Diario di una Soveratese in America

“Schiava di Roma, Iddio la creò”

 Questa nuova epidemia di gente che é “disturbata” dalla vista di icone religiose (cattoliche e cristiane) in Italia comincia davvero a darmi fastidio.

 E’ sicuramente un fatto positivo che l’Italia stia diventando un paese multi-razziale; incontrare e conoscere altre culture é fondamentale per la crescita personale e culturale di un individuo e di una nazione.

 L’Italia é stata una degli ultimi paesi europei ad aprirsi a questa multi-razzialità; e forse c’é stata un po’ costretta dai diversi conflitti che coinvolgono i paesi che la circondano. Ma l’abbiamo accettato e l’idea di essere alla pari con altre nazioni europee ci ha allettato.

 Suppongo sia un segnale positivo per il paese, se così tanta gente vuole venire… D’altronde siamo un paese fatto di storia e di tradizioni; non ho incontrato un singolo individuo (non italiano, naturalmente) che non abbia detto “Ah, come vorrei vivere in Italia!”

 D’altra parte non é facile convivere con chi é diverso; non sempre é facile adattarsi ad altre abitudini, altri modi di vivere, e, nello specifico, ad altri modi di pregare.  

Come probabilmente la maggior parte di voi, sono cattolica, nata e cresciuta in una famiglia cattolica, battezzata, comunicata, cresimata e sposata in chiesa. Non sono una cattolica praticante, nel senso che non vado a Messa la Domenica e non mi confesso regolarmente; ma d’altra parte, mi ritengo praticante quando si tratta di mettere in pratica i principi di vita cristiani. Cerco di aiutare chi ha bisogno, tratto gli altri come mi aspetto di essere trattata io stessa e cerco sempre di rispettare chi é diverso da me. Ma quando questo rispetto non é reciproco, mi sento presa in giro.

 Se penso a tutta la gente che ha scelto di vivere in Italia, mi viene in mente un paragone specifico: persone che condividono un appartamento. Spesso la convivenza é difficile, ognuno é diverso, ha abitudini diverse, gusti diversi, ma bisogna raggiungere qualche compromesso per una civile convivenza.

 Quando ero all’università non mi sarei mai sognata di andare nelle stanze dei miei coinquilini e togliere un quadro dal muro perché non mi piaceva… O sostituirlo con un altro di un artista che ritengo migliore.

 Allo stesso modo… Con quale idea gli immigranti, gli extra-comunitari, chiamateli come volete, sono venuti in Italia? Che si aspettavano? Un paese ateo, pronto a ricevere l’illuminazione del Corano? Che cosa ha dato a questa gente l’idea che gli italiani avrebbero rinunciato a tradizioni e simboli senza combattere?

A rischio di essere etichettata come razzista, devo fare un’osservazione.

 Sarà pure un caso, sarà una minoranza del gruppo, sarà un piccolo gruppo di fanatici, sarà quello che volete, ma, alla fine della fiera, con gli islamici e musulmani (e qui so di generalizzare) non si ha dialogo… Le cose devono essere come loro ritengono siano giuste, o niente. Le guerre sante che vanno avanti da decenni, il più recente attacco all’America e a tutto quello che rappresenta, e adesso questo attacco alle tradizioni italiane…

Io rispetto il loro credo, rispetto le loro usanze, e non mi sembra irragionevole aspettarmi che loro rispettino le mie. 

Nel Febbraio del 2001 mio marito, allora ancora nell’Air Force, andò in missione per tre mesi in Arabia Saudita. Era stazionato in una base americana, e nonostante questo, non gli era permesso bere alcol, poiché contro le usanze del paese.

 Questo io chiamo rispetto… Per tre mesi puoi fare a meno di un bicchiere di vino. 

 Ovviamente non penserei mai di andarci ad abitare, perché sono pienamente cosciente del fatto che ad un certo punto mi vorrò fare una birra con gli amici, e non mi sembra giusto tentare di imporre le mie idee ad un paese che mi ha aperto le porte ed accolto.

  Allora mi domando…

 Non avevano nessuna idea che l’Italia fosse un paese cattolico? Che immagini sacre sarebbero appese ed in mostra da tutte le parti? Lo sanno che il Papa vive in Italia? Perché pretendono di venire nel nostro paese e cambiare le nostre tradizioni?

 A me per esempio non piacciono le tuniche lunghe ed il velo davanti al viso che indossano le donne musulmane, perché vanificano, in un certo senso, tutto quello per cui le donne hanno e stanno lottando per ottenere. Allora che faccio? Vado in tribunale e chiedo che alle donne musulmane sia imposto di mettersi i jeans? O, piú semplicemente, accetto il fatto che fa parte della loro cultura, me ne faccio una ragione e vado avanti con la mia vita?

 In nome dei diritti di chi non é cattolico abbiamo abolito o reso facoltativa l’ora di religione; come mai i non-cattolici o atei italiani non si sono mai lamentati dei crocifissi su muri? Capisco che la religione musulmana non accetta rappresentazioni grafiche di Cristo, ma perché devo essere io a rinunciare a qualcosa di cosí importante? E per di piú in casa mia?

