopportabile la permanenza a Milano. Penso ad esempio a quello modo strano di sentirmi ogni volta che, arrivando l’estate, mi preparo a scendere giù in vacanza nella mia adorata Montepaone Lido che amo indipendentemente dal colore dell’amministrazione comunale, anzi malgrado quella!

Ciò che mi suona strano è sentirmi turista in patria. Villeggiante tra villeggianti. Appartenente cioè ad una categoria sociologica che in passato, specie durante l’adolescenza quando ancora non avevo sentore di quello che il destino stava preparando per me, non amavo particolarmente. Anzi quasi come quel leghista che ha dato di matto contro i turisti tedeschi provocando la cancellazione delle vacanze italiane del cancelliere teutonico (siamo tutti molto preoccupati) anch’io vedevo i turisti come usurpatori di una terra che consideravo alla stregua di mia proprietà privata, inquinatori di un mare che credevo avessero fatto blu solo per i miei occhi e per quello degli abitanti del mio paese.

Come tutti sappiamo bene le nostre zone cambiano, si trasformano come il giorno e la notte nel giro di pochissimi giorni a cavallo tra Luglio e Agosto. Purtroppo, credo tutt’ora, la capacità recettiva delle zone turistiche della nostra terra resta assai limitata nel tempo. Da un po si parla di allungare la stagione turistica, offrendo agli utenti estivi la possibilità di usufruire delle nostre bellezze per un periodo che va da Aprile/Maggio a Ottobre. Come avviene nella costiera romagnola, in Liguria, in Toscana. Immagino si siano resi conto (chi di dovere) che non devono aspettarsi un allungamento dei giorni del calendario che sempre quelli rimangono ma un allungamento del loro “darsi da fare per questo”. Abbiamo tutte le caratteristiche climatologiche per farlo, la natura ci è venuta in soccorso, speriamo che il creatore e regolatore di tutto questo illumini le menti dei nostri amministratori e venga in soccorso delle loro fino ad ora assi ridotte capacità di vedute!

Dicevo che come il giorno e la notte i nostri paesi di colpo si svegliano scoprendosi luoghi affollati, strade caotiche e trafficate, bar pieni di cornetti e granite d’orzata, spiagge una volta libere e adesso caricature dell’ordine bagnarolo della romagna stracolme di teli da mare, pattìni ecc… ecc… .

Tutto in una notte! Dalla quiete alla tempesta!

La via Marina, luogo di scorribande in bicicletta e di corse contro cani randagi diventa di colpo a senso unico. Macchine parcheggiate non come se fossero su una strada pubblica ma in un cortile privato. E’ estate si dice. E va bè!

Quello che non sopportavo avendo ancora una visione abbastanza miope della ricchezza costituita dal turismo era l’atteggiamento di chi prendeva il mio paese per il luogo delle sue vacanze dimenticando che prima del suo arrivo noi altri eravamo la già da 11 mesi. Avevano le case di proprietà e guardavano al “mio” paese come al parco delle loro ville! Non è certo odio di classe, ci mancherebbe, anche perché i turisti di cui parlo sono turisti in un senso molto lato del termine. Impiegati pubblici dei mille uffici del capoluogo per lo più o emigranti che tornavano dai familiari. Tutti con rispettiva casa di proprietà e tutti partecipi dello scempio edilizio condonato anche nello spazio riservato all’indignazione!

Io naturalmente non capivo tutto quel sentirsi “in vacanza”, io che i primi bagni a mare li facevo ad Aprile e a fine Luglio ero già stanco! Io che avevo una casa per le vacanze estive che era la stessa di quella delle vacanze di Natale e di Pasqua, di carnevale e di sempre! Io che dicevo: “sono arrivati a rompere i coglioni, a rovinare la pace, a pisciare nel mio mare”!

Il massimo della non sopportazione era il milanese con macchina nuova e accento che sembrava lombardo solo a chi non parlava bene nemmeno l’italiano. Il milanese, pensavo, che aveva fatto i soldi e che ora viene qua a fare il nababbo. La macchina non era mai una utilitaria ma sempre una berlina, la macchina forse non era nemmeno sua e forse, avendola presa a rate, la sta ancora pagando! Sempre meglio delle macchine con la famigerata targa ZH che riconoscevi dall’ immancabile coppia di cani messi dietro, quelli che muovevano la testolina ricordate si! E in mancanza di altri indizi c’erano gli orrendi sedili leopardati e il cornetto attaccato allo specchietto. Dulcis in fundo per gli amanti del revival l’adesivo con l’asso di bastoni: a li mortacci…….!

C’erano i figli dei milanesi, i ragazzini della mia età con cui si finiva sempre per fare amicizia. Si vedeva che venivano dalla città: vestivano meglio, avevano sempre i soldi per il gelato e per i neoarrivati videogiochi, stavano tutto il giorno a mare e pranzavano al Lido. Mami, Mami mi compri il gelato…………via con le 500 lire (che erano soldi).

Mamma, anzi mammà, mammà mu catti u gelatu?……… Stasera, rispondeva la mia. Aggiungendo: sei fai il bravo!

Tra pochi giorni il milanese in vacanza sarò io che di milanese non spiccico una parola e che invece della macchina spero di trovare una cuccetta sull’espresso della dignità. Arriverò a casa dei miei genitori e subito mi sembrerà di non averla mai lasciata. Mi recherò in piazza a offrire da bere a tutti i miei amici aspettando il loro turno…come è sempre successo con o senza Milano, come è sempre successo con o senza quattrini!

E un giorno, forse, vi scenderò con mio figlio, che ahimè se nascesse qua un po’ di milanese sarà pure costretto a parlarlo. Ma io sarò ogni sera al suo capezzale non a recitargli Biancaneve e Cappuccetto rosso ma a fargli ripetere i mille termini della mia lingua natale (sua mamma permettendo) perché un figlio che parli sempre e solo il milanese proprio non me lo merito!

E forse sono vagiti di un calabrese che deve pur farsi una ragione della piega che ha preso la sua vita. Se proprio devo essere sincero e dirla tutta a me delle mie parti non mi manca niente, ho maturato una tale consapevolezza della nientità delle cose che……….chi sene frega! E poi, come si dice: giù è bella l’estate ma d’inverno è un mortorio riconosciuto da vari attestati.

Balle, balle e ancora balle. Giu’ non c’ è granchè? Echissenefrega non ce lo aggiungiamo. Giù c’è giù, è una questione di radici, d’identità, è una questione che non mette in conto quello che si fa e non si fa ma quello che si è e che altrove non si può essere appieno! Perché se io fossi nato in un qualsiasi paese del mondo probabilmente amerei questo paese di un amore irrazionale, indicibile. E Dio ha voluto che nascessi in quel di Montepaone Lido e io, reazionario senza patria, non ho altre radici che quelle affossanti  in quello strano posto! Vedete, io sarei un pessimo sindaco del mio paese e un pessimo consigliere politico perché non farei nulla per il mio paese. Me ne andrei in giro in bici a guardare e a sentire tutto quello che quei posti ogni volta mi dicono. Per fare i sindaci bisogna amare la politica o se stessi: io amo il mio paese!

Le mie vacanze li passerò lì dove sono nato e dove è stata gran parte della mia vita. Li passerò con la consapevolezza che prima era diverso. Non comprendevo l’opportunità offerta dal turismo ma vivevo quella mia terra che ora posso solo raccontare.

 

Alla prossima

cundari.cesar@libero.it

BEN FATTO E COMPETENTE

"Vedo chiaramente nell'eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l'altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere. Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù… Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m'importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge"

Ho trovato ben scritto e in modo competente l’articolo dell’amica americana. Forse mi ha un po’ sorpreso lo stupore di chi pure vive in America e che della cultura americana qualcosa in più di noi, tutto mandolino pizza e mafia, dovrebbe sapere e aver, come dire, digerito, metabolizzato! Certamente la sua conoscenza diretta della terra nella quale vive non può nemmeno lontanamente essere paragonata con la mia conoscenza sommaria e libresca di quel meraviglioso e nello stesso tempo tanto odiato, immenso paese! Ma ciò di cui vorrei scrivere non ha molto a che vedere con la percezione pubblica dei diritti nella nazione americana per eccellenza quanto con l’orientamento generale e generalista che vedo profilarsi nel nostro bel mondo occidentale, la patria dei diritti…………probabilmente la loro tomba.

Il quadro descritto dalla corrispondente dagli States pur se, come chiarito dalla stessa, tocca “casi limite” è in realtà allarmante ma nello stesso tempo abbondantemente noto a chi ha una pur minima passione per la storia della culture politiche, e in genere per chiunque si sappia rendere conto della piega che sta prendendo il mondo! E credo che l’atteggiamento descritto dall’articolo e, giustamente presentato come “eccezionale” sia una tendenza irreversibile andando avanti di questo passo!  Irreversibile dico non solo per gli States ma per la nostra bell’Europa che da un lato non sembra sia in grado di costruirsi un futuro affrancato dal giogo americano e dall’altro sembra costantemente minacciata da culture “terze” e pericolose, almeno vissute come tali dalla mentalità collettiva!

Un quadro, quello descritto dall’articolo, che il presente sta dipingendo all’interno di cornici che oltrepassano quelle degli States, sempre più prossimi a trasformarsi da terra del sogno a luogo dell’incubo e che rischia di spalmarsi sull’intero ambito dei paesi che si vogliono civili e democratici. Posso intuire che il discorso, che prometto sarà brevissimo, rischia di stancare di presentarsi come noioso, pedante al limite saccente. Ma l’occasione è troppo ghiotta per non approfittarne.

Le cose scritta dalla corrispondente americana mi offrono lo spunto per una riflessione che non vuole essere “dotta” ma cercare di toccare alcuni temi da me altre volte toccati per vedere se nella confusione dei pensieri può farsi spazio l’ordine della scrittura. Se quello che mi pare di capire di questo nostro tempo in relazione al tema in oggetto sia solo una personale elucubrazione o un intuizione, almeno, un po’ condivisibile da chi legge.

Il punto cruciale dell’articolo “americano” mi pare verta sul tema dei diritti in relazione alle minoranze. Non intendo dire solo delle minoranze istituzionalizzate (razza, sesso, religione, specie viventi ecc…) ma intendo dire anche del singolo in quanto “solo” “minoranza” rispetto alla grande multinazionale, alla “terribile” maggioranza, al potere politico.

      Si tratta per certi versi di ciò che il mio professore di dottrine politiche chiamava ipergarantismo della società americana. Delle società democratiche avanzate aggiungerei io. Senza dimenticare che l’ipergarantismo degli Stati Uniti d’America contempla in alcuni stati la pena di morte!

Già Tocqueville aveva saputo guardare nell’anima della società fondata dai padri pellegrini, prototipo inavvicinabile di società liberal-democratica, esaltandone i molti pregi e indicando, grande profeta, gli infiniti pericoli, le preoccupanti devianze.

