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PAGINA LIBERA 2

Riceviamo e Pubblichiamo i Vostri Articoli!!!


Per fortuna Garibaldi è sbarcato...

   


Il lavoro dello storico è molto delicato. Infatti, egli, dopo avere preso visione di numerosi documenti, anche trascorrendo ore e ore nei vari archivi di Stato, elabora delle interpretazioni degli eventi basandosi sui documenti stessi, studiati. E li cita. Diverso è l’approccio di una qualunque persona che grazie a conoscenze acquisite da libri, reinterpreta quanto letto, magari aggiungendo il condizionamento ideologico personale. Da qui possono sfuggire affermazioni, perlomeno dubbie, o comunque non suffragate da alcuna documentazione se non dalle proprie convinzioni personali. Mi inserisco anche io nel dibattito sull’Unità d’Italia e su Garibaldi, come può fare chiunque nella libera rete. E, per dare sinteticità alle mie convinzioni, vado per punti.
1. Quando si fanno delle affermazioni, e ci si pone da storico, bisogna citare le fonti.
Pertanto:
a)      Si citi un qualche documento storico-economico da cui risulti che nel Regno delle Due Sicilie, la Calabria fosse una regione industrializzata. Si citi un qualche dato economico che comprovi, conti alla mano, questo concetto. E se proprio si vuole, si faccia altrettanto per sostenere dove, in tutte le regioni del Regno delle Due Sicilie, vi fosse un qualche processo di industrializzazione consolidato. Si eviti di citare solo ed esclusivamente il caso Mongiana. Una attività industriale non significa diffusa industrializzazione.
b)     Si citi un documento contabile, di bilancio da cui si comprovi che le ricche casse del Regno delle Due Sicilie abbiano contribuito a sanare il bilancio del Piemonte. Uno storico dovrebbe esibire il bilancio del Regno Borbonico e dimostrare che vi sia stato uno storno di denaro riscontrabile nel bilancio Piemontese. Volendo, si provi a spiegare come il Regno Borbonico avesse un ricco bilancio a fronte di quello Piemontese (diciamo che i primi non investivano nelle strutture economiche del Regno, un centesimo, mentre i secondi avevano sviluppato, tanto per dirne una, una moderna produzione agricola, persino tecnologicamente avanzata. Nel regno borbonico si era a un livello di sviluppo feudale).
c)      Si citi qualche documento, qualche fonte che sostenga l’affermazione che il Fazzari abbia mandato in rovina le acciaierie di Mongiana per la regalia di un palazzo.
2. Garibaldi era senz’altro mazziniano, e non poteva essere socialista. Non condivideva, tra l’altro, l’idea della lotta di classe. Lo sa anche uno studente al quinto anno di scuola superiore. Dal professionale al liceo classico.
3. Garibaldi non consegnò alcun bottino a Vittorio Emanuele II. Garibaldi fu un militare, non un politico. Egli dirigeva dei soldati, non una organizzazione di partito e non poteva certo sostenere l’amministrazione ed il governo di un territorio a lungo termine. Il suo successo militare era andato ben oltre le aspettative dei Savoia, che in primis, non avevano mai pensato ad una unificazione di tutto il territorio nazionale. Garibaldi, quello che conquistò non poteva tenerselo per sé.
4. Si citi una fonte storica, documentata, da cui risulti che i picciotti fossero della mafia. Tutti, evidentemente. Si citi qualche fonte storica da cui risulti che gli ufficiali borbonici vennero pagati dai piemontesi.
L’unificazione nazionale non è stato un processo indolore. E di errori ne sono stati sicuramente fatti. Ciò non giustifica il brigantaggio come lotta di liberazione in quanto erano non pochi gli interessi per far ritornare i Borboni nel sud d’Italia. Alla fine furono i “briganti” ad essere assoldati contro i piemontesi.
Per fortuna c’è stato Garibaldi. Per fortuna c’è stata l’unificazione nazionale (come in molti paesi europei dell’Ottocento). Per fortuna non abbiamo tra le scatole i Borboni (oggi saremmo al livello dell’Uganda). L’identità e la coscienza di noi stessi, come popolo calabrese e meridionale non è sufficiente. Dobbiamo avere la coscienza di essere cittadini a pieno diritto. Oggi, cittadini europei e del mondo. La meridionalità è un valore se esprime cultura delle proprie tradizioni. Se deve esprimere l’idea del sottosviluppo, meglio non averla. I politici che per decenni ci hanno rappresentato sono stati eletti dai cittadini stessi. Certo, grazie alle politiche clientelari… ma non è mica colpa dei Piemontesi!
Poi, viva la coerenza! Se si ha il gusto di criticare una intera classe politica da sessant’anni a questa parte, si faccia battaglia contro di essa. Invece di mischiarsi, ad essa.
In conclusione, ognuno ha il diritto di avere le proprie passioni. Ma non confondiamo le passioni con le professioni. Lo storico è una professione. Fare un altro lavoro e, a tempo perso, dedicarsi alla storia, non vuol dire essere degli storici. Diciamo che ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma non si può mandare al diavolo un processo storico senza la benché minima serietà storica.
Questo dimostra che, in certe occasioni, la cultura serve, eccome se serve...

Francesco Raspa

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Breve lezione (n.1) in favore di Ulderico Nisticò

   


Come si ricostruisce la storia.

Lezione n.1.

Breve lezione ad uso e consumo di Ulderico Nisticò.

Mi pare evidente che risulti necessario, al Nisticò,  un breve corso di come si debba arrivare a fare una ricostruzione storica, partendo da dati di fatto e non da semplici citazioni.

Partiamo da alcuni dati di natura statistica riguardo alla prosperità industriale e agricola del regno delle Due Sicilie. Fonte: Dalla periferia la centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1890) Edizioni Il Mulino, Bologna. A cura di V. Zamagni (pg.42).  I dati si riferiscono al momento dell’unità d’Italia (1861) ed i valori economici sono espressi in lire. Escludo i dati della Sardegna perché troppo piccola e dello Stato Pontificio perché incerti.

  1. Produzione agricola per ettaro.

Lombardia (238 lire a fronte di 3.300.000 abitanti).
Parma e Modena (174 lire a fronte di 900 abitanti).
Piemonte e Liguria (169 lire a fronte di 3.600.000 abitanti).

Veneto (128 lire a fronte di 2.300.000 abitanti).
Toscana (117 lire a fronte di 1.900.000 abitanti).
Regno della Due Sicile (81 lire a fronte di 9.200.000 abitanti).

Leggo