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LA MIA PARTE INTOLLERANTE - a cura del Libero Cittadino in un Libero Mondo

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STORIE DI EMIGRAZIONE CALABRESI

Dopo la querelle pre-estiva dedicata in maniera totalitaria al pathos ed alle “leggendarie” Amministrazioni Comunali Satriano 2007, l’amor patrio, il profumo della mia terra e soprattutto la saudagi intrinseca alle espressioni visive e mimiche dei numerosi espatriati orbitanti nella terra italiana, mi hanno spinto ad occuparmi di una tematica sociale estremamente complessa ed articolata.

L’ Emigrazione rappresenta un fenomeno sociale antico e purtroppo ancora radicato alla società calabrese, che determinò in passato e determina tuttora l’amaro e doloroso trasferimento di una popolazione dall’ amato luogo di origine verso nuove terre.

Calabria ed emigrazione idealizzano un tandem perfetto che purtroppo procede congiuntamente da secoli. Recenti studi statistici hanno confermato che, nonostante il varo del nuovo millennio , è dalla Calabria che parte il maggior numero di persone, per cercare altrove la realizzazione dei propri sogni, la chimera di una nuova vita, il “posto di lavoro” o comunque qualsiasi possibilità di successo e di riscatto.

L’esodo verso “l’eldorado svizzero, tedesco, lussemburghese, americano”, ovvero la sfida lanciata dalla nostra gente contro il destino funesto che avvolgeva come una nube tossica la realtà satrianese e meridionale, ha portato in dono i frutti sperati.

Nonostante le colossali difficoltà incontrate dai nostri connazionali, inizialmente costretti a vivere nella miseria, ad accatastarsi in case a mo’ di vacche chianine nei container destinati al macello, a consumare mesti piatti di fagioli e patate, e soprattutto ad adattarsi ad una cultura e lingua completamente aliena ai loro luoghi di origine, il loro futuro si dipinse di rosso. L’impegno politico, le lotte sindacali degli emigrati in terra straniera, i successi nel settore occupazionale e imprenditoriale rappresentano l’alter ego dei triti e ritriti luoghi comuni. Oltre alle valigie di cartone e al fagotto, moltissimi emigrati calabresi erano provvisti di un immenso bagaglio spirituale e sociale al momento delle angoscianti partenze nelle stazioni e nei porti italiani, ovvero di progetti per un mondo migliore, idee di democrazia, libertà, uguaglianza. Si trattava di idee rivoluzionarie , ma unicamente dal punto di vista delle classi dominanti, che sulla staticità politica, sull’oscurantismo e sulla propria conservazione fondano e perpetuano privilegi, da sempre. La conoscenza di tale realtà è estremamente importante, soprattutto per superare idee malsane e denigratorie sulla emigrazione, intrinseche a molti uomini che non hanno avuto il coraggio di lasciare la culla materna, che sono quelle filtrate dai luoghi comuni, propri di culture del “danaro facile”.

Un ruolo fondamentale nelle lotte operaie statunitensi rivestì  Emilio Grandinetti, leader degli operai nella “città del vento” Chicago, inoltre innumerevoli dati storici hanno rimarcato come il comportamento di calabresi nelle lotte operaie era stato più energico e combattivo rispetto agli emigrati nordisti conosciuti da tutti come anarchici. Oltre ai gruppi di partito, alle unioni sindacali e alle organizzazioni operaie, i nostri amati conterranei posero grande  attenzione ad attività culturali ad esempio conferenze, feste ricreative organizzate, rappresentazioni teatrali e mostre d’arte. I navigati calabresi che vivono nei cantoni svizzeri, nelle metropoli americane, nella rigida Baviera , quando tornano nella terra natia difficilmente occupano del tempo per narrare la loro dignitosa e grandiosa storia, in quanto iniziano a percepire gli odori, i profumi, i colori della loro infanzia. Il momento cruciale è l’arrivo al cartello stradale con la scritta  Satriano – Argusto – San Fili, in una frazione di secondo il cervello si resetta annullando completamente la vita trascorsa al di fuori del focolare materno, magicamente il loro linguaggio acquisito nella esperienza estera viene perso trasformandosi nell’adorato dialetto nostrano. Tuttavia gli alettoni, le macchine ribassate decappottabili con musica a manetta, gli assi di bastone, le icone statunitensi, il finto “idioma milanese” non possono oscurare la credibilità della gente che lavora come muli per sbarcare il lunario mensile.