Si sarà forse capito, se qualcuno avrà avuto la pazienza e la bontà di leggere le cose che scrivo per SOVERATOWEB che la democrazia non rappresenta per il sottoscritto un valore assoluto, ma se vogliamo un male minore, la miglior forma di governo storicamente realizzata, ma non certamente la migliore in termini assoluti.

Qui si il discorso potrebbe diventare di una noia tale da spingervi tutti ad un tuffo fuori programma. Perciò sorvolo e tiro avanti.

Il punto cruciale ruota intorno a una di quelle questioni che dopo aver garantito libertà prima sconosciute rischiano di imporre quel magma di banalità e appiattimento che è la cancrena delle democrazie! Il termine famigerato e quello di: “Diritti”.

La genealogia degli Stati Uniti è assolutamente irriducibile a quella del vecchio continente, madre di cui l’America è matricida. Gli Stati Uniti sono una nazione giovane nata contro la tirannia di Giorgio III e contro la dipendenza coloniale della madre patria inglese e nata subito già democratica per una serie di motivi che vanno dalle dimensioni geografiche del paese alla confessione religiosa dei fondatori al particolare tipo di governo federale e allo stesso tempo assai simbolicamente centralizzato. (E tale è rimasta, giovane intendo, almeno fino a quando a dargli lo scossone e a destarla dallo stato di intorpidimento bigotto non è arrivata la musica rock, da Elvis ai Doors ai Velvet U. Loro sono la più autentica coscienza dell’America che noi conosciamo! Solo allora l’America a mostrato a se stessa la carica nichilista che covava nel di dentro. E si sa, chi rifiuta di guardare al male ne viene spesso soprafatto)!

Ma l’America e l’articolo della ahimè anonima corrispondente vuole essere solo un pretesto per tentare di far riflettere e appassionare su di un tema tra i più blaterati, vituperati e malcompresi di sempre: i diritti nell’accezione più squisitamente politica/civile, questi signori dell’arbitrio! Quest’acquisizione dell’età moderna. I diritti nascono e crescono sul sangue! In realtà dire diritti non vuol dire ancora niente.

Da un punto di vista filosofico, la nostra cultura e’ cresciuta in relazione a questo tema sulla tradizione giusnaturalista, una visione fiolosofico/concettuale dalla quale germinerà la cultura politica liberal-democratica (per lo più). L’assunto di questa vera e propria filosofia della storia è che gli esseri umani sono portatori, quasi proprietari, di una serie di diritti che vengono conferiti dalla loro stessa natura di esseri umani. Diritti dei quali essi sono i proprietari naturali, diritti che non sono frutto di nessuna concessione ma, appunto, loro propri. Questi diritti sono fondamentalmente quello alla libertà, all’uguaglianza alla vita ma soprattutto nelle varianti più significative alla proprietà. Non e’ dunque un caso se l’atto di nascita del nuovo Stato americano, la Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776 dalle colonie britanniche, rappresenta la prima cosciente reazione allo sfruttamento coloniale, la prima netta motivazione scritta di azione politica non in nome di tradizionali diritti storici, ma degli inalienabili diritti naturali dell’uomo: la vita, la libertà, la ricerca della felicità.

Questa visione su cui poggia, in realtà, la giustificazione a posteriori dell’esistenza di diritti, ha negli ultimi decenni trovato qualche opposizione nelle tesi di eminenti filosofi, sociologi, esperti di dottrine politica, ciarlatani ecc.. ecc… i quali tendono invece a sostenere l’idea che i diritti piuttosto che essere proprietà naturali degli uomini siano il prodotto di un certo sviluppo, la concessione di un determinato assetto politico sociale, delle conquiste, insomma, dei tempi. Diritti come prodotti dello spirito del tempo, della società.

Questo, solo per citare, molto approssimativamente, i due grandi filoni teoretici sulla natura (qui intesa come essenza, giustificazione) dei diritti.

In realtà credo che un età senza diritti non esista! O esiste sempre, tuttora!

Quello che è esistito è un età in cui i diritti erano, di volta in volta, prerogative dei pochi, di una parte di “cittadini” a tutti gli effetti di contro ad una stragrande maggior parte degli essere umani considerati alla stregua di “strumenti” utili alla soddisfazione dei bisogni dei pochi, loro proprietà. Insomma senza farla lunga i diritti erano le prerogative di chi deteneva il potere del sangue, di casta. Era il potere conferito dalla tradizione sic et sempliciter. Quello che cambia è semmai l’estensione di tali diritti e la giustificazione della loro natura.

La genealogia molto approssimativa potrebbe essere la seguente: stregoni dell’età primitiva, filosofi degli albori della storia occidentale, uomini di chiesa, scienziati, esperti di marketing.

Lo spartiacque e’, naturalmente, la rivoluzione francese. Da lì nasce la cultura politica come noi l’intendiamo. Un vero e proprio laboratorio ideologico di cui e assolutamente necessario ricordare gli eccessi sanguinari del terrore giacobino, onde evitare, come sempre, di trasformare l’incessante e, spesso, insensato corso della storia nel momento della provvidenza!

Lotta al privilegio aristocratico, dunque, e rivendicazione di diritti che appartenevano solo a quella aristocrazia monarchica che gattopardescamente a saputo trasformarsi, con innesti dal basso, nella grande borghesia motore e motrice sempre, a dispetto dei pregiudizi di moda, di tutte le rivoluzioni moderne. (non parlatemi dei Ciompi, perche’ qui si scrive a braccio).

Chi scrive, come chi legge, vive nell’età dei diritti, in un epoca nella quale cose come i diritti di ognuno sembrano essere ovvietà, acquisizioni certe, a-storiche. Chi scrive crede, fermamente che abbiamo quasi del tutto perso la dignità del dovere. Tutti a sbraitare quando pensiamo che non ci venga riconosciuto un diritto, pronti al je accuse nei confronti dell’intero consorzio umano, delle istituzioni, di questo o quello, della lentezza burocratica e del nepotismi pubblico. E nello stesso tempo sempre attentissimi ad escogitare ogni sotterfugio possibile per evitare di adempiere al dovere, all’impegno alla parola presa!

I casi citati dalla corrispondente americana sono, ovviamente, casi limiti ma assai significativi di come insieme all’arrogante pretesa di dare agli altri colpe che solo noi abbiamo, stiamo perdendo la dignità di chiamarci liberi che altro non dovrebbe vuol dire che sapersi dare e voler seguire una regola, la legge!

La fumatrice che fa causa alla multinazionale del tabacco, la cicciona che accusa la Mac Donald’s portando a prova il suo eccedente adipe, la persona appartenente ad una qualche minoranza che pretende, avendo dalla sua una stupidissima legge, di accedere all’Università per il solo fatto di poter portare a titolo di merito decenni di umiliazioni subite dagli antenati e cose del genere, rischiano di consegnare la società all’anarchia di uno stato farisaico che volendo essere buono con tutti rischia di fare male a se stesso scambiando la malattia per la cura!

Vero è che spesso dietro alle cause intentate ad alcune di queste multinazionali si nasconde, ma neanche molto poi, piuttosto che la ragione della presunta vittima o la hybris di chi pretende più di quanto non la giustizia ma la dignità personale richiederebbe, si nasconde dicevo una studiata a tavolino strategia commerciale o di marketing o di comunicazione che proprio i grandi brand mettono in piedi per rispondere a crisi di mercato e/o d’immagine! Cosi hanno fatto la mac donald’s, la nike (con la brutta faccenda dei palloni cuciti dai bambini asiatici), così a fatto la nestlè, cosi la philip morris ecc.. ecc….

Tutto ciò dico senza voler giustificare nessuno ma senza nemmeno vedere il demonio dove c’è solo l’umano e sempiterno interesse dei quattrini!

Ho trovato l’articolo americano un atto d’accusa che mi auguro sia stato compreso e portato alle sue intrinseche conseguenze: che i piagnoni la smettano di lavarsi la coscienza addossando ad altri la responsabilità delle loro azioni consapevoli!

Proviamo per un attimo, però, a trasportare lo stesso discorso sul terreno della società italiana. In Italia, il problema delle minoranze è relativamente nuovo su larga scala. L’ immigrazione extracomunitaria è realtà recente anche se prorompente. Le minoranze religiose non hanno creato grossi problemi se non nei termini del loro, recente, legame con l’ integralismo islamico. La vecchia immigrazione interna è ormai assorbita ma comunque sempre ignorante dei propri diritti! Le uniche minoranze turbolente che mi vengono in mente sono per adesso le comunità gay/lesbiche e gli immigrati di fede islamica appunto.

Si tratta di persone spesso liberamente associate che iniziano, i primi perché per troppo tempo culturalmente emarginati e considerati deviati, i secondi perché nuovi in una società nuova, a rivendicare una serie di diritti che vanno spesso aldilà dei diritti di ognuno per diventare diritti di classe, dunque privilegi e nella peggiore delle ipotesi clamorose aberrazioni. Diritti perciò non nel senso di ciò che spetta a ognuno in quanto essere umano ma nel senso di speciale prerogativa di un gruppo in quanto gay, islamico ecc.,ecc….

Che i gay possano finalmente manifestare liberamente le loro tendenze sessuali e amorose è un sacrosanto diritto, che i medesimi debbano per forza mostrarsi in tanga in atteggiamenti che meglio sarebbe riservare all’intimità della proprietà privata è un aberrazione, di più una stupida volgarità.

Che gli islamici debbano avere, e già il “debbano” è una gentile concessione la possibilità di praticare il loro culto nei luoghi appropriati mi pare un sacrosanto diritto, che pretendano di paralizzare interi quartieri di Milano per onorare le loro usanze o che rendano invivibile le corti dove vivono altre persone dalle usanze diverse, che non bivaccano in decine ad arrostire agnelli ecc… mi pare un aberrazione anzi peggio un’illegalità.

Dei gay e dei musulmani non mi importa un accidente. Come non mi importa un accidente dei calzolai e dei quaccheri. Non mi sono antipatici i gay né i musulmani tantomeno calzolai e quaccheri perchè non sono uno sciocco che prova antipatie per le categorie: guardo alla persona.

Se uno provasse però in Italia, a esprimere critiche nei confronti dell’atteggiamento e sottolineo dell’atteggiamento delle comunità gay, musulmane, delle comunità ebraiche, dei metalmeccanici della Fiom dei partigiani verrebbe subito messo alla berlina come fascista, razzista, cattolico reazionario, amico del capitale e nemico dei lavoratori e chi più ne abbia più ne metta. Sono tutte categorie che hanno subito storicamente e culturalmente privazioni, torti, incomprensioni, immani tragedie. Hanno qualche merito come qualcuno è qualche demerito come tutti! Ma non credo sia serio attribuire ai figli meriti, onori e privilegi come premio per il lavoro dei padri per quanto di intollerabile hanno dovuto subire.

Riconosciamo ai gay il diritto di amare chicchessia (ma non di copulare in pubblico), ai musulmani il diritto di praticare il loro culto (ma non di impedirci di conservare le nostre tradizioni o di volerci imporre il loro credo), ai partigiani il diritto di ergersi a forza di liberazione dal fascismo (ma non di considerarsi unici titolari della cittadinanza dell’italica patria) ai metalmeccanici il diritto di un lavoro dignitoso (non il privilegio di casta, unico simbolo dei lavoratori italiani).