 Dov’é la coerenza, quando chi chiede che il crocifisso venga tolto dal muro, manda i figli a scuola con l’immagine del Corano sul grembiule? Dov’é il rispetto dei miei diritti di credente?

 Non sono una teologa, sono solo una persona comune che non vuole rinunciare a duemila anni di storia e tradizione; non sono pronta a rinunciare ai simboli con cui sono cresciuta.

 Probabilmente vi sarà giunta notizia della causa fatta sulla questione della “Pledge of Allegiance” (Promessa di Fedeltà), che in un passo recita “One Nation, Under God”, ossia “Una Nazione, Sotto l’Autorità di Dio”. Il padre di una bambina di sette anni, non credente, si é lamentato del fatto che la figlia, come é usanza qui in America, ogni mattina, prima di iniziare le lezioni, dovesse recitare il giuramento facendo questo riferimento a Dio. L’uomo, o chi per lui, sostiene che fare riferimento a  Dio mentre dichiari fedeltà alla nazione é incostituzionale, così ha fatto causa per avere la frase “Under God” rimossa.

 La mia paura é che anche in Italia si arriverà a discutere sull’Inno di Mameli, e che qualcuno chioderà che il verso “Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò” o, l’altro, “Uniamoci, uniamoci, l'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore” vengano modificati perché si riferiscono ad un Dio che non é il loro.

 Non toglieteci i crocifissi dai muri; anche se é una piccola battaglia, se la perdiamo corriamo il rischio di aprire le porte ad una guerra fatta di ideali e di finti diritti, dove un Dio é più “giusto” di un altro.

 Lasciateci i crocifissi, i quadri, le statue; lasciateci i simboli della nostra cultura, lasciateci la libertà di appendere quello che vogliamo sulle pareti delle nostre scuole e ospedali.

 In fin dei conti, é anche (ancora) casa nostra.

racheleconner@hotmail.com

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Sono italiano, anzi no………….

 Sembra che in America, quasi tutti sappiano cosa voglia dire essere Italiano.

Non importa se in Italia non ci hanno mai messo piede, e se l’unica cosa che sanno dire in italiano e’ “ciao”; loro sono italiani, perché il bis-bis-bis nonno dello zio era il cugino del nipote della sorella del cognato di mamma. Va bene, forse ho esagerato, ma devo ammettere di essere infastidita da quelle persone che, appena scoprono che sono italiana, vengono da me a vantarsi del fatto che anche loro sono italiani…A quel punto non riesco a trattenermi ed inizio a fare domande…Prima chiedo dove sono nati e cresciuti e, nella migliore delle ipotesi, la città ha un nome che suona vagamente italiano (per esempio Milan, leggi mailan); dopodiché chiedo dove i genitori siano nati e cresciuti, ed ipotizzo che siano emigrati 20 o 30 anni fa, ma…no, neanche i genitori hanno mai visto il Bel Paese.

A quel punto, frustrata, chiedo quel’e’ la loro connessione con l’Italia, e di solito viene fuori che uno dei nonni e’ emigrato nel ’12, e mai più tornato in Italia.

Allora, dico, NON SEI ITALIANO!!!! Tuo nonno era italiano, TU sei Italo-Americano. Con tutto il rispetto per chi ha origini italiane e ne va, giustamente fiero, se non parli la lingua, se non ci sei mai stato, e se non sai fare un piatto di pasta al dente, non chiamarti italiano…mi da’ fastidio!

Essere italiano non e’ solo una questione di discendenza, e’ un modo d’essere, una mentalità che acquisisci vivendo in Italia, e non attraverso qualche forma di surrogato, come per esempio il cognome.

Io stessa mi sono accorta di cosa voglia dire essere italiana solo dopo avere lasciato il paese.

Per chi non lo sapesse, noi Italiani siamo una “razza” a parte, per la maggior parte, invidiata.

E l’americano ha un’idea ben precisa di come gli italiani si possano categorizzare.

Il primo commento che di solito i “profani” fanno, riguarda il cibo. Danno sempre per scontato che io sia una cuoca provetta, e che ogni giorno sulla mia tavola ci siano 7 portate diverse, una più buona dell’altra. La delusione e’ cocente quando scoprono che il più delle volte la cena consiste di un veloce piatto di pasta con pomodoro e parmigiano. E non ce ne e’ stato uno che non mi abbia chiesto di cucinare per lui e la sua famigliola di 9 persone. La risposta e’ sempre la stessa…Come no? Appena ho un fine settimana libero…Buona fortuna a trovarlo…

Naturalmente qualsiasi cosa cucino io, che pure non sono una gran cuoca, e’ sempre meglio di qualsiasi cosa che andresti a mangiare in un ristorante “italiano”. Non fraintendetemi, il cibo del ristorante e’ buono, ma se ti aspetti un sapore familiare e’ meglio che ti prepari per una grossa sorpresa…E’ buono ma non e’ italiano, e’ italo-americano. E non voglio neanche iniziare il discorso su quello che loro hanno il coraggio di chiamare pizza……

Il secondo commento, in genere, riguarda la mafia…..lo so…e’ scontato…ma mi fa sempre ribollire il sangue…La mia reazione a questo stereotipo dipende, in genere, dalla persona che mi sta di fronte. Generalmente il commento e’ sempre fatto in un tono scherzoso, ironizzando sullo stereotipo stesso, e di solito finisce con il riconoscimento che, come non tutti gli americani sono grassi e stupidi, non tutti gli italiani sono mafiosi…

Poi ci sono quelli piu’ seri…quelli che sono convinti che in Italia nessuno e’ esente dall’essere “mafioso” (grazie Lucky Luciano, Al Capone, John Gotti…), e attribuiscono tutti i problemi della nazione a quei 4 gangster che conoscono.

