Macchie Indipendenti

SCRITTI PER NON PERDERE LAGLORIA

E SE DOVESSI ANDARE

ANDRO’!

RISERVA PRISMI DI RIFRAZIONE LA VITA,

CAUSTICHE MAZZATE

DOLCI CAREZZE INSPERATE!

MA SE DOVESSI ANDARE

ANDRÒ!

SENZA CONVINZIONI DI ALCUNCHÉ

MA CON ALCALINE INCONSISTENZE MI FARO’ PORTARE DAL VUOTO CHE GOVERNA DESTINI!

E, ARRIVATO DOVE NON SO’, NON SAPRÒ MAI

LIEVEMENTE,

UN AFFLATO GORGHEGGERÀ INCOMPRESO

DOVE È IL NULLA PIÙ, IO SONO!

 

Il sovvertimento,

lo strappo estremo,

l’affermazione del sé

ritirandosi nel nulla più.

Il viaggio nella lunga oscurità dell’eterno o dell’istante.

Abbagli di partenze ultime

che non volevano partire

dal mio stare;

e prima di andar loro dietro

mi sono nel mio mondo

lucentissimo

ritratto

riverbero incompleto.

 

Orde di ipotesi

si mescolano a

radicate convinzioni,

a saperi di cui non abbiamo sapienza.

Ci placano soluzioni

che fanno sgombro il timore

che inchiodano imputati,

che fermano l’assillo

di cercare sotto il velo

che si offre

a verità.

Tutto sommato chi non aspira

a sonni tranquilli!

 

Tutto monta all’alba di un mattino normale,

gonfia a poco a poco

il nuovo giorno

e si ritrae eternamente a sera

 

Salvami da incendi che sfiorano

tensioni troppo tese,

volgi a me lo stupore che rivolgi a tutto ciò che ami, e

mostrami lo sguardo che dice imbarazzato la gioia.

Ninfetta che crei in me squilibri,

se tu vedessi il petto mio,

squarciato dai tuoi lobi,

distrutto dal profumo che tu spargi, ninfetta solo mia,

ad ogni tuo passaggio e,

se sapessi o,

se riuscissi a scavare sotto il volto

che nasconde il fuoco che divampa,

tu mi cederesti la tua vita e,

il mio respiro diverrebbe pace tra i tuoi seni,

gli occhi esploreranno la tua luce inviolata e,

le mani porteranno alla bocca le tue mani, la tua luna e la tua bellissima cintola di leopardo.

Poi andremmo, stelle tra le stelle, a seppellire i nostri corpi con le macchie nere del mare e

in quel abisso

colmeremo l’abisso

del nostro amore inconsueto.

 

 

FURIBONDA LITE  

Quale punto sei

tu

in questo mondo di virgole

messe lì come si mette un calzino alla mattina

come si indossa una faccia al risveglio,

come si dicono parole

nel vento del parlare?

Ed io quale segno sono

nel simbolico universo del tuo giorno,

nella stanchezza dei tuoi baci,

nella notte della tua rassegnazione,

nell’agitarsi dei tuoi momenti in cui

il controllo non vince

sul tuo grido di stanchezza?

Non m’importa più ora…

…affianchiamo i nostri palmi

come due punti esclamativi

dopo la parola Basta!!

Il senso da sempre cercato

non trova sensate risposte.

Da sempre l’intendere ciò che s’apre alla vita

diventa progetto che porta, epicedio, alla morte.

Il salto nel buio nero della fede mi provoca;

forse solo là dove tutto ciò che si cerca

diventa mistero, solo là sarà salvezza…

ma da che cosa e perché?

Un veleno misterioso mi scorre vagabondo

nelle vene, mi fa dire cose che penso e che non penso.

Mi contraddico ogni volta parlando

e dubito di me stesso

che trova nel dubbio una tregua da una guerra mai proclamata,

 eppure,

ogni attimo, che fugge sudato, combattuta.

Io non voglio risposte: ma perché ogni volta del fondo di un fondo smarrito

Si precipitano domande?