Se il diritto diviene uno strumento per prendere, per arraffare, se esso porta alla convinzione che una cosa mi spetta solo perché posso averla allora si confonde ciò che per Diritto mi spetta con ciò che voglio per capriccio, per libido, finendo per partorire una società in cui il compito di far dimagrire i malati di diabete viene affidato ai pasticceri e in cui saranno i più furbi a insegnare ai migliori.

Forse non è il caso di ritornare a Platone e ai suoi “aristoi” ma nemmeno quello di restare ai nani e alle ballerine di oggi!

 

Alla prossima

cundari.cesar@libero

QUI MILANO: UN ESODO AL GIORNO, UN BLACK OUT OGNI DUE.

        Potenza della (dis)informazione! Ve ne sarete accorti anche voi: non passa giorno che i Tg fotocopia della nostra televisione non annuncino biblici esodi di vacanzieri, code e rallentamenti, chissà perché sempre e solo a tratti. A sentir lor signori le città della nostra penisola, in questa caldissima estate, diventano ogni venerdì luoghi di transumanza, di fughe dall’afa verso paradisi nostrani! Tutti partono e capita che le immagini dei monitor dei centri ANAS non mostrino, ai vari caselli, particolari disagi mentre il cronista di turno vede l’inferno! Solo Fede è capace di mostrare un sincero nervosismo quando tutto sembra andar bene, quando il suicidio non vuole trasformarsi in omicidio, quando Rutelli dice, davvero, qualcosa di sinistra (ma quando?!).

I turisti italiani, su Rai 1, vanno meno all’estero, per motivi che vanno dalla situazione internazionale (leggi terrorismo) al pericolo per la salute pubblica (leggi SARS) e riempiono di più le nostre coste. Però si scopre, subito dopo, su Canale 5 che i tour operators, dopo la flessione congiunturale, stanno facendo di nuovo buoni affari grazie alle migliaia di italiani che tornano a prenotare voli esotici: da Malindi a Sharm el Sheik, da Varadero a Nassau. Mah!

Le nuove regole volute dal ministro Lunardi (quello della patente a punti) hanno sortito positivi effetti per poco, troppo poco tempo. Sono diminuiti i morti la prima settimana…….però, dicono, sono aumentati gli incidenti. La settimana scorsa le pagine dei quotidiani lanciavano già l’allarme: la nuova legge non serve. Anzi i morti sono aumentati. Ma, pare, siano calati gli incidenti, anzi no!

Puntuali, i guru del meteo annunciano con incomprensibile sorriso che la situazione non muterà ancora, ci tocca soffrire (maledetto anticiclone delle Azzorre: che la NASA, la CIA intervengano, che si attivi il Premier!).

Il colonnello Giuliacci, ormai un icona dell’italica televisione fa seguire all’immancabile “mossetta” che lo ha reso celebre la preziosa avvertenza che le massime sono in aumento, sfioreranno i 34-35° ma, attenzione, attenzione, il calore percepito potrebbe sfiorare i 40°. Chi caspita glielo ha detto? Credo, dipenda da un insieme ragguardevole di fattori ambientali e individuali la temperatura percepita da ogni povero cristo. Ma per i nuovi teledivi è bene mettere paura, esagerare, far credere che se la fine del mondo non e’ stata puntuale con lo scadere del millennio non vuol dire che non bisogna stare all’erta!

Manca l’acqua! I laghi si prosciugano, i fiumi diventato arroventate lingue di sabbia. Sarà siccità, arsura. Forse arriveranno pure le cavallette.

Si lamentano gli enti turistici lacustri e fluviali, si lamentano gli agricoltori, chiederanno anzi imporranno l’aumento dei prezzi anche (come è già successo) sui prodotti importati. Lo scopo, non dichiarato solo perchè non ce ne è bisogno, è quello di ottenere lo stato di calamità, succhiare altri soldi allo stato. Se non vien giù acqua allora che piovano miliardi: l’assistenzialismo e’ duro a morire e i sotterfugi sono per Noi italiani pane quotidiano! Vedrete come spunteranno le zucchine!

Tutti annunciano imminenti chiusure degli impianti di produzione di energia elettrica. Sarà black out. Per l’esattezza negli ultimi quindici o venti giorni, ogni due edizioni delle 20.00 dei maggiori Tg, di volta in volta Mentana da qui, Giorgino da lì annunciavano: “rischio black-out, l’Italia resterà senza corrente”: che jettattori!

Per oggi, per es. (23 Luglio) su tutti i quotidiani nazionali si paventava un probabile black out entro le 15.00. Puntualmente smentiti, le home page di alcuni di questi quotidiani on-line alle 15.50 riportavano “Nessun blackout entro le 15.00. Ma il rischio rimane fino alle 18.00”. Lasciate la speranza ai regni dei cieli!

La stessa sera si sente l’inverosimile. Sassoli, dal pulpito del Tg1, dopo aver mandato i 5 secondi di pubblicità in attesa delle notizie dell’ultima ora (pausa che serve appunto, solo per vendere spazi pubblicitari) sentenzia, come al solito, che non ci sono aggiornamenti, anzi si: Domani, dice il bel Sassoli non sono previsti black-out! Come costruire una notizia su una non-notizia!

Intanto noi continuiamo ad usare i nostri Pc, la ns. aria condizionata i ns. elettrodomestici mentre negli Stati Uniti riducono l’illuminazione del ponte di Brooklin per carenza di elettricità e di dollari: Tiè!

Milano e la Lombardia sono al centro delle disgrazie di questi giorni. Il Ticino, dove il bagno non si fa con il “moscone” ma con migliaia di moscerini, girini, buste di plastica e schiumose essenze, è ai minimi storici: approfittatene e  pulitelo allora!

A Mantova, la centrale elettrica più grande del nord ha dato il preavviso di dimissioni. Altro che articolo 18!

Quel pò di Po che attraversa il lodigiano forse scomparirà e Bossi potrebbe rimanere, al prossimo ritrovo padano, con la sua ampolla in mano senza una goccia della sacra acqua!

Ieri, 24 Luglio ci siamo svegliati con una pioggia che durante la nottata veniva giù che Dio la mandava. Certo qualche ora di pioggia e non di più ma quanto è bastato per dare sollievo e far esondare il Seveso: qualche ora di pioggia in più e ci saremmo trovati in compagnia di Noè! Siccità o alluvioni.

Lo annunciano i quotidiani, da metà Agosto sarà già Marzo.

Confessatevi, pentitevi si avvicina l’Armageddon!

E’ nato un nuovo mostro, un nemico che nessuna potenza occidentale o nipponica sembra in grado di contenere: il clima sarà lo spauracchio del nuovo millennio, cosa da far impallidire pure il terrorismo islamico. Nessuno però sembra avere l’onesta di sussurrare, almeno, che noi uomini forse qualche colpa l’abbiamo.

Milano è quasi sempre la città più calda d’Italia, colpa dello smog, del traffico, di mille accidenti. In metropolitana, negli autobus, negli uffici, nelle case il gran caldo è argomento principe. Entrare in un vagone della linea rossa del metrò è cosa che bisogna apprestarsi a fare solo se si è dotati di una robusta fede nel divino, di santa sopportazione! E’ facile sentirsi vicino agli animali in quei casi! In realtà esiste sulla linea rossa un famoso treno inaugurato qualche mese fa dal nome invitante: “fragola”. Fragola è dotato di aria condizionata, dal design moderno e confortevole, pare sia ampio e spazioso, dai sedili morbidi come ovatta e sembra abbia preso il nome dall’incantevole e riposante colore degli interni. Pare, dico, perché pur prendendo quella linea due volte al dì non ho ancora avuto la fortuna di vederlo e di usufruire del suo confort. Io come molti altri milanesi che di continuo fanno notare su molti quotidiani locali l’inesistenza di questo miraggio. Però, si dice, che presto altri 4 di questi treni saranno a disposizione del Comune di Milano. L’inizio delle corse è prevista per Dicembre: bene ci copriremo con qualche sciarpa in più!

Fragola o no, la metrò si prende lo stesso in questi giorni di canicola, in questo fine Luglio, il più caldo degli ultimi 10, 20, 30 50 anni, forse di sempre. Sembra non volersi svuotare mai. Ma non dovrebbero essere già tutti o buona parte in ferie?

Stasera i caselli autostradali saranno presi di mira da 8 milioni di veicoli. Lunedì il metrò sarà pieno come al solito! Io sarò nel penultimo vagone a buttare un’ occhio su quella umanità minima che affolla Molino Dorino e che mi regala ogni mattina quel senso di vorticosità che è lontano mille miglia dal mio essere e dunque mi completa.

La scena più solita degli ultimi mesi sono i lettori di libri metropolitani rigorosamente gialli o thriller. Tutti a leggere perché contare le fermate prima della metà sarebbe un agonia insopportabile. Io osservo, troppo caldo per leggere. Anzi qualche volta butto l’occhio sul giornale di qualche vicino d’odissea. E’ l’unico che non legge gialli o thriller, il titolo cattura la mia attenzione: pare che l’amabile Moratti abbia comprato un africano che però rischia di morire se messo a calcare i campi di calcio. Altro che giallo finalmente qualcosa di surreale!

L’unico posto dove trovare pace è ormai diventato, per chi ce l’ha, l’ufficio. E’ notizia di oggi: a Milano sembrano tutti diventati stacanovisti, tutti corrono felici verso i loro freschi uffici, diminuiscono le malattie, cala l’assenteismo!

Come dire: per forza,meglio lavorare che sudare!

 

Alla prossima

cundari.cesar@libero

Che calore...

Che calore, che calore còmma coce o’ sole cantava Pino Daniele e penso proprio che non sia stata Napoli e i suoi Quartieri spagnoli a ispirare questi versi nè la meravigliosa terra del meridione. Sono sicuro che quando ha scritto queste parole Daniele stava pensando alla Milano di questi giorni,o in verità, di quelli da poco passati. Giorni caldi, caldissimi, afosi, senza via di scampo. E non c’è piscina o latrina mascherata da piscina che tenga.

Amici miei come molti di Voi ho vissuto per quasi 25 anni a tre-quattrocento metri dal mare più mare del pianeta terra; altro che piscine o idroscalo:”mai ammollo in questi posti che sono illusioni per impiegati, elemosina per schiavi del cartellino”!

Questo commentavo sere fa con degli amici meneghini che contenti come una Pasqua stavano organizzando una meravigliosa Domenica al mostruoso (avete presente Fantozzi) Idroscalo. E’ storia ormai che si ripete. Ogni anno arriva il caldo e ogni anno mi si fa la gentilezza di essere invitato all’Idroscalo o all’Aquatica o comunque in piscina. E’ una gentilezza che sortisce sempre il mio inesorabile diniego. 