Non conosco a fondo la vera situazione, perciò non commento, ma quello che mi fa davvero salire il sangue alla testa e’ sapere che questi individui non hanno un’idea  di quello che la Mafia e’ in Italia. Non hanno mai sentito nominare i giudici Falcone e Borsellino, e non sanno quello che la gente deve affrontare ogni giorno nelle località colpite da questa piaga…

Non venire da me a lamentarti di due gangster che nel ’30 hanno sparato a qualcuno e che sono diventati ricchi col contrabbando…Non ho nessuna simpatia, almeno finché anche tu non verserai lacrime perché uno tra i pochi uomini con il coraggio di affrontare la mafia a viso aperto e’ stato fatto saltare in aria…Non mi interessa, non voglio sentire…Oh, a proposito John Gotti non e’ italiano…e’ nato nel Bronx, lui e’ italiano esattamente come te…..IDIOTA…

Chiedo scusa se mi faccio trascinare, ma stereotipi del genere non li sopporto…e’ un’offesa rivolta a me, alla gente che conosco, alle vittime che con la mafia hanno da farci i conti tutti i giorni, e all’Italia.

Mi verrebbe quasi voglia di mandare mio cugino a sparargli alle ginocchia………..

Scherzi a parte…e’ triste che uno degli stereotipi dell’italiano sia quello di un mafioso che non mangia altro che spaghetti.

Un’altra categoria e’ quella dell’italiano vagabondo che spende le giornate al bar a bere caffè. Ebbene si, signore e signori, in Italia nessuno lavora, ed il passatempo preferito e’ giocare a carte, seduti ad un tavolino, bevendo vino o caffè. Seduti fuori, perché in Italia non fa mai freddo.

A questo commento in genere rispondo con una risata, ed ammetto che mio padre non ha mai lavorato un giorno in vita sua e che la nazione va avanti per intercessione dello Spirito Santo…E’ dura fare capire a questi stacanovisti l’attitudine dell’italiano medio nei  confronti del lavoro…Lavoro perché devo mangiare, non mangio perché devo lavorare. E che male c’e’ se i negozi chiudono dall’una alle quattro? O non stanno aperti 24 ore? Abbiamo una vita al di fuori del lavoro, e ce la vogliamo godere. Non dobbiamo chiedere scusa a nessuno. In compenso la maggior parte di noi non ha un infarto a 35 anni, non divorzia dopo sei mesi e non pesa 250 chili. TIE’, ti piacciono gli stereotipi??

L’unico argomento su cui sono costretta a dare loro ragione e’ quello che riguarda la categoria dei “mammoni”. Uomini di 30-35-40 anni che ancora vivono con i genitori, perché mamma’ cucina, pulisce e lava i panni.

Non mi piace neanche la mentalità americana al riguardo (lo so, sono difficile…), perche’ va all’estremo opposto.

Una volta compiuti 18 anni, un calcio nel didietro e tanti auguri di buona fortuna. Qui il 18simo compleanno deve essere una data magica. Qualcosa di speciale deve succedere quella notte, perché da quel giorno sei un adulto e sei (leggi: devi) essere in grado di badare a te stesso. Trovati un appartamento, perché la tua stanza deve diventare uno studio; trovati un lavoro che paghi bene, perché qui a mangiare ci vieni solo se ti invito; e trovati una moglie/marito, perché voglio un nipote. A differenza dell’italiano, un americano, a 18 anni, deve essere in grado di mantenersi da solo, ma non e’ in grado di farsi una birra al bar. L’età’ legale per bere e’ 21 anni.

Lo trovo un paradosso piuttosto divertente, il fatto che puoi guidare a 16 anni, ti puoi sposare a 18 (16 in alcuni stati), ma non puoi brindare.

Ovviamente sono sicura (…) che questa non e’ la ragione per il crescente tasso di alcolismo…………………SVEGLIA!!!!!

Se il sedicenne si può fare una birra a casa, non ha bisogno di andare ad ubriacarsi di nascosto a casa dell’amico e poi guidare ubriaco per rispettare l’orario di rientro.

Vedo occhi sgranarsi quando racconto che mio nonno mi dava vino e acqua a 7 anni. Una cosa del genere qui si tradurrebbe in un’immediata denuncia all’Ufficio per la Protezione dei Minori, e ti porterebbero via i figli.

Ma loro sono “Italiani”………Ma fatemi il piacere……..

E la lista potrebbe continuare….