Ho scartato in un attimo mai assaporato tutte le domande consuete ed inutili;

è rimasta una tremenda richiesta muta

che attende

più che una risposta

la nuda carne offerta al silenzio.

 

Non è Ispirazione

la fonte di questo logos,

il frutto di un epochè

della lucida coscienza,

una momentanea distanza di ragione,

un estasi innaturale.

Non sono perfette geometrie,

sapienti ricerche di belli

ornamenti,

architetture del dire,

edifici conchiusi di lemmi.

Estrapolo dal povero mio vocabolario

queste frasi,

argini, ripari,

nascondigli improvvisati

dove

s’assopisce il tempo

del mio breve tempo,

il teso ordire

del mio dire naïf,

quello che sono a stento.

 

POPOLO DI SEATTLE,  DIVISE BIANCHE,  ANTIGIOTTINI E ALTRE BANALITA’

  

Popolo di canaglie

potreste avere il coraggio del vostro disagio,

umanissima condizione dell’occidente del post-tutto

ma non avete il coraggio nemmeno

dei vostri gesti,

del vostro progetto confuso perché

poggiato su un passato che non avete

saputo comprendere,

orientato verso un futuro informe

come i vostri pensieri più pesanti!

Anche il vostro è un parricidio mancato

figli ingrati di un tempo debole

che disprezzate

ma che le vostre azione, per prime,

rinforzano.

Coraggiosi del passamontagna, eroi di carta pesta

abbiate il coraggio delle responsabilità, non verso il sistema ma verso

la bellezza senza tempo di un tempo che voi

imbruttite.

Prodotto perfetto di un secolo che non avete

saputo capire, che ora vi divora

prendendosi gioco,

insieme a se stesso,

di voi.

 

Pure questo cielo mi costringe

uomo;

questo tempo che su di me scorre

impietoso.

Il giorno che fa sponda al buio eterno

della lunga notte,

l’incontro sperato con l’altro che a se può dir tutto

e solo a se.

E la speranza, se non sempre disillusa amena,

mi consegnano

tormentosamente

al quotidiano,

Ancora!

Si porge il soldo al mendicante,

si è disposti a lenire con l’accenno

ciò che si manifesta con un urlo,

a scrollare con gli sguardi, corpi ciechi

di sconsolati poveri.

Uomini e donne profondi come il vuoto niente,

presenze reali,

cadute

mai per caso,

in un tempo remoto

che affonda nel tempo irreale.

Il solco pesante che traccia la terra,

tragico segno d’umano dolore.

19/08/1996

 Involati con me, mia dolce amica,

al di là di ciò che è eternamente compiuto

fuggiamo!

Il mondo è forse poca cosa?

Che ci importa del mondo,

fuggiamo!

Il vaso notturno mi pare stellato di petali, e

mille schizzi vicino al mare

colpiscono il mio corpo

stanotte.

Li vedi gli amanti scellerati? Lì vicino alle schiumose parole dell’acqua, li vedi amarsi?

Ti ho gia raccontato di averli visti sprofondare nel solco del vulcano?

Lì vicino agli zampillii di fuoco li ho visti amarsi.

Fuggiamo insieme io e te

verso la felicità a venire.

Che c’importa del fuoco e della terra

e dell’acqua? Forse anche lì potremmo perderci.

Perché smarrirci ora che ci siamo trovati?

Perché amarci nel tempo che non sa amare?

Perché separare i nostri corpi, tu nel fuoco e io sulla terra,

perché?

Voglio amarti nel persempre,

mia cara amica moriamo insieme stanotte!

 

Insondabile
 

Dove volgere lo sguardo

per intendere,

ultimo viaggio prima della fine,

l’apertura originaria che spalancò

sul mondo

l’umanità dal nulla?

Si ammassano nella memoria quotidiana

immagini di un’umanità minima

che cerca,

desolante verità,

di esserci

riducendo tutto a niente.

Eteree parole,

che annunciano sconfitte sul campo

che sono ogni volta

corpi di uomini.