Sapete voi cos’è l’Idroscalo? Io ho impiegato un po’ per capirlo e alla fine mi sono rifiutato di vedere lì dove tutto era chiaro. Di più, per molto tempo non l’ho mai preso in considerazione come luogo di villeggiatura e all’inizio pensavo che in quelle acque solo qualche temerario, qualche buontempone potesse pensare di starsene ammollo.

All’Idroscalo ci sono andato qualche volta, di sera, a vedere alcuni concerti. Pensavo ad un luogo dedito a cose del genere, a eventi dalle tante sfaccettature. Una specie di parco adibito di volta in volta a questa o a quella manifestazione. E invece l’Idroscalo è il mare di Milano che è come far credere che sulle colline che circondano Soverato si nascondano non piste da sci, ma millenari ghiacciai. E vi immaginate Voi i soveratani che alla Domenica, muniti di doposci e cani hasky si recano sulle montagne di Davoli per improbabili esercitazioni di fondo? Questo è ma nessuno ci crede anzi si!

Non biasimo certo chi costretto a boccheggiare in città opta per quello che passa il convento. E non nego che qualche timido tentativo in passato mi era balenato per la testa. Ma non c’è stato verso. Armato di telo da mare, pantaloncino demodé e abbondanti scorte di liquidi presi una volta la tengenziale che portava in una piscina in. Classica domenica d’Agosto: con la fila delle auto e tutti i crismi. Fila per entrare nella struttura, fila per depositare borse e documenti, fila per trovare un angolino dove stendere il telo (che tristezza vedere un telo da mare steso su orripilanti mattonelle di cotto!)….filo via!

Beh, i primi tempi non capivo come si potesse essere felici di tuffarsi in un surrogato del mare (che il mare mi perdoni) stendersi su di un pavimento e apprestarsi all’abbronzatura carosenica de Milan. Convincersi di essere, finalmente, sfuggiti alla città che è poi la sublimazione generica della fuga dal lavoro. Peccato che fuggiti dalla città si è catturati da piscine che sembra abbiano scritto su tutti i muri: cretini non vi sembrerà davvero di essere a mare?

Per i metropolitani, intendo dire per chi è nato e cresciuto nelle nostre città senza mare, me ne rendo conto, tutto ciò può essere se non naturale almeno tranquillamente accettabile. Fatto sta che anche per costoro o almeno per coloro i quali almeno una volta nella loro vita hanno avuto l’occasione di vedere il mare e di tuffarsi in questo scorcio d’Infinito, queste fabbriche del solleone non riescono nemmeno lontanamente a far dimenticare di essere vittime di una costrizione, di una maledetta necessità di essere là solo perché non si può essere dove si vorrebbe!

Forse il mio è più un tentativo psicologico di non essere completamente assorbito dal vortice cittadino dove non ti fanno le piscine per tuo diletto, ma per tenerti il più possibile vicino al luogo di lavoro, per farti credere che hai la possibilità di vivere l’estate anche restando lontano mille miglia dall’estate.

Ma così è e le piscine, tutte le piscine di Milano (compresa quella inaugurata con tuffo plastico da Albertini e subito chiusa e poi riaperta e poi richiusa in parte) sono state e, immagino, sono in questi giorni da savana stracolme, piene all’inverosimile. Capisco ma non partecipo!

Ma i miei amici meneghini, molti dei quali meneghini come me ma chissà perché e chissà come hanno abiurato in pochissimo tempo alla ns. tipica inflessione dialettale (Cazzo ma si sente lo stesso che sei Terun!), insistono. E mi dicono che esagero, che in fondo un bagno in piscina rinfresca lo stesso ecc..ecc…. Hanno ragione. Ma non si sente il formicolio della sabbia sotto la pianta del piede, nessun rumore d’onde, poetiche risacche: qui non c’è il mare. Ed io che di illusioni consapevoli vivo non accetterò mai l’illusione di andare a mare a Milano.

Le piscine sono strutture che a molti regalano momenti di refrigerio, occasioni magari di nuove conoscenze con l’altrui sesso, di sicuro laboratori per testare il velleitario tentativo di fuggire dall’afa e dal quotidiano. Strutture dove però non si respira l’infinito che solo è dato dalla visione sfuocata dell’incontro tra il cielo e l’orizzonte. E puoi provarci da steso, intontito dal sole che picchia ad alzare lo sguardo: quello che vedi e dapprima il cielo e qualche soffice nuvola, poi se allarghi lo sguardo lo senti che sei in un posto artificiale, un isola circondata dai rumori del quotidiano vivere, cominci a ricordarti di dove sei e richiudi gli occhi che è meglio. Breve quanto fallace fuga da un impossibile vacanza. Qui in piscina ci pensi due volte prima di fare, se proprio ti scappa, la pipì (che mi auguro nessuno faccia).  E se ci pensi di più, pensi pure che chissà quanti altri come te hanno lo stesso pensiero e allora ti prende un brivido e pensi: e chi c’ entra più in vasca. Che schifo!

Lo so, è questione di abitudine, di modi di vivere. E’ che mai riuscirò ad essere nient’altro che un calabrese nato e cresciuto in un piccolo paese a due passi dal mare che da piccolo pensava alla piscina come roba da ricchi e che da quasi grande ha imparato a distinguere la vera ricchezza dall’ostentazione del fanatismo, dalla necessità camuffata da divertimento.

Forse è solo lo sfogo di uno costretto a stare a Milano quando un più umano senso della giustizia lo vorrebbe a sguazzare nello ionio che è un po’ diverso da tutte le piscine del globo e da tutti gli Idroscali del pianeta.

E i miei amici cominciano con la solfa di sempre: cosa dici, non fare il polemico, sei una palla, eh quanti problemi ecc.. ecc….

Comunque, il giorno che soprafatto dal caldo, che andrà sempre aumentando nei prossimi anni, mi vedrete sguazzare contento come una pasqua in qualche piscina, prendere il sole su un metropolitano pavimento di cotto e affermare che in fondo l’acqua della piscina rinfresca lo stesso, quel giorno sarò stato davvero assorbito dal vortice della modernità metropolitana: quel giorno non verrà.

Amici di Soveratoweb Vi immagino sulle ns. coste già quasi abbronzati, spaparanzati, ammollo 10 minuti sì e 10 pure e un po’ vi invidio ma quel poco che basta a serbare la consapevolezza che la vostra (ma in fondo anche la mia) è estate quella di qui è l’inverno della ragione costretta a subire i 40 gradi.

E dico ai miei amici di andare pure, dico che fanno pure bene ad andare, dico che sono io quello che sbaglia, più per principio che altro ma che non venisse loro in mente di volermi convincere o peggio convincere se stessi che in fondo anche l’acqua della piscina rinfresca! E’ solo acqua che bagna, quello che rinfresca del mare è la sua natura indefinita e grandissima, il senso che ci regala ogni volta di non essere poi tanto distanti dal creatore!

 

A presto

Cesare

Cundari.cesar@libero.it

RISPOSTA DI CESARE ALLE REAZIONI A QUESTO ARTICOLO

DETTO CHE CHI TEME LE CADUTE DI STILE RISCHIA DI NON AVERNE PER NULLA DI STILE, PERMETTETEMI DI PORGERE A …………... E AI MOLTI CHE, INASPETTATAMENTE, MI HANNO MANIFESTATO IL LORO STATO DI "INDIGNATI" PER LA FRASE IN QUESTIONE LE MIE SCUSE PIU’ SINCERE.

NON CERTO PER QUELLO CHE HO VOLUTO INTENDERE CON QUELLO CHE HO SCRITTO E CON LE PAROLE CHE HO USATE MA PER I SENTIMENTI DI INDIGNAZIONE CHE ESSE HANNO SUSCITATO. NON SONO GIORNALISTA, NON HO MAI FATTO NULLA PER ESSERLO NON CREDO DI AVER MAI DETTO IL CONTRARIO.  GENTILE ANONIMO FIRMATORE DEL GUESTBOOK COME CONCORDATO CON IL WEBMASTER SCRIVO QUALCHE IMPRESSIONE PER IL SITO CHE RIMANE ASSOLUTAMENTE PERSONALE. NON CREDENDO NEL PRINCIPIO DELLA RAPPRESENTANZA NON PRETENDO DI RAPPRESENTARE NESSUNO. E SE QUALCUNO SI SENTISSE OFFESO PER ALCUNE MIE AFFERMAZIONI FACCIO SPALLUCCIE, CHIEDO SCUSA E TIRO AVANTI.

PER CIO’ NON HO IL DOVERE DI STARE AI FATTI MA SOLO QUELLO DI ESSERE SINCERO CON LA MIA COSCIENZA, SCRIVENDO QUELLO CHE DI VOLTA IN VOLTA LA MIA RABBIA O LA MIA GIOIA, LA MIA SERENITA’ O LA MIA INQUIETUDINE DETTANO ALLA MIA MANO.

IO NON PASSO LE MIE GIORNATE SCRIVENDO POESIE O DIPINGENDO OLII, NON HO NIENTE DELL’ARTISTA O DEL CREATIVO. TIMBRO OGNI MATTINA IL MIO BEL CARTELLINO AZZURRO SENZA MAI IL SORRISO D’EBETE SULLA BOCCA MA CON LA CONSAPEVOLEZZA CHE QUEL TIMBRO SI TRASFORMA IN NUMERI D’INGRESSO, IN NUMERI ORARI E IN ORE LAVORATE E ANCORA IN ORE STRAORDINARIE ECC.. ECC.. IO SONO SCHIAVO DEL CARTELLINO E NON ANDRO’ MAI NELLE PISCINE NE’ DI MILANO NE’ DI ALTRI LUOGHI.  SCRIVENDO QUELLO CHE HO SCRITTO NON PENSAVO CERTO AI VOLTI DEI MILIONI DI TIMBRATORI DI CARTELLINO, NON AVEVO IN MENTE IL RAG. MANGIONE O L’IMPIEGATO ROSSI MA UNA PIU’ COMPLESSA REALTA’ LAVORATIVA CHE TANTO PIU’ RISULTA ESSERE VINCENTE QUANTO MENO SERBIAMO CONSAPEVOLEZZA DI QUELLO CHE SIAMO ALL’INTERNO DI QUESTO MECCANISMO CHE CI VUOLE TIMBRATORI DI CARTELLINI. QUANDO POI QUEST’ATTO TANTO NORMALE QUANTO SCONSOLANTE VIENE COMPIUTO ACRITICAMENTE COME LE PECORELLE AL PASCOLO IL GIOCO E’ BELL’ E FATTO.

HO USATO UN IMMAGINE CARO FIRMATORE ANONIMO DEL GUESTBOOK CHE PUO’ PIACERE O MENO, CHE PUO’ ESSERE CONDIVISA O NO. NON CONSIDERO CHI FIRMA IL CARTELLINO NE’ UNO STUPIDO NE’ UN DISONESTO NE’ ALTRO. SO’ BENE  QUANTA DIGNITA’ CI SIA NEL LAVORO, IN OGNI TIPO DI LAVORO. MA SO’ ALTRETTANTO BENE CHE LA NECESSITA’ NON VA’ CONFUSA CON LA LIBERTA’. SI PUO’ PERO’ SCEGLIERE LIBERAMENTE DI COMPIERE IL NECESSARIO SENZA DIMENTICARE  DI CONSERVARE NELLO SPAZIO DELL’INTELLIGENZA LA CONSAPEVOLEZZA CRITICA CHE LO STOMACO SI RIEMPE A VOLTE INGURGITANDO IL PASTO CHE ABBIAMO DISPOSIZIONE PIUTTOSATO CHE QUELLO CHE TENTA LA NOSTRA GOLA.