Fuori dal vecchio continente fu soprattutto il Sud America meta dei  pionieri calabresi: «l’afflusso dei “rinnovatori” calabresi verso l’Argentina fu decisamente eccezionale, non solo per il numero degli immigrati, ma anche per la qualità dell’immigrazione» .
Storicamente è nota l’ansioso timore delle classi dominanti in Argentina nei riguardi dell’emigrazione innovativa italiana, ed anche i testi letterari non furono immuni da queste pulsioni. I romanzi e il teatro popolare adottavano gli immigrati e fra questi in particolare gli italiani come centro principale di attenzione. Addirittura il personaggio che meglio ha rappresentato all’epoca la popolare derisione per l’immigrato italiano è Cocoliche. Questo era il nome (sicuramente deformato) di un operaio calabrese. Lo spettacolo ebbe enorme successo popolare ed a partire da quel momento Cocoliche diventerà nella cultura popolare un neologismo derisorio per indicare l’immigrato calabrese e il suo linguaggio tanto “ridicolo”».  Un piccolo excursus riguarda una mia interessante esperienza in Svizzera, dove dei tamarroni dai capelli dorati e vestiti da cowboy inveivano contro emigrati italiani appellandoli “talian” – “la mamma degli imbecilli è sempre gravida”.

L’icona simbolo dell’emigrazione italiana assume da decenni la veste delle imperiose navi.

Gli emigrati italiani in Argentina, in Canada, negli Stati Uniti, in Venezuela, in Uruguay sono innumerevoli, e di conseguenza molteplice sono le storie da raccontare. Tutti questi uomini, queste donne sembrano avere provato più o meno le stesse emozioni, e sperimentato le stesse illusioni e delusioni quando la nave Eugenio C approdò nel porto di Buenos Aires oppure quando il famoso bastimento The Kronprinz Wilhwelm, partito da Brema, attraccò al porto di New York.

L’Eugenio C partito da Genova oppure il The Kronprinz Wilhwelm partito da Brema accoglievano mestamente nelle aree di 3a – 4aclasse numerose famiglie di basso ceto sociale, accomunate nel viaggio della speranze. Avete presente il film “Titanic”, l’area di azione dal protagonista Di Caprio era molto affine alla porzione di nave occupata dai nostri “paesani”.

Sicuramente  Interi clan familiari abbandonarono i piccoli borghi di origine dubbiosi e allo stesso tempo fiduciosi riguardo a un lontano paese sconosciuto del Sud America. Le decisioni venivano prese in maniera irrevocabile dall’anziano saggio, il pater familias. La situazione sociale – culturale - economica vigente nel dopoguerra era estremamente difficile e gli effetti retroattivi della guerra furono devastanti, in particolare per le famiglie in esubero. La popolazione tristemente afflitta dalla condizione italiana era fermamente convinta che il nuovo orizzonte, la terra promessa si trovasse oltre l’Italia. Storie e racconti  di emigrati confermano questa idea, come pure le memorie storiche dei convegni tra gli Stati favorevoli agli immigranti, quale quello del presidente Perón, che consentiva l’unione dei contributi lavorativi italiani a quelli da versare in futuro in Argentina, in modo che i primi non venissero persi.

L’America rappresentava il nuovo mondo, era tutta da costruire e le promesse erano grandi. Fu così che i nostri nonni, ai tempi veri e propri saggi e condottieri familiari,  partirono per il Nord ed il Sud America e dopo un breve lasso di tempo chiamarono il resto dei consanguinei a raggiungerli. Le navi sembravano grandiose e imponenti al celeberrimo porto di Genova o di Brema col loro carico di uomini e speranze, valigie di cartone, sacchi di canapa, fardelli.. I bagagli erano spesso spropositati, tuttavia appena sufficienti per incominciare una nuova vita oltre l’oceano. Le donne indossavano amuleti, collane, bracciali amorevolmente donati dai primi fidanzatini come ricordo del loro puerile e casto idillio; ai tempi il fidanzamento era un evento surreale e antologico, caratteristici erano gli sguardi ammiccanti da fessacchiotti e i saluti candidi con la manina da finestre prospicienti, inoltre annoveriamo la promenade con l’intero clan familiare e il massimo del contatto fisico erano 5 metri di distanza con i genitori e tutta la famiglia frapposti. La raccolta delle olive era sicuramente più proficua per lo sviluppo della prole. Ancora oggi dopo 50 anni, molte di loro lo indossano come ciondolo! Gli uomini diretti nelle pampas sudamericane ricordano ancora lo scalo in  Brasile. Dopo anni di scarsità e disagi, trovarono tante banane! Gialle, grandi, caschi e caschi di banane che non finivano mai! Finalmente si mangia!!!

Dopo mesi di navigazione finalmente arrivarono alla metà tanto sospirata, ovvero il porto di Buenos Aires. La prima emozione provata dalla gente fu un immane delusione. Il paesaggio sembrava troppo piatto, con l’acqua "color leone" (caratteristica del fiume Rio de la Plata, che porta giù un carico torbido di terra e sabbia nel suo tragitto), e la città argentina  sembrava non avere niente di speciale di abbagliante alla vista, per l’occhio nostrano abituato alla superbia estetica delle città italiane. Con il passar del tempo, però, la prima sensazione venne sostituita e superata da altre migliori. L’immagine iniziale del porto  è rimasta scolpita lì nella loro menti per sempre; forse questo è il ricordo comune nell'esperienza di emigrare. Il bastimento partito da Genova, attraccò al porto di Buenos Aires. L'aria fresca s'insinuava nelle stive svuotate e fra i ponti fino ad allora stracolmi di uomini e donne. Scendono sulla banchina affollata uomini e donne partiti dall'Europa verso l'"Eldorado", piccole storie di gente che affida la propria dignità all'enorme stato sudamericano, pochi soldi in tasca, un quantità modesta di farina portata da casa, fazzoletti e gonne lunghe, scure, gli occhi scavati dal lungo viaggio.