Arbitrii e violenze ricevute

nel silenzio

della nostra umanissima condizione,

orrori giornalieri che ci sfiorano,

fin tanto che non ci affondano,

come foglie dell’autunno: il nostro volto si fa greve

per un attimo.

Poi ritorniamo solamente noi.

Esseri messi, una volta, al mondo!

Quando verrai

Io sarò lì,

non temendoti,

ma rubricando di te

tutto quanto hai lasciato

dipanare prima!

Non singhiozzerò

né sopravvaluterò

alcunché:

semplicemente pregandoti

di prendermi di fronte; ch’io possa

vedere nel volto

il tuo senso eterno di nulla.

 

06.53 difronte mio fratello il mare

 

Quando al mattino

il pensiero s’inciela ebbro

la carne mia vaga leggera tra i profumi della terra:

Silenzio!

L’anima mia sfondata trova nel respiro dell’etere la pace

e quasi pare che l’erramento di una vita sia smorzato:

Ascolta!

L’occhio tremante,

costante testimone del mio oblio

si placa

e il nervo teso, fedele servitor di questo tempo dorme:

Guarda

la simmetria sfuocata del mar che curva ampio

e quell’incontro immemorabile e forzato con la sponda:

Andiamo!

La volta mattutina ora reca i tratti

del per sempre,

e il mar e le montagne

e questa sabbia

fiaccano l’umano intendimento

tant’è ch’io li canto, sconcio,

come chi s’inchina al sovruman ordinamento!

Partiamo,

che noi accadiamo in questi luoghi come un gregge!

Tornando da nessun luogo

  

Inquietudine!

La parola che risuona ad ogni passo

Tremore!

Il demone che accompagna ogni viaggio

Fluido!

Questo tempo

come fluido sono anch’io.

L’anima mia (se la vedessi che piacere orrendo proveresti) sedotta

da una ninfa malata

non sa rimettersi per ora dalla malattia,

e il cuor se ancora esiste ha abbandonato la sua casa:

il petto vuoto grida come l’ateo cacciato dalla chiesa

e il mio silenzio, balbettando, si nasconde al temporale.

Eppure, intorno

tutto quanto tranquillo pare e soleggiato.

 

Chi può dire che cos’è tristezza?

Si alza dall’umida vasca un gabbiano

e poi subito atterra,

l’impronta di cane che caccia

lo sparo dell’anima colta

che vibra tra occhi distratti

tra corpi di uomini morti.

Chi può dire che cos’è tristezza?

Il giovane eccede la vita

La donna ch’è pronta alla notte

I letti, tenaglie di belle fatiche,

le case, segreti dai più bisbigliati,

i nervi tesi d’angoscia

tra i corpi di uomini morti.

Ma chi può dire che cos’è tristezza

Se l’anima s’inciela ebbra

tra i soffi del vento stellare,

se il corpo distratto da mondo

si piega nel pozzo abbissale,

nell’antro che spezza il cammino,

nel cuor dove ride l’affanno!

 

La fame porta al vuoto della testa,

alla non pronunziazione dell’intelletto

alla disperazione che si assopisce

con qualsiasi cosa

non sia come lei.

La disperazione rende gli occhi più docili

e il fare più semplice

e la morale più sbiadita

e la fatica più umana.

Ma fin quando io

non l’ospiterò nel mio involucro

fin quando il mio stomaco non smanierà,

i miei occhi tremeranno

ancora

di nervoso,

e il mio fare dovrà complicarsi,

e la mia morale non ammetterà sfumature:

la mia fatica sarà questa.

 

- Quest’oggi-

  

     Come se tutti noi

fossimo

di dura pietra e

la nostra vita

strada impolverata,

lastricato muto;

Ci calpesta la stupidità

e ci consegna al banale!

 

Nel Terzo

 

Cammino ancora,

ancora cerco il volto

che mi significhi,

ma ancora

torno sempre a me stesso,

erro a ritroso!

Che l’altro si riveli senza inganni,

ch’io possa sapere,

finalmente,

che sono?

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