NON HO COMMESSO ERRORI NEL MIO ARTICOLO: L’ERRORE E’ UNA DEVIAZIONE DA UN DATO CERTO E INCONTROVERTIBILE, ESSO RIGUARDA LA SCIENZA E NON L’OPINIONE, IL CERTO, APPUNTO, E NON L’OPINABILE.

NON MI SENTO ALTRO CHE ME STESSO QUANDO OGNI MATTINA TIMBRO IL MIO CARTELLINO AZZURRO, NE MEGLIO NE’ PEGGIO DI ALTRI. ANCH’IO DEBBO TIRARE AVANTI LA CARRETTA. MA DA QUESTA REALTA’ CHE AFFRONTO QUOTIDIANAMENTE CON DIGNITA’ A FARE LA GIUBILAZIONE DEL CARTELLINO IL PASSO E’ MOLTO PIU’ LUNGO DELLA GAMBA.

L’IMMAGINE VA PRESA PER QUELLA CHE E’: ED IO NON PENSAVO ALL’ATTO FISICO DEL TIMBRARE QUANTO PIUTTOSTO ALLA CONDIZIONE DEL NS. PRESENTE (CHE IO DIFENDO DA BUON OCCIDENTALE) IN CUI SPESSO NON CI RENDIAMO CONTO DI QUANTI MARGINI DI ARBITRIO DOBBIAMO ELEMOSINARE E IN CUI SIAMO LIBERISSIMI DI SCEGLIERE TRA OPZIONI CHE NON SCEGLIAMO LIBERAMENTE.

PER QUANTO RIGUARDA POI LA QUESTIONE DELLE PISCINE HO GIA’ SCRITTO CHE COMPRENDO ASSOLUTAMENTE MA NON PARTECIPO.

RINNOVO LE MIE SCUSE A TUTTI COLORO CHE POSSO AVER OFFESO!

Permettetemi di usare questo spazio per rispondere a qualche e-mail, qualcuna intelligente e gentile, qualche altra intelligente e scortese, altre ancora di una stupidità imbarazzante!

Alfio, lo ripeto:non sono giornalista (ma per scrivere qualcosa bisogna esserlo per forza? E poi con l’immenso rispetto e amore che ho per Soveratoweb non siamo mica al Corriere!). Può bastare! Se no, fattene una ragione!

Cyb2000, come ho già avuto modo di dire la polemica è bella se fatta alla luce del sole: fuori il nome! Se no, come diciamo dalle nostre parti: t’attacchi!

A fabio che conosco da un po’ per via del ns. comune amore nerazzurro ricordo solo un episodio: un’annetto fa sono stato invitato a collaborare ad un foglio locale che veniva distribuito nel sud-ovest milanese area nella quale lavoro tutt’ora. Il responsabile della comunicazione di quel giornale, per via di alcuni miei interventi durante un Master, mi chiese se volevo scrivere qualcosa per loro. Era un modo per fare una cosa che mi piace, lavoravo e lavoro in un altro campo. La cosa nacque non perché avessi dimostrato particolari doti di scrittura, ma immagino, perché ero particolarmente simpatico al tizio. Fatto sta che scrissi la seconda cosa sui no global, Genova ecc..;ecc… . Comprai il numero in questione ma del mio articolo non c’era traccia. Poco male. Venni chiamato da uno di quelli che comandavano il quale molto cortesemente mi disse più o meno questo: Cundari, decisamente ha idee forti, la sua scrittura andrebbe un po’ aggiustata ma i contenuti, non si può negare ci sono. Ecco –continuò- i contenuti non sono quello che noi ci aspettavamo. Il nostro giornale…….insomma mi parlò della linea politica del giornale ecc…ecc…, e mi disse: dovrebbe aggiustare il tiro, noi abbiamo bisogno di una persona che affronti certi argomenti con questo indirizzo..bla..bla…bla…. Cerchiamo qualcuno cosi. Bene, dissi io, trovatevelo!

 cundari.cesar@libero.it     

QUI MILANO: CRONACA DALL’EVENTO 

Badate: impressioni da un concerto, personali ed emotive! 

     Avevo qualche dubbio prima del 10 Giugno, ora non più: Mick & Co. hanno davvero stretto un patto con il diavolo. La prova l’ho avuta alle 20.45 circa di Martedì sera a S.Siro quando il rugoso Keith Richards ha iniziato a picchiare sulla prima delle sette o otto chitarre con cui ha dilettato una folla di sessantamila piccoli punti sparsi nel magnifico catino del Meazza. Le note con cui si è aperto l’unico concerto italiano dei Rolling Stones erano quelle storiche, leggendarie, mitiche di Brown sugar, un pezzo classico che forse racchiude, da solo, l’epopea di quella che è, ancora oggi, a quarant’anni dalla sua nascita, la più grande Rock’n roll band del pianeta. Due ore e passa di vera adrenalina sgorgante dalle due chitarre di Keith, appunto, e dell’ultimo arrivato (si fa per dire, era, se non erro, il 1975) Ronnie Wood, dalla batteria dell’impassibile Charlie Watt, quasi immobile rispetto l’indemoniato contorno e dalla bocca più famosa del panorama musicale di ieri di oggi e, chissà, di domani, una carica esplosiva dentro un corpo di una magrezza impressionante, si proprio lui l’indomito e indomabile Mick “tutto nervi”  Jagger, un ragazzaccio di sessanta anni che a vederlo sul palco, a seguirlo con gli occhi quasi ti stanchi e ti chiedi: come diavolo fa! Con loro, a deliziare gli scatenati del rock Darryl Jones, al basso, gli immancabili Bobby Keys al sax e Chuck Leavell alle tastiere.

Due ore e passa dicevo di grande rock, l’afa e le zanzare per una sera erano schiacciate dallo spettacolo offerto dalle Pietre che continuano a rotolare. Certo, grande musica ma anche grande pubblico. Le cronache raccontano di una trasversalità che solo chi ha fatto la storia della musica può annoverare: c’era il quasi sessantenne che era al suo terzo, quarto concerto che è nato con loro piuttosto che seguirne il mito, arrabattati ex hippy con i loro furgoni e con le loro maglie, veri e propri cimeli, con su la mitica bocca linguesca creata da quel genio dell’effimero che va sotto il nome di Andy, giovanissimi vent’enni figli, magari, di vecchi fans e cresciuti con i vinili di papà o di mamma in casa. Trent’enni come il sottoscritto che non erano ancora nati quando gli Stones già riempivano la cronaca e cominciavano a sillabare la storia ma che, sempre come il sottoscritto si sono “salvati” incamerando nel cervello musica su musica (ci si può salvare l’anima ascoltando chi ha stretto un patto con il diavolo: assolutamente. Ma questo è un altro discorso). Insomma, un universo sociologico che sempre si mobilità quando l’evento è di tale portata (i Rolling Stones sarebbero dovuti venire in Italia, a Milano, già nel ’98, biglietti quasi esauriti poi il comunicato stampa: non se ne fa nulla. Raucedine. Ergo da tredici anni non calcavano il suolo italico). Per la cronaca si continua con Start me up, You Got Me Rocking, la nuova ma già incamerata Don’t stop e via di successo in successo. E Mick, sempre lui ha percorrere una pedana laterale di quasi 70 metri come fosse un tornante di fascia di un pianeta a velocità accelerata, di una squadra che macina altri tempi ed altri ritmi. E poi Keith, quasi sdraiato con la chitarra a baciare il suolo, a distribuire plettri al pubblico come fossero santini, con le sue fosforescenti giacche sopra un petto nudo da vecchio degustatore di vizi, con l’immancabile anello e al collo quella ferraglia che solo sopra una rockstar della sua portata sembra quasi elegante. Keith, lui la vera anima del gruppo, costantemente difronte alla batteria, affiancato all’altra chitarra, quasi a dettare il tempo e a dire io apro la strada voi fate quel cazzo che volete ma dietro di me! Arriverà anche il suo turno quando Mick presenterà i componenti della band, ogni nome un applauso, un urlo. Al nome di Keith un’ovazione, il mega schermo che inquadra quel volto percorso da milioni di rughe e lui, sornione, che se la ride prima di abbracciare l’ennesima chitarra e di attaccare, da solo, Happy!

E’ vera musica, è Rock.

Poi, dopo tanta carne al fuoco la scena si tinge di rosso, di fuoco, con lo schermo che si inonda di fiamme virtuali a dar graficamente vita alla celeberrima bocca, loro marchio: attacca Simpathy for the devil, è tutto un Uh!Uh!. La band viene avanti su una pedana che li porta proprio in mezzo al pubblico, un piccolo parco-isola dove si esibiscono con It's Only Rock'n'Roll, quindi una Mannish Boy che rinfresca la memoria a proposito della bellezza della voce blues di Mick, restituendo un'eco dei toni acerbi dei tempi di Out of our Heads, poi Like a Rolling Stone un tantino troppo compiaciuta. Tornati sul palco principale si riprende con Gimme Shelter per continuare con Honky Tonk Women sullo sfondo di un disegno dal sapore Manga in cui una Lolita cerca di cavalcare la Lingua degli Stones e questa di tutta risposta ingoia la poveretta sputando solo gli stivali fetish e il resto dello striminzito abbigliamento. Sesso, Droga e Rock ‘n roll: questo sono i Rolling e questo vogliono essere.

Ho costantemente pensato, quella sera (detto per inciso tra gli spettatori c’erano anche Zucchero, Ligabue, forse Vasco e altri. Tutti, ovviamente, a prendere lezione!) al fatto che il mondo musicale, dicitur, si divide in ammiratori dei Rolling Stones e ammiratori dei Beatles. Per parte mia il paragone non ha senso. La storiografia musicale ha abbondantemente dimostrato quanto sia stata costruita tale rivalità, quasi a tavolino (se non dai protagonisti che erano buoni amici, di sicuro dai media e dalle case discografiche). Ovviamente non ho mai visto esibirsi i Beatles ma istintivamente ho sempre visto nei “favolosi 4” un buon prodotto commerciale ma nei loro volti non ho mai visto quello che vedo nelle rughe di Keith o nello striminzito fisico di Mick. Insomma non ho mai amato i Beatles . Quello che penso è che i Beatles hanno in qualche modo generato il movimento new age e il vegetarismo (due mali del ns. tempo) e che uno dei superstiti, certo grande e tutto quello che volete, sembra un bambacione fighetto un convertito al politically correct: preferisco le rughe di Keith. I Beatles hanno composto pezzi storici, i Rolling continuano a far ballare. Qui stà la differenza tra il mito e la leggenda vivente!