 Scommetto che tutti, chi piu’ chi meno, hanno parenti in America (no, il Canada non conta…ma questa e’ un’altra storia). E probabilmente alcuni di loro vengono in Italia ogni anno a farsi le vacanze, a trovare la famiglia, a mostrare ai figli la terra in cui possono riscoprire le loro origini. Anche io ho amici di famiglia che seguono questo “protocollo”, ed io stessa vorrò farlo quando avrò figli. Perché, ebbene si, i miei figli saranno Italiani, e non perché la madre e’ italiana, ma perché conosceranno a fondo il paese, la gente, e lo spirito che dell’Italia fa la nazione più invidiata.

racheleconner@hotmail.com

11 Settembre 2001 

Nella storia di ogni nazione ci sono momenti caratteristici che diventano parte della cultura, del modo di essere e della coscienza sociale.

Gli Stati Uniti, per quanto giovani, non fanno eccezione.

Fino ad un paio di anni fa la domanda era: Dov’eri quando hanno sparato a Kennedy? Uno dei momenti che hanno definito la storia Americana e la direzione che il popolo americano avrebbe preso in relazione a molte delle controversie sociali del periodo. Avete notato come i momenti storici che più restano nella memoria e che piu’ influenzano il corso di una società, sono momenti di distruzione, di lutto, in genere, momenti che si vorrebbero piuttosto dimenticare?

Ma non l’11 di Settembre 2001. Quel giorno non può e non deve essere dimenticato.

Adesso la domanda chiave e’: Dov’eri l’11 di Settembre (qui lo chiamano 9/11, nine/eleven)? Così ho deciso di raccontarvi la mia esperienza di quel giorno, che, come nel caso di milioni di altre persone, mi ha scaraventato fuori dalla culla di sicurezza, e un po’ di presunzione, in cui mi ero adagiata.

Un anno e mezzo prima avevo sposato non altro che un militare Americano…L’avevo conosciuto l’anno prima ed era stato amore a prima vista; la guerra nei Balcani ci ha dato occasione di conoscerci e dopo la mia laurea ci siamo sposati. Mi sono trasferita con lui in Inghilterra, dove la vita procedeva tranquilla, tra il suo lavoro con i missili ed il mio, in un negozio alla base dove eravamo assegnati. Militari, circondati da militari, in una base militare…non c’e’ niente che ti possa far sentire più sicuro e protetto, fino a quel pomeriggio…

Erano più o meno le quattro a Lakenheath quando la segretaria alla reception ha alzato gli occhi dal monitor e con uno sguardo vitreo mi dice: “Un aereo si e’ schiantato sul World Trade Center.”

Io la guardo e dico: Ok… Nella mia mente le parole Che e’ il World Trade Center? Lo so che e’ ridicolo da parte mia non sapere che cosa fosse, ma così e’, pazienza…l’ho imparato in fretta quel pomeriggio, vi assicuro.

Torno dentro al negozio dove lavoravo, negozio di computer…ergo…accesso a internet. Cerchiamo di collegarci al sito della CNN ma la rete era congestionata, e mentre stavamo aspettando che la pagina caricasse, una telefonata…il secondo aereo, la seconda torre…

Uno strano senso di pesantezza comincia a scendere nella stanza, gli occhi cominciano a vagare di viso in viso aspettando, o meglio sperando, di ricevere una spiegazione per quello che stava succedendo…Parliamo, cerchiamo di razionalizzare e soprattutto di capire…

Oh, la pagina ha finito di caricare…ma, un momento…l’immagine non mostra le due torri…quello e’ il Pentagono…”Holy shit!!” e’ l’esclamazione generale…Che diavolo sta succedendo?…Siamo in guai seri…

Ed a quel punto mio marito entra nel negozio, ridendo e scherzando con un suo collega…Fino a quel momento credeva che i suoi amici gli stessero facendo uno scherzo.

Spero di non rivedere più quell’espressione sul suo viso, di quando ha guardato il monitor…un mix di confusione, paura e, soprattutto rabbia…

“Vai a casa…non ti voglio neanche vicina ad una base militare in questo momento…vai a casa e lascia il telefono libero…”

Il telefono libero significa che si sta aspettando una telefonata importante….in quel caso La Telefonata

Andando verso l’uscita guardo in giro, e ogni faccia che vedo ha il naso all’insu’ a guardare la tv…il centro commerciale si svuota ad una velocità che fa paura…davvero PAURA…

Non c’e’ ancora traffico sulle strade, molti sono ancora incollati a qualsiasi video che hanno in fronte, e probabilmente lo sarei stata anch’io non fosse stato per la reazione di mio marito.

Naturalmente, appena arrivo a casa accendo la tv…un altro aereo in Pennsylvania, questa volta e’ finito in un campo deserto…grazie a Dio…no…aspetta….e le persone che erano a bordo?…Cristo…e’ una strage…

Mio marito arriva a casa poco dopo di me, va diritto in camera da letto, apre l’armadio e tira fuori il borsone verde, quello che contiene la maschera antigas…

Che fa? Che sta succedendo? Dov’e’ la mia sicurezza? Dov’e’ la spensieratezza di un paio d’ore fa? Che cosa vogliono da MIO MARITO?