Riscattarsi dallo spettro della fame, lavorare, soprattutto lavorare. In questo immenso continente ci sarà posto anche per loro.

Dopo le lunghe settimane sull'oceano sono ormai lontani dagli occhi dei nostri emigrati Piazza Monumento, la Fontana Vecchia dove l'acqua si raccoglieva ogni giorno coi “cati” appoggiati al blocco  monolitico di pietra. Sono lontani dagli occhi il monte Fiorino, i torrenti Ancinale ed Ancinalesca ai tempi  caratterizzati da ottime portate tali da consentire una salutare immersione nella calura estiva e il sole che sorge all’orizzonte sopra l’immensa tavola blu soveratese.. E' ancor più lontano, ormai vinto dall’odore salmastro del Rio della Plata,  il profumo dell’origano, del basilico. degli uliveti e “dei castagnari”, delle viti nostrane.

Ma il futuro aveva un richiamo forte, quello di Bob Zimmermman e della sua famiglia che nella speranza si avviarono fiduciosi verso la terra promessa che raggiunsero dopo un viaggio di oltre un mese, fra bastimento e treno, e che sarà molto generosa con loro. 

Infine vi riporto la storia della Madre Teresa Calabrese, Suor Tarcisia Rizzo, missionaria devota alla causa del 3°Mondo.

Suor Tarcisia Rizzo è una suora calabrese che lasciò la sua povera terra natia, per aiutare un paese ancor più povero, lo Zambia in Africa. E’ stata la prima ad adottare il sistema delle "Adozioni a Distanza" per alleviare le sofferenze dei bambini poveri. Suor Tarcisia Rizzo è una suora battistina di origine calabrese, infatti è nata in Calabria a Ricadi (Provincia di Vibo Valentia), un piccolo paese vicino a Tropea. Lasciando in giovanissima età gli agi del convento, Suor Tarcisia nel 1960 cominciò il suo percorso missionario in Zambia, una terra sconosciuta e remota. Dove nel 1960 ha fondato la Missione di San Francesco. Questa donna straordinaria dedicò il resto della sua esistenza ad aiutare i poveri ed i lebbrosi, che la ricordano ancora, a quasi 10 anni dalla sua scomparsa, con amore e gratitudine.

Suor Tarcisia fu la prima anche ad adottare il sistema detto delle “Adozioni a Distanza”: un modello per consentire di contribuire, con piccole somme, all’educazione o al mantenimento di bambini bisognosi. Attualmente organizzazioni in tutto il mondo usano questo approccio per sostenere i poveri. Il progetto di Calabria pro Zambia: Ponte di Solidarietà, è quindi significativamente legato a queste terre, ed intende potenziare grandemente l'opera intrapresa con le nude mani da Suor Tarcisia quasi mezzo secolo fa.
Tanto è stato fatto, ma molto rimane da fare. Calabria pro Zambia: Bridge of Solidarity ha lavorato con autorità locali ed altri gruppi missionari per costruire le seguenti strutture:

1) Una scuola tecnico-professionale per l’uso di macchinari industriali (sopratutto perforatrici per la creazione di pozzi d’acqua)

2) Costruzione di una casa d’accoglienza per orfani e bambini abbandonati;

3) Costruzione di un ricovero per missionari, insegnanti e volontari che si dedicano alla missione;

4) Sviluppo di un programma di scambi per la vendita di prodotti locali;

5) Ristrutturazione ed ampliamento del Centro Medico Missionario.

I fondi raccolti con le campagne avviate da Calabria pro Zambia sono serviti tanto alle costruzioni di cui sopra, quanto al lancio di una campagna educativa di scala mondiale.

Un illustre antropologo scrisse: “Il ritorno in patria costituisce un elemento che caratterizza l’esodo fin dal primo giorno della partenza, non fa parte dell’esperienza solo di chi rientra, ma dell’identità stessa dell’emigrato, anche di colui il quale non rientrerà mai».

Con affetto a Bob, FAMIGLIA SATRIANESE, Fratello libero  ed a tutti gli emigrati calabresi.

LIBERO CITTADINO IN UN LIBERO MONDO

Odio l’arroganza degli stolti, Odio il sopruso umano, Odio le catene delle odio, Odio il potere presunto dei deboli, nelle intemperie quando sei in balia delle onde ti illumineranno gli occhi di un bambino e l’amore fraterno eterno.
Grazie Fratello Libero 

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