C’è qualcosa che mi dice che gli Stones quando sono sul palco ci salgono solo per fare musica. Non hanno messaggi da distribuire come è oggi tipico di chi fa musica (e invece riesce solo a suonare) e la confonde con la politica. Volano alti gli Stones proprio perché vogliono stare coi piedi sul palco, si divertano, fanno quello che sanno fare meglio, quello che solo sanno fare: musica e che musica. Milioni di dischi venduti, miliardi di $ coi quali potersi permettere di devastare il fisico e di rimetterlo apposto in cliniche per drogati di lusso. Questo è rock ‘n roll, questo è fare musica e fare soldi facendo musica, la musica che si vuole fare. 

La serata volge al termine: salutano il pubblico, si spengono le luci: come è ovvio è un bluff. Rientrano sul palco per concedere un bis che vuol dire salvare lo stadio dal crollo. Dopo l’immancabile Saddisfaction e un altro paio di pezzi storici i favolosi Stones si congedano, questa volta davvero, dopo aver concesso ad un pubblico ampiamente soddisfatto un inchino, tutti abbracciati. Il concerto è finito, gli Stones lasciano il palco di S. Siro: chissà se è stata l’ultima loro volta in Italia, l’ultimo loro tour. Chissà cosa ha in serbo per loro il diavolo! 

Alla prossima

Cesare

 cundari.cesar@libero.it     

QUI MILANO: ANIMALI!!

      Due giorni, sono passati due giorni dalla storica finale di Champions e ancora qualche scampolo di milanese (milanista, più corretto) euforia resiste, resiste, resiste! Per un nero-azzurro non pentito come me tutto ciò dovrebbe, come minimo, essere assolutamente indifferente. Ma gli interisti si dividono un due metafisiche categorie: gli anti-milanisti e gli anti-juventini. Io Mercoledì una malcelata gioia (magrissima consolazione) l’ho provata, immagino che non sia difficile supporre a quale delle due categorie appartenga!

Va bè, non era di questo che volevo far vivere questa nostra rubrica che ormai sta diventando un appuntamento quasi fisso. (continuerà?).

Allora involiamoci e, se riusciamo, incazziamoci pure!

Ieri sera (mentre scrivo è venerdì) esco un po’ prima dal mio ufficio sito in quel di Trezzano sul naviglio. Città, per quello che ho potuto vedere, cioè i trecento metri che mi separano dalla fermata del 327, normale, assolutamente normale! Mi preparavo infatti a catapultarmi al Mariposa, nel mezzanino della fermato Duomo della metropolitana milanese ad acquistare tre biglietti del Forty Licks Tour. I Rolling Stones saranno a Milano il 10 Giugno, e pur non essendo uno di quei gruppi che mi hanno musicalmente forgiato, non me la sentivo di perdere la possibilità di assistere alle istrioniche performance di Mick, al debordante tocco di Keith, insomma allo show delle pietre rotolanti! Sia chiaro nell’abusata dualità tra i Favolosi 4 e le Pietre io mi schiero decisamente dalla parte delle Linguacce.

Dunque esco dall’ufficio e prendo un autobus (sempre quello) in cui non si parla italiano.  A metà tragitto, sulla Lorenteggio il blocco! I manifestanti della Lipu o della Peta o di come caspita si chiama picchettano davanti una nota azienda farmaceutica accusata di usare cavie animali. Mi chiedo: forse protestano perché ritengono debbano sperimentare i loro prodotti su cavie umane? Vorranno immolarsi loro sull’altare del progresso scientifico e del capitale globalizzato? I filippini sull’autobus ridono sempre, i senegalesi impassibili, la sig.ra cinese parla al cellulare, io, quasi italiano, sono in ritardo..mi chiude il mariposa! Finalmente si riparte. Capolinea, di corsa al metrò, scendo a Cadorna prendo la linea verde per il Duomo. E’ fatta, sborso 142,5 € e intasco i Tickets del Forty Licks!

Quando venni la prima volta a Milano, io che sono originalissimo, feci tappa al centro, vidi il Duomo con la sua bella madonnina, passeggiai per la Galleria, attraversai Piazza San Babila. Questo la prima volta. Poi il turista lascia il posto all’impiegato e il Duomo diventa come piazza Maria Ausiliatrice a Soverato: e lì punto! Ma Giovedì sera, dopo aver acquistato i biglietti, di cui sopra, pensai che salire le scale del metrò e buttare l’occhio sulla Piazza del Duomo che non vedevo da tempo era una cosa che come dicono qua i compari di Pali e Dispari “ci stava dentro”! Non l’avessi mai fatto. Al secondo gradino delle scale che sbucano di fronte alla Galleria Vittorio Emanuele, comincio già a temere qualcosa, a sospettare. Terzo, quarto gradino, esco dal metrò e il sospetto si fa certezza: manifestanti della Lipu o Peta o come caspita si chiama con striscioni, altoparlanti, cani di tutte le razze degli Infiniti mondi (citazione bruniana) al seguito.

Lo so, voi direte: ma questo che vuole, non sarà mica un nemico degli animali, o peggio ancora della sacrosanta libertà di manifestare, di difendere i diritti (diritti???!!!) degli animali, un anti-democratico, un calabrese reazionario?

     Niente paura non sono tutte queste cose. Sono molto, molto peggio. Penso che sia sacrosanto manifestare per difendere i propri diritti, per esporre le proprie idee e anche solo per esibizionismo sub-cultural-sinistroide. Ma penso anche che sia molto meglio manifestare per difendere diritti che non siano privilegi (gli ultimi fatti ALITALIA insegnano!?), per esporre idee che non siano solo l’espressione di una cultura avvertita, annaspata, subita (spesso, quasi sempre) ma in fondo mai compresa, per un esibizionismo che esalti l’estetica occultandoci dentro un contenuto che non si sciolga col primo sole e soprattutto che non segua, mendicante d’intelligenza, il vento del potere, di tutti i colori del mondo! E soprattutto preferirei non si ammantassero le mille manifestazioni dell’alba del terzo millennio, col sacro quanto fallace nome di LIBERTA’! In un paese libero ognuno è libero di manifestare e di dire la propria (fatte salve le regole del gioco); ma in un paese libero ognuno può, e alcune volte deve, essere libero di dire: quei manifestanti sono un manipolo di coglioni, le cose che liberamente dice quella persona o quel gruppo sono un insieme infinito di stupidaggini. Si dirà che chi afferma questo ha, quantomeno, l’onere della prova, deve in qualche modo spiegare, perché chiama quel gruppo un manipolo di coglioni e perché considera quelle cose dette un insieme infinito di stupidaggini. Non sono d’accordo: se siamo liberi io sono libero di non dare spiegazioni ai coglioni o perlomeno a chi considero tali e di non ribattere a quelle che io considero un insieme infinito di stupidaggini. Il silenzio a volte è un urlo assordante!

Ma mettiamo da parte questa sbattuta parola, la parola libertà (che può essere tutto e il contrario di tutto) e torniamo ai ns. amici della LIPU, PETA o come caspita si chiama.

Certo, a differenza di quando vivevo in quel dono benigno voluto dal buon Dio che è il Golfo di Squillace (ci ha dato il piacere della vista su quell’incanto il creatore e che volevamo pure il lavoro e tutto il resto?) qui a Milano, come del resto in tutte le metropoli di questo ns. tempo, le manifestazioni sono come le chiacchiere da bar dalle ns. parti. Lì ci si anima per il solito rigore non fischiato alla juve, qui si manifesta per tutto il resto, anche per il sacrosanto diritto dei gay ad indossare mutandine di pizzo rosa! Ora del vero non si manifesta più ma si girotonda (sacrosanto, ripeto) specie da quando Nanni non trova più idee per fare un altro pallosissimo film!

Anche le manifestazioni e la loro frequenza sono un importante segno sociologico, ed è chiaro che dove la realtà sociale è più compressa e, diciamolo pure, arretrata esse latitano, rappresentano un evento, l’esplosione di un disagio lungamente tenuto a bada!

Manifestare, quale che sia il mio giudizio di merito, è comunque segno di vitalità sociale e di piena coscienza e riconoscimento di una serie di diritti politici, civili, sociali di cui, passatemi l’appunto, spesso noi meridionali non abbiamo sentore. Per mille motivi. Per colpa di chi ci amministra e per colpa di chi da chi è amministrato continua a farsi amministrare.

Il fatto è che una cosa è l’episodio sociologico del Manifestare altro il merito dell’oggetto proprio ogni volta della singola manifestazione.

Quel giorno, a quarantott’ore dalla italica finale di Champions, dopo aver sborsato 142,5 € per i biglietti del Forty Licks Tour, in Piazza Duomo quello che ho visto ha scatenato in me un moto di reazione già sperimentato, una quasi penosa risata mista a pìetas per quei pochi reduci del 68’ che non sono riusciti ad accaparrarsi, come tutto il resto dei loro coetanei, una poltrona da qualche parte (ministeri, tribunali, università). Due cose hanno attirato la mia attenzione (ed io sono generalmente distratto, molto distratto!), due striscioni. Uno, suprema idiozia, nonchè evidente contraddizione con il messaggio che, credo, intendevano far passare, mostrava una cane con la faccia di Bush Jr., l’altro recitava: “SIAMO TUTTI ANIMALI, TUTTI GLI STESSI DIRITTI!” Beh, che siano come loro (gli animali) è molto probabile, come me e come molti di noi non credo proprio. Cosa sono i diritti? E possono essere estesi al mondo animale? I vs. cani hanno diritto anche alla pensione? (diritto che oramai non hanno neanche gli esseri umani).

Non è che io non ami gli animali (in vero non è che passo il mio tempo a far loro dichiarazioni d’amore!) semplicemente non mi confesso ogni volta che calpesto qualche formica o scarafone, non ho sensi di colpa quando mangio una bistecca e da bambino nei prati difronte casa in quel di Montepaone Lido con gli amici mi divertivo anche a torturare qualche lucertola, gallina, gatto     (che Dio abbia pietà della mia anima!!).

La cosa buffa sta in ciò: io credo che questi animalisti non abbiano rispetto per gli animali. Di più che non li amino! Provo, adesso si, a spiegare.

Pensateci: qual è il motivo che spinge lor signori a identificare gli uomini e gli animali? Nel loro striscione io leggo tutta l’ipocrisia e l’ignoranza del nostro tempo. Per amare gli animali, o per riuscire a mandare un messaggio all’opinione pubblica la PETA, LIPU o come caspita si chiama sente il bisogno di dire: guardate che gli animali non sono animali ma sono come noi, cioè come gli esseri umani (come voi torno a dire). Cioè non riescono a rispettare gli animali in quanto animali, in quanto appartenenti ad una altra sfera dell’essere rispetto all’uomo. Siccome, loro si, credono che solo gli uomini siano degni di rispetto, ecco che per rivendicare un rispetto simile per gli animali devono sfiorare la follia e dire che animali e uomini pari sono!

Nella distinzione delle cose sta il significato del tutto, il suo valore, la sua bellezza!