Dopo un paio di minuti mi dice che ancora non ha ricevuto ordini, ma che gli hanno detto di mantenersi reperibile…

Ci sediamo a terra, e ci incolliamo alla tv, Sky1, BBC, CNN, FOX News, qualsiasi canale che trasmetta notizie…Un’ora passa senza una parola detta…solo le mani intrecciate in quelle dell’altro, e all’improvviso qualcuno bussa alla porta…

Potrei giurare che il mio cuore ha smesso di battere per un momento…Ah, e’ solo Tim, uno dei membri dell’equipaggio di cui mio marito e’ a capo…Vent’anni e la paura che gli si legge sul viso…Non vuole essere da solo in questo momento, vuole guardare le notizie con noi…

E così siamo in tre, a terra, fumando a catena, non una parola, con l’eccezione di qualche bestemmia quando mostrano il momento dell’impatto…

Il telefono squilla…io mi sento come se fossi sull’orlo di un attacco di cuore….”…Sono io…ok….ok….ok…se cambia qualcosa fammi sapere….” Mi marito si gira e mi guarda…la base e’ chiusa…nessuno esce  e nessuno entra…fino al contrordine…

Chi se ne importa, penso io…l’importante e che tu non vai da nessuna parte…

Ma lui e’ deluso… Perché non può andare a dare un calcio in culo a quel figlio-di-puttana? Perche’ lo stanno costringendo a stare con le mani in mano invece di mandarlo a difendere la sua patria?…In fondo questo e’ il motivo per cui e’ entrato nei militari…l’amore per la patria…

In quel momento, mi sono sentita la più piccola delle cacchette…eccomi qua, preoccupata per mio marito, quando Dio sa quante persone sono morte, e chissà quante altre sono in pericolo…

Sono le 8…e’ ora di cena…ovviamente nessuno ha fame e ci fumiamo un’altra sigaretta… Tim si sente meglio e decide di andare a casa.

Io vorrei poter andare in un altro posto, dove tutto questo non e’ successo, un altro mondo, un’altra dimensione.

Tutti i politici in tv parlano di controattacco…siamo alle soglie della guerra…

Decido di chiamare a casa per tranquillizzare la mia famiglia, la base e’ chiusa, sono a DefCon Delta…se salgono a Charlie metteranno coniugi e figli su un aereo e li rispediscono a casa…solo al pensiero mi vengono i brividi…

Alle 11:30pm decidiamo che abbiamo visto abbastanza, cerchiamo di dormire, forse domani sarà migliore.

Ma mai più sarà migliore; sarà diverso, lontano, ma non migliore.

Adesso che tutto e’ stato assimilato, discusso, analizzato, l’unica cosa con cui siamo rimasti a fare i conti e’ il senso di inutilità…e se andassimo ad aiutare con le macerie? E se andassimo a donare sangue? E se….

Ma quello che davvero conta e’ cercare di riprendere la nostra vita in mano e non darla vinta al figlio-di-puttana.

Ma guardando quelle immagini la sensazione e’ che il bastardo abbia gia’ vinto. E’ solo una battaglia, dicono…noi vinceremo la guerra! …Vaglielo a dire a tutti quelli che, quel giorno, hanno perso qualcuno.

Grazie a Dio mio marito non e’ partito, e l’unica ripercussione diretta di quel tragico giorno sulle nostre vite e’ stata una settimana di vacanza che non avevamo chiesto, e che non volevamo, non a quelle condizioni.

Quanto quello che e’ successo quel giorno ci ha cambiati lo stiamo ancora scoprendo giorno per giorno…Il modo in cui la gente si guarda, più attenti a quello che ci succede intorno, sospettosi di chi ci sta nel sedile accanto in aereo, in autobus, al cinema.

Mio marito non e’ più nei militari, ma, come si dice, una volta soldato per sempre soldato. Ogni volta che un Tg annuncia la morte di un altro soldato, brividi corrono su per la schiena…sarei potuto essere io…

Per quanto riguarda me ho avuto un nodo alla gola e le lacrime agli occhi mentre scrivevo questo resoconto…I sentimenti sono ancora freschi.

L’immagine di quegli aerei, l’impatto con le torri, le fiamme, il fumo, l’angoscia…e se ti fermi un secondo a pensarci, puoi quasi udire le grida delle vittime intrappolate negli aerei e negli edifici… non si può e non si deve dimenticare, se non altro per rispetto alle vittime.

Il motto della nazione da quel giorno e’ diventato God Bless America e United We Stand. E davvero unite, forse per la prima volta nella breve storia della nazione, tutte le genti si sono alzate e rimboccate le maniche per dare supporto a chi e’ stato meno fortunato…

Non e’ tutto male quello che nuoce…9/11 ha risvegliato la coscienza di una nazione di individualisti, e li ha trasformati in una nazione di bandiere spiegate, di nastri gialli, di ritrovato rispetto per i loro soldati, pompieri e poliziotti, e li ha aiutati a riscoprire un amore che si era un po’ perduto sulla strada verso il sogno Americano: l’amore per la Madre Patria…in fondo non c’e’ altro posto piu’ caro della terra in cui sei nato e cresciuto.

Non mi importa di chi dice : ”Se lo sarebbero dovuto aspettare,” e spero di non incontrare mai di persona quelli che dicono: “Gli sta bene.”

Non sono americana e non mi sento americana, ma cio’ non cambia il fatto che quel giorno migliaia di vite sono state stroncate, e chissa’ quante altre sono state distrutte, per un ideale che non c’e’.

Il rispetto della vita umana dovrebbe essere una priorita’ al di sopra di qualsiasi ideale o fanatismo.

La gratuita’ di quell’atto e’ cio’ che piu’ mi fa tremare. Se l’hanno fatto una volta, chi dice che non lo rifaranno ancora?

A noi gente comune non resta altro da fare che tenere gli occhi aperti, e prenderci cura l’uno dell’altro.

 

Per non dimenticare:

America Attacked, 9-11

 

racheleconner@hotmail.com

LA CORTE NON SI AGGIORNA…

 Vivo in America da più di un anno e ancora alcune cose che vedo mi sconvolgono. Non voglio generalizzare e scatenare l’ira di qualcuno che non condivide la mia opinione, perciò voglio dire subito che quelli di cui vi scriverò sono casi estremi, ma che credo riflettano in un certo modo l’atteggiamento un po’ comune della vita di tutti i giorni. Non so se vi e’ arrivata voce da quelle parti, del caso che e’ stato appena chiuso in tribunale, in cui una sessantenne ha denunciato una casa produttrice di sigarette perché lei sta morendo per un tumore ai polmoni. La pretesa e’ stata che lei non sapeva che le sigarette fossero un fattore di rischio per il cancro, e che la colpa e’ del produttore che non ha provveduto ad informarla… A sessanta anni c’e’ da chiedersi dove la signora fosse negli Anni ’70, ’80 e ’90 e come mai non abbia letto sul pacchetto l’avvertenza scritta in lettera enormi che dice: IL FUMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE. Nessuno ha obbligato la signora a fumare, e nessuno crede, neanche per un secondo, che lei fosse totalmente all’oscuro dei danni che provocati dal fumo (e se anche fosse, lo erano anche tutte le persone che conosce??!). Ritenete I miei argomenti validi? Voglio supporre di si perché sono dettati dal buon senso. Fatto sta che la signora ha vinto la causa e si e’ accaparrata qualche milione di dollari. Vi racconto questa vicenda perché e’ un perfetto esempio della mentalità Americana, con le dovute eccezioni. Se c’e qualcun altro che può assumere la responsabilità delle TUE azioni, fagli causa…con ogni probabilità vincerai. Ne hanno fatta di strada con  battaglie civili, movimenti per I diritti delle donne, contro la segregazione, contro la discriminazione degli omosessuali, e chi piu’ ne ha piu’ ne metta. Di fatto sono andati agli estremi, e quelli che sono i diritti per uno, sono cause in tribunale per chiunque altro. Dr. Martin Luther King Jr., una delle piu’ eminenti figure della rivoluzione sociale Americana, probabilmente non sarebbe felice di vedere che il suo lavoro e tutto quello che gli e’ costato (la vita, per chi non lo sapesse), ha prodotto una società di irresponsabili “piagnoni” che si rifiutano di ammettere che hanno commesso un errore e affrontarne le conseguenze. Non a caso ho menzionato Dr. King Jr., poiche’ il gruppo sociale che piu’ sembra ossessionato dalla difesa dei propri diritti sono gli Afro-Americani (A-A). Pensando al loro background non e’ difficile comprendere da dove deriva il timore di perdere i diritti che sono costati la vita e il sangue di tanti, a partire dagli schiavi deportati all’inizio del 1600. Tuttavia questo timore non deve e non può essere la giustificazione per tante ingiustizie che si nascondono sotto le false pretese di razzismo. Per lungo tempo qui si e’ parlato di reparation, cioè della possibilità di ripagare (letteralmente, con soldi) tutti gli A-A per gli anni di schiavitù che I loro antenati hanno dovuto sopportare. La mia opinione, e quella della maggior parte degli americani (inclusi alcuni A-A), e’ stata espressa perfettamente da un giornalista, di cui vorrei tanto ricordarmi il nome ma al momento mi sfugge, che ha scritto una lettera, qualche mese fa, al Direttore del Dipartimento di Studi della Storia Africana di un’ Università, accanito sostenitore della idea di reparation. Nella lettera il giornalista afferma: “Sono disposto a pagare un milione di dollari per ogni schiavo che posseggo, e un altro milione per ogni anno che tu hai passato da schiavo”. Con tutto il rispetto per chi la schiavitù l’ha vissuta, e tanti la stanno ancora vivendo, in forme diverse, non c’e’ morale che possa giustificare un risarcimento monetario per quello che gli antenati hanno o non hanno dovuto affrontare. Un altro tipico esempio, a mio parere, dell’ideale americano di costringere qualcun altro a pagare per qualcosa che e’ al di fuori del volontario controllo di chi si ritrova a scusarsi per qualcosa che qualcun altro ha fatto. Volendo parlare di razzismo, un caso che e’ andato fino alla Corte Suprema e’ stato quello che riguardava la politica di ammissione all’Università del Michigan. I dirigenti dell’Università’ volevano assicurare una certa diversità all’interno del campus, cosi’ hanno pensato bene di adottare una scala di ammissione a punti, dove venivano considerate le solite cose, risultati scolastici, test, etc…, e razza. Cioè, se un candidato fa parte di una minoranza etnica riceve 20 punti in piu’ rispetto ad un bianco. A parità di punteggi, il nero, il giallo, il rosso, il marrone, hanno “più” diritto di andare all’università’ di un bianco, perché i bianchi sono piu’ numerosi. Parli di discriminazione!! Naturalmente la Corte Suprema ha deliberato contro queste regole, giudicandole incostituzionali e le ha abolite. La mia domanda e’: C’era bisogno di andare fino alla Corte Suprema? Non sarebbe bastato un minimo di buon senso? (altamente sottovalutato da queste parti). Se davvero ci tieni tanto alla diversità, perché non crei dei posti riservati a membri di minoranze etniche, senza penalizzare nessuno? Mi rendo conto che si tratta di esempi estremi, e che schiavitù e razzismo sono argomenti controversi, ma non e’ di questo che sto parlando. L’idea e’ piu’ generale, e riguarda l’interpretazione che gli americani di oggi danno della Dichiarazione di Indipendenza, firmata nel 1776, ancora assolutamente moderna, ma che viene usata ed abusata in modi che, sono certa, non erano nelle intenzioni di chi la firmo’.  Il diritto alla vita, alla liberta’, alla felicita’ e cosi’ via, sono fondamentali per una societa’ che voglia definirsi civile. Tuttavia, questo non comporta colpevolizzare tutto e tutti, a parte se stessi, per quello che succede ogni giorno e che non piace.. voglio farvi un ultimo esempio, che ha fatto parecchio discutere l’intera nazione. Ancora una volta, una causa in tribunale, questa volta un uomo, 200 e piu’ chili, ha deciso di denunciare McDonald, perche’ ritiene che quel fast food e’ la causa della sua obesità. Ha ragione!! Chiunque diventerebbe obeso mangiando fast food tre volte al giorno. Il fatto e’ che chiunque, con un minimo di buon senso (ancora una volta le paroline magiche) starebbe a casa a farsi un’insalata. L’uomo, per fortuna, ha perso la causa, ma la mia impressione e’ che il tribunale non ha voluto stabilire un precedente, dato il tasso di obesità in America (56% della popolazione). Raggiungete le vostre conclusioni, la mia opinione l’ho condivisa. L’America e’ un enorme polentone di culture diverse, ed avrebbe potuto scegliere I migliori aspetti di ognuna, ma che si sta trasformando in un posto dove ti devi fermare e pensare due volte a quello che stai per dire o fare, ed essere sicuro che non offenda l’afro-americano, l’obeso, il gay, etc…, o altrimenti corri il rischio di finire in tribunale per razzismo, discriminazione, violazione dei diritti umani, o qualsiasi altra cosa passa in mente all’idiota di turno.