Forse adesso comprendo il mio moto di disgusto per certe manifestazioni: l’assurdità di non voler prendere atto delle differenze. Questa incapacità è tanto più forte in chi tanto più spesso continua a proclamare farneticazioni del tipo: tutti siamo uguali, cosa vuol dire essere normale, i disabili sono come noi, i neri sono come i bianchi (ho un amico Sene Meudune, senegalese e giustamente fiero di esserlo, che mi prenderebbe per scimunito se gli dicessi: sai che io bianco e tu nero siamo uguali. Mi risponderebbe: Io Senegal meglio di te!).

Forse l’argomento potrebbe suscitare comprensibile indignazione, ma credetemi io ho amici disabili, parenti disabili, conosco persone con degli attributi grandi quanto S. Siro disabili ma mai mi è sfiorata l’dea di considerarli altro che persone disabili, persone cioè con difficoltà motorie, intellettuali o altro che non guadagnano e non perdono niente nell’essere quello che sono, per il fatto che sono come sono: non ho mica paura dei termini io. Ma nascondersi dietro il: “sono come noi“ nasconde dietro qualcosa di più volgare, vile, stupidissimo, umano troppo umano. Nasconde la convinzione, di cui i paladini del “siamo tutti uguali” si vergognano (Freud docet) che loro sono migliori. E per camuffare questa convinzione si fanno scudo con le parole trasformando per es. i disabili in “diversamente uguali”, i neri in uomini “di colore” ecc.. ecc… . E no amici miei dicendo che chi ha oggettive difficoltà, qualunque esse siano, è come noi vuol dire crearsi un alibi, pulirsi la coscienza e fottersene. Chi è in carrozzella non può fare cose che noi “normali” facciamo senza pensarci. Chi è in carrozzella, senza sentirsi un extraterrestre” può, a volte, aver bisogno di una mano (altre volte noi possiamo avere bisogno della sua). Ma se noi non prendiamo coscienza di questo, di un oggettiva sua difficoltà, di un bisogno, non avremo motivo di aiutarlo (o vi fa paura la parola AIUTO?).

Per questo voglio dire ai professionisti del buonismo che è proprio vero ciò che recitava lo striscione della PETA, LIPU o come caspita si chiama: siete proprio uguali agli animali.

 Alla prossima

Cesare

cundari.cesar@libero.it

QUI MILANO: QUALCHE RISPOSTA……. 

     Carissimi amici sono contento del fatto che il ns. Diario comincia ad accogliere più pareri, impressioni, parole (perché di questo si tratta). Che noi calabresi riusciamo a trovare un luogo franco dove confrontarci, con serenità ma con estrema decisione e chiarezza (chissà perché per farlo abbiamo dovuto aspettare di essere “fuoriusciti” dalla ns. terra).

Non sò se trasformare questa rubrica in un dibattito tra gli “articolisti” e tra questi e i lettori o farla rimanere un soliloquio. Si lettori, perché io qualche e-mail di commento ai miei articoli l’ho ricevuta (buon segno anche per il sito). Qualcuna probabilmente scritta solo perché l’autore si è trovato d’avanti un indirizzo di posta elettronica e tanto valeva cliccarlo, altre, ne parleremo tra poco, di protesta, quasi di disappunto. Poco male, anzi benissimo.

Ma la stessa corrispondenza del buon campotese meriterebbe almeno da parte mia qualche osservazione (un’altra volta, con altri tempi). -A proposito, frazione Campo di Petrizzi. A Petrizzi ho passato serate indimenticabili assieme all’amico Giorgio, assieme all’amico Andrea, Lucio, Maurizio e tanti altri-……

Cerchiamo di ordinare i pensieri. Ho la possibilità di rispondere, innanzitutto, al ns. lettore che si firma Jazzi! Tale Jazzi (fuori il nome signore!), scommetterei la mia collezione di vinili, è come me, come tanti di noi un emigrante (è un termine di merda che non dice nulla. Io mi sento emigrante anche quando, da Montepaonese vado a Montauro!!) che mi accusa di non essere grato a questa città che, dice sempre lui, mi starebbe sfamando. Ora se fossi stato un milanese si sarebbe scritto che Milano mi ha offerto una opportunità ma siccome sono calabro si vuol far passare che dopo aver sofferto i morsi della fame Milano mi ha finalmente dato da mangiare. Lo immagino, tale Jazzi, d’estate, in vacanza nel suo rappezzato paese del sud, che si lamenta sulla perenne arretratezza della sua terra, anzi della sua ex terra, che ormai lui ci torna solo in vacanza e naturalmente ad Agosto ma non starebbe un giorno in più, starci per fare cosa, pensa il beone. In Calabria si sa nessuno lavora e si sta tutto il giorno al bar, non certo a consumare ma a far nulla (che già è Nobilissima arte). Lo vedo, ne ho visti e ahimè sentiti tanti, troppi,che comizia  sulle mille possibilità offerte dal modernissimo e civilissimo nord, sull’efficienza padana di contro all’inattività meridionale. Amici, luoghi comunissimi!

Sia chiaro, nessuno è qui per fare l’elogio sociologico o politico del meridione che la mia rabbia per la sua insipienza mi divora  ed è causa, non unica, del mio non poter germogliare a contatto con le mie radici (che comunque rimangono solide, salde, grezze ma pulite come la terra che le fece dischiudere). Conosciamo tutti i mali del meridione e non sarò certo io, da questo sito, ad analizzarne le cause, a sottolinearne gli errori, a lanciare anatemi alla ns. classe politica (stavo per dire dirigente ma è meglio non strafare se no i filogramsciani come il ns. amico che grasse risate farebbero), a proporre improbabili soluzioni: lascio questo ingrato compito alla moltitudine di Catoni del sud, del nord, di ieri, di oggi, di sempre! No l’amore per la mia terra è incondizionato! Non si compra e non è in vendita, non segue le ragione del dare e dell’avere.

Il meridione non si cura dei suoi figli? non gli offre nulla se non sfruttamento o emigrazione? (cioè sfruttamento in un posto diverso da quello che ti ha dato i natali), la Calabria è un mangia-mangia dove chi può fotte il prossimo con l’onestà di farlo però alla luce del sole? (pare invece che nella rossa Emilia ci sia in ogni angolo di strada, col vangelo in mano, pronto sempre a porgere l’altra guancia, un figlioletto di Marx che non comprendendo il Capitale si arrangia con la buona novella), il cittadino è solo un cliente? un serbatoi di voti buono a secondo della bisogna? I servizi sono sinonimo di cessi e non di disposizione del pubblico verso i privati? Entrare in un Comune e come varcare il territorio di un clan? (si perché spesso gli impiegati degli enti pubblici sono un clan privatissimo). Tutto vero, anzi tutto meno peggio del vero. Risultato: io amo la mia terra incondizionatamente!

Degli atteggiamenti degli uomini non mi curo, nutro nei confronti dell’umanità in genere un certo sentimento di sana indifferenza! Delle Istituzioni non mi fido ma provo per esse un doveroso rispetto. Non chiedo alla mia terra nulla e onestamente non credo di avergli dato tanto. Certo ci ho provato, prima di prendere quel treno definitivo ho bussato, timidamente, molto timidamente a qualche porta e molte le ho trovate aperte altre addirittura spalancate; ma le stanze, quelle erano tutte vuote, e i personaggi che li abitavano di vuoto spesso avevano altro. Non mi piace il vittimismo, lo considero la piaga peggiore del meridione: la nostra terra non ci ha offerto nulla? Cosa abbiamo offerto noi alla nostra terra? Cambieranno i tempi, cambieranno! (ma occhio che al peggio non c’è fine).

Ma torniamo, se ci riusciamo al ns. Jazzi (lo ripeto, fuori il nome sù che l’arte della polemica è bello esercitarla alla luce del sole!). Ebbene invece di criticare, mi scrive, dovrei ringraziare Milano perché, attenzione, attenzione mi sfamerebbe. Se lo farà stare meglio passerò l’intera giornata di sabato a prostrarmi davanti alla madonnina del Duomo, genuflettendomi ripetutamente, o perché no flagellandomi e baciando il sacro suolo padano. Non credo serva né a far star meglio lei (o si?) né al genere umano.

     Caro sig. Jazzi (se lei, come suppongo, è anche amante del jazz, cioè di una forma sublime d’arte che nessuno capisce ma che fa molto in dire di amare, il suo profilo sarebbe completo) la mia cultura e la mia educazione cattolica, se preferisce dica pura piccolo-borghese, non mi creerebbero alcun problema a articolare quel grazie che mi imbarazza ricevere ma che amo pronunciare quando credo sia giusto farlo. Semplicemente non mi pare questo il caso! Non morivo di fame prima di essere ben accolto qui (questo glielo concedo) e, mi creda, non mi abbuffo adesso.  Ringrazio Dio ogni mattina e ogni notte, ringrazio, molte meno volte di quello che dovrei, i miei genitori, nella mia mente dico grazie, spesso, a tutte quelle persone che direttamente o indirettamente, mi hanno fatto acquistare coscienza critica e consapevolezza di quello che sono, che siamo. Non mi costerebbe nulla dire: Grazie Milano, ma per adesso la cosa mi pare ridicola, sciocca, ipocrita, meschina. Mi creda, non è questione di Milano o Bologna, di Treviso o di Catanzaro, semplicemente Milano non mi pare né il paradiso né l’inferno. Anche qui ci sono uomini e donne, c’è cattiveria e bontà. Quando avrò di che ringraziare Milano, mi creda, lo farò. Per adesso mi aspetto che Milano ringrazi tutte quelle persone che negli anni hanno chiuso pacchi con lo spago realizzando sogni ma anche macinando tragedie. Non sarò libero di scegliermi le modalità del quotidiano vivere ma di usare le parole che voglio si. O no?

 

Molte altre cose avrei da dire ma il tempo è merce rara e preziosa di questi tempi. Non mancherà occasione!

 

Alla prossima

Cesare

cundari.cesar@libero.it

 

QUI MILANO: SI ATTENDE IL WEEK-END

   Non vi sembri strano: è venerdì pomeriggio e a Milano sta per scattare il week-end. Immagino anche a Soverato!

Fino a qualche anno fa (parecchi) si sarebbe detto fine settimana, ma da Happy Days, la mitica serie di telefilm, in poi gli Italiani hanno preso confidenza con questa espressione che nella maggioranza dei casi è sinonimo di liberazione dal capo ufficio, dal traffico, dal perenne ritardo dei mezzi pubblici, dal trillare della sveglia, insomma dal lavoro, questa categoria mostruosa che dovrebbe dare dignità ad attività che spesso ne sono assolutamente prive. La nascita del week-end coincide con l’italico boom economico. L’equazione al contrario è semplice: no lavoro, no week-end! Si, perché il week-end è fatto per il lavoratore, quello dello studente non è uguale e senza scandalo nemmeno il week-end del soveratese è uguale a quello del milanese. Che sia meglio o peggio non saprei nella misura in cui è come tutto, un po’ meglio e un po’ peggio. Proviamo a spiegare.

Quando a Soverato ero studente il sabato, all’uscita dalla scuola si scendevano le scale del mitico Istituto Salesiano e certo c’era la consapevolezza che ci attendeva qualcosa chiamato week-end, ma questo qualcosa agli occhi di noi studenti coincideva con l’idea di buttare da qualche parte lo zaino dei libri e farlo riposare senza assolutamente disturbarne il sonno almeno fino a domenica sera. Il week-end era libertà dai compiti (non sempre dallo studio e per molti secchioni nemmeno dai compiti).

Un po’ più grande, diciamo da diplomando, il week-end cominciava ad assumere un      sapore più robusto. La scuola ci stava stretta, i compiti cominciavano a non essere più un grande problema - c’era sempre il lunedì mattina per copiarli dal Pirla di turno (che ingrato!) - e la voglia d‘evasione tipica di quell’età si concentrava su quel breve periodo. Che iniziava un po’ prima del sabato. Già il venerdì si cominciava a parlarne, ci si riuniva, ci si organizzava: che facciamo sabato sera? Non so tu che dici di fare? Ma vediamo che dice lui. Si ma lei non c’è! E cosi via. Tante chiacchiere per soluzioni sempre uguali. Alla fine il problema era decidere se optare per una cena a casa di qualche amico (Che mangiate e che bevute a Petrizzi, a Olivadi, a Soverato, a Gasperina, a Montepaone) o un pub, all’epoca un totem per noi giovani. E se si optava per un pub nasceva il problema di decidere quale: il T-Monk a Soverato? L’Irish pub di Gasperina? (oramai un fossile), La Botte a Montepaone Lido, Russomanno ecc.. ecc.. Serate non molto diverse tra di loro ma tutte ugualmente utili a formarci. In quei luoghi ho avuto la fortuna di non parlare solo di quisquiglie, ma di filosofare, di interrogare il quotidiano, discutere di attualità, spesso di politica paesana, di guerra, di Dio, dell’amore o più precisamente di femmine, di una serie infinita di cazzate. E poi di musica, di rock senza il quale molti di noi non sarebbero quello che sono e non avrebbero la consapevolezza di essere proprio quelli lì e non altri.

Il week-end in ogni caso diventava o continuava ad essere libertà dalle costrizioni scolastiche, dagli orari canonici dettate dal costume tacito della famiglia e libertà di volo, seppur pindarico, verso i nostri sogni, verso una maggiore consapevolezza di noi stessi. Ricordo come il sabato era dilatato, come il tempo del riposo sembrava durare più della sua durata. Penso che sia quella l’età in cui nasce la coscienza critica nei confronti dell’esistente. Poi non la si può più creare! Poi si diventa muli: o Fantozzi o black block!

Poi venne L’Università ma il fatto di averla fatta Fuori casa, il fatto di non essere obbligato a seguire le lezioni, insomma quel velo di libertà scaturito da questa condizioni, fece retrocedere il week-end alla banalità degli ultimi due giorni della settimana. Il week-end non era più un occasione ma una ripetizione, era sabato e domenica ma poteva essere martedì e giovedì.

     Poi venne Milano e il week-end fu di colpo il Dio pagano, lo scopo di una settimana, un’occasione che se perduta o vanificata o non riuscita ti precipita nella disperazione di non trovare un senso per i tuoi giorni, un Incubo. Molto di più il week-end è la Prova: che ci sei, che esisti che non sei andato a lavorare per cinque giorni invano! Mio Dio arriva il week-end: mammamia che si fa?! Faccio il week-end dunque sono!

Si comincia Mercoledì mattina. Te ne stai in metropolitana e osservi quelle giacche e quelle cravatte tristissime che bisbigliano alle tristi facce del terziario il conto dei giorni mancanti: mercoledì, giovedì, venerdì poi finalmente sabato. Vediamo, “si va in Liguria al mare, sì ma quando si parte?” Bisogna evitare il traffico e assicurarsi del Tempo: che non ci si imbottigli, che non piova! “No, si va in montagna, si va in un giorno e si torna o si va in albergo?” “Ma no l’agriturismo è meglio, ti puoi rilassare, puoi respirare sano” (pensateci respirare sano è un problema, si cerca l’aria!) “e poi si mangia bene e si passeggia, si va a cavallo o in mountain bike. Si risparmia e si fa un week-end salutare”. Allora si comincia a telefonare alle aziende turistiche, alle aziende agricole per avere informazioni, ci si assicura dei mezzi di trasporto: ma ci sarà ancora posto? Uno, due, tre tentativi. Questo è pieno, questo è caro, questo è lontano, qui non c’è la prima colazione, lì manca il bagno in camera, là hanno rubato metà prato e il cielo ha venduto la sua luce. Venerdì il week-end deve ancora cominciare ma che stanchezza! Qualcuno, più furbo o meno intraprendente, decide per una mostra in città, sia va via in metrò, tranquilli, e ci si fa una cultura: si và a vedere Warhol, quello delle scatolette e della Monroe. Va bè, ma chi sarà sto Warhol? “Cazzo è uno tosto, guarda che tira!” OK.

Altri optano per il teatro, “tanto ho appena comprato un nuovo abito e con quelle scarpe sai che figurone”! D’altronde l’immagine non è tutto, è la realtà!

Moltissimi finiscono a Parco Trenno o al Sempione, lì il verde si perde a vista d’occhio, ci sono pure i laghetti con le papere, un paradiso, peccato che sia circondato dall’inferno. Ma che importa nel week-end si affronta un sogno, un’illusione: se non ci si diverte nel week-end!

Certo, lo so, vale un po’ per tutti, per Milano come per Catanzaro. Certo i ritmi cambiano. Ma temo che il week-end a Milano come a Catanzaro non sia più (si sono reazionario!) un’occasione per riposarsi, per riprendere fiato, per oziare (otium) ma un cliché, un abitudine, un prodotto confezionato realizzato per essere fatto, perché deve essere fatto, un rito che esorcizza. Perché bisogna pur dare l’illusione di essere affrancati per qualche giorno dalle catene del quotidiano.

Il week-end coincide o nella mentalità comune è sinonimo di libertà, di liberazione dall’usuale: ma chi ci libererà dal week-end?

Ora vado, parto per il week-end!

Il nuovo sito SoveratoWeb è una di quelle iniziative che, per tutte le realtà locali calabresi, dovrebbe rappresentare la normalità (che rappresenti almeno un esempio) Questo, come altri strumenti di comunicazione non necessariamente legate alle Amministrazioni dovrebbero diventare il segno tangibile dell’ attaccamento alla terra di Soverato, dei paesi vicini, della Calabria e ai suoi cittadini. E magari, senza sostituirsi alle amministrazioni, offrire quei servizi elementari troppo spesso, più per ignoranza e incompetenza che per bassezza dei singoli, considerati dalle nostre parti come favori, benevolenze, prerogative dei soliti che amano più le poltrone morbide che la propria terra, che i propri concittadini al servizio dei quali dovrebbero essere! Con l’augurio che il sito sia l’inizio di un percorso di crescita della nostra coscienza di figli del Golfo di Squillace Vi mando questa breve corrispondenza introduttiva da Milano (che oramai si riconosce solo da Duomo).

MILANO, PROFONDISSIMO SUD.

 

    Milano e’ una città grande, popolosa ed estremamente (post)moderna. Sembra che il suo tratto distintivo sia, appunto, la modernità detta, gridata, abusata in ogni dove.

Milano è immensa. Paradossalmente, pur essendo meno popolosa della capitale, molto, molto più grande, più abitata, circolata, più abbondante (Milano è anche il suo interland). Dunque più grande della provincia calabra, delle sue città (sic!) figuriamoci dei suoi paesi, dei borghi e delle frazioni, di Soverato e di Montepaone Lido, perfino di Chiaravalle.

Milano è ancora per molti di noi calabresi un destino inevitabile, come quarant’anni fa. E si sa, il destino è più facile subirlo che correggerlo. Per correggerlo poi, o per tentare di farlo, ci vuole lungimiranza e sapienza: vedete voi dalle ns. parti più aquile o talpe?

Rispetto alla capitale Milano profuma d’Europa, è Europa (un'altra volta ci potremmo mettere d’accordo su cosa sia l’Europa).

Arrivi alla Centrale e già l’istinto di sopravvivenza ti fa credere di esserci voluto venire per migliorare la tua condizione perché Milano ti offre possibilità sconosciute o che tenere nascoste è più semplice, meno faticoso e ti senti nel mondo vero, l’unico ormai reale: quello dei TG e dei giornali, delle soap e della politica che si fa, come è ovvio, a Milano, anche se poi si declina nei Palazzi romani, della Moda e del Gabibbo, del Milan e dell’Inter  (mentre scrivo siamo a poche ore dal derby di Champions), delle migliaia di terroni che hanno fatto e fanno Milano e hanno fatto e fanno la sua modernità, dimenticandosi di esportarla oltre Eboli figuriamoci oltre il Pollino.

     A Milano noi futuri-padani arriviamo ancora in treno e se non fosse per l’amore e la nostalgia della ns. terra, dei ns. cari, degli amici chi lo prenderebbe il treno, chi viaggerebbe come nel ricchissimo e civilissimo nord non fanno viaggiare nemmeno i cinesi con la sars.

A Milano noi futuri-padani arriviamo non per vedere i Navigli, Il Cenacolo, Brera, non per andare a teatro, allo Zelig. Noi a Milano arriviamo per vedere un bonifico bancario che, unico, dà il deludente senso mensile del nostro emigrare. Chiedete a Giuseppe, o a Mario, o a Franco che di giorno assemblano piastre d’acciaio e di sera servono pizze fatte da orientali e servite da balcaniche tristezze. Loro sì che conoscono a memoria i maggiori libretti d’opera. Per loro la Scala è quella che sognano un giorno li porterà al secondo piano di una villetta in periferia, molto in periferia.

Milano è civilissima, qui non vali per quello che sei ma per quello che fai, qui non fai quello che vuoi e a stento vuoi quello che fai.

Milano, oramai, è amata solo da chi qui, venendo da una terra che ricambia l’amore con l’indifferenza, che si fa consumare dai più furbi, che alimenta l’ignoranza con scienza e coscienza, ha trovato la fortuna di un lavoro, e solo da una parte di questi. I milanesi se ancora ci sono è gente che a dispetto dei pregiudizi e del fumettone padano sogna in metropolitana per 10 mesi all’anno; e sogna quei 2 mesi in cui può bagnarsi nelle acque estive di Soverato e saziarsi di un sole che qui a Milano, nella civilissima Milano, esce solo per permettere alle imprese edili di non dover pagare agli operai le ore non lavorate.

Milano, la civilissima e modernissima Milano, la Milano di Piazza Affari e del Mib, la Milano del terziario avanzato e dei Servizi, l’immensa Milano vorrebbe tanto non essere cosi!

Perché Milano vorrebbe essere Soverato e i milanesi lo sanno. Noi no!

  

Alla prossima

Cesare

cundari.cesar@libero.it