E la mia libertà di parola va a farsi friggere….

racheleconner@hotmail.com

Replica alla replica 

Ci ho pensato per un paio di giorni ed alla fine ho deciso che una replica ai commenti di Cesare sull’ articolo “La corte non si aggiorna” fosse, non di dovere, ma almeno una buona idea.

Non vorrei che tutto si trasformasse in un “Lui dice, Lei dice”, ma se una cosa mi e’ rimasta dentro dai tempi del Liceo Classico, e’ la necessità del dibattito e del confronto di opinioni.

E’ questa libertà di espressione che rende la vita interessante, scoprire i modi diversi in cui la gente elabora ed interpreta stimoli ed informazioni provenienti dal mondo esterno (scusate, ma la parte di me che ha studiato psicologia a volte prende il sopravvento…).

Prima di tutto lasciatemi ringraziare SOVERATO WEB e il WebMaster per l’opportunità’ di scrivere sul sito e, di conseguenza, tornare in contatto con la mia città. E poi voglio ringraziare Cesare per il tempo che ha investito non solo nel leggere il mio scritto, ma nel rispondere allo stesso.

Devo ammettere che per capire tutto, o quasi, quello che Cesare ha scritto ho dovuto non solo stampare l’articolo, ma rileggerlo un paio di volte. Non vuole essere una critica al modo in cui Cesare scrive o analizza un problema, solo volevo essere sicura di capire quello che l’autore voleva davvero esprimere, per non correre il rischio di scrivere una replica totalmente fuori tema.

Non dovrebbe essere una sorpresa il fatto che non abbia ancora, come dice Cesare, “digerito, metabolizzato” la cultura americana. E’ una scelta fatta in piena coscienza e di cui vado fiera.

Gli Stati Uniti sono una grande nazione, piena di opportunità per chi le sa sfruttare e sempre pronta ad accogliere tutti coloro che vogliono contribuire e fare parte di questo grande “sogno”. Ma, ovviamente, non e’ priva di difetti e mancanze.

Sono Italiana, e se dovessi scegliere di cambiare il mio modo di essere, sarà per qualcosa migliore di quello che già conosco e, per il momento, la cultura americana non si e’ dimostrata tale; e’ per questo che mi rifiuto di “metabolizzarla”. Tuttavia, il fatto che io non mi voglia “convertire” all’americanismo, non vuol dire che la maggior parte della popolazione non sia degna di rispetto.

Detto questo, sono assolutamente d’accordo con Cesare quando definisce il mondo occidentale come “la tomba dei diritti”. Chi scrive non ha un background filosofico forte come quello di Cesare, per cui non voglio neanche tentare ad addentrarmi in discorsi o affermazioni che sarebbero decisamente più grandi di me, ma qualche commento lo voglio fare.

Quando si da’ qualcosa per scontato si finisce sempre col deprivarlo del significato più profondo. In questo caso si parla di “diritti”. Che cosa c’e’ di più scontato del diritto alla vita? O di parola? Quanti di voi al Bar dello Sport, si fermano a pensare a quello che stanno per dire a proposito della squadra avversaria? O quanti hanno pensato di denunciare qualcuno perché vi ha chiamato terrone? Be’, provate a venire qui ed a chiamare qualcuno  “ricchione”…

Cesare ha commesso un errore nel credere che l’articolo vertesse sul tema dei diritti delle minoranze. Ci ho pensato due volte prima di esporre la realtà delle cose, perché mi lusingava il fatto che si pensasse che avessi così alti ideali, ma l’articolo voleva semplicemente essere uno sfogo, un lamento per l’uso e l’abuso che questa società fa quotidianamente dei propri diritti e, nello specifico, del sistema giudiziario.

La più piccola ed insignificante causa portata in tribunale ha un effetto disastroso sulla mia busta paga, e, scusate se non sono “socialmente coinvolta”, ma non mi va di pagare per le sigarette che la signora si e’ fumata per 40 anni.

Forse Cesare ha ragione quando definisce la democrazia il male minore… ma che prezzo dobbiamo pagare noi, gente “normale”, per i diritti di chi dei diritti non sa che farsene se non cercare di estorcere denaro dal malcapitato di turno?

E, contrariamente a quanto Cesare scrive, l’America non e’ nata democratica; il lavoro ed il sacrificio di tanta gente e’ servito per raggiungere quello che oggi conosciamo come gli Stati Uniti.

Non dimentichiamo che la lotta per i diritti umani e’ relativamente recente (ed ancora in corso), ma di certo non risale ai tempi della colonizzazione. Al tempo non c’era democrazia per i poveri, per le donne, per la gente di colore. Le dimensioni del paese e lo stato federale, poco hanno influito sulla vita di tutti i giorni di quella gente che non aveva neanche il diritto di votare.

E non riesco neanche ad accettare il fatto che la coscienza americana sia rappresentata da quattro gruppi rock, come Cesare dice, citando, tra gli altri, Elvis ed i Doors. Sicuramente il mondo della musica e’ stato, soprattutto negli anni ’60 e ’70, lo specchio del cambiamento sociale che la nazione stava attraversando, ma la coscienza sociale del paese e’ costituita da gente che lavora sodo per quello che vuole ottenere, anche se, qui e li’, si incontra il “furbo” di turno, che vuole fare soldi facili. Elvis ed i Doors hanno sicuramente contribuito allo svegliarsi di una nazione che stava riposando sulla certezza di ruoli sociali ben determinati, delle gonne sotto al ginocchio e della verginità fino al matrimonio. E’ stato uno scossone forte al mondo in bianco e nero, dipinto nel film “Pleasentville”, ma ha anche contribuito al degrado di un’intera generazione, ma questa e’ tutta un’altra storia.

Il bigottismo c’e’ ancora, ed e’ anche molto forte. Se in Italia siamo abituati a vedere donne nude alle 3 del pomeriggio durante lo spot per uno shampoo, o ballerine in costumi minuscoli la domenica pomeriggio, qui una parola considerata volgare può provocare lo shut-down del programma che ha avuto la sfortuna di invitare l’ospite sbagliato. Sgarbi sarebbe stato deportato il secondo giorno, invece di fare carriera… A prescindere dall’opinione che uno ha di Sgarbi, almeno lui ha la libertà di esprimere la propria opinione in modo chiaro e forte, se non ti piace, cambia canale. Di certo non avrebbe avuto un’opportunità del genere in questo paese.

Vogliamo parlare di bigottismo? Eccolo qua il paese delle contraddizioni, con un matrimonio su tre che finisce in divorzio, strip clubs ad ogni angolo della strada, e le censure su CD, film e TV. Non sono certo gli Anni ’50, ma se in un film il copione prevede una parolaccia, una volta in TV, e’ sostituita da un inquietante bip.

Cesare ha ragione quando dice che si e’ persa la dignità del dovere. Dov’e’ finito il senso di responsabilità, il rispetto nell’adempiere al proprio dovere, e la soddisfazione di una giornata di duro lavoro?

Cesare ha riassunto egregiamente il punto che l’articolo voleva toccare: “che i piagnoni la smettano di lavarsi la coscienza addossando ad altri la responsabilità delle loro azioni consapevoli”. Questo era il vero spirito dell’articolo, non una sommaria difesa dei diritti delle minoranze. Non ho uno spirito così nobile…

racheleconner@hotmail.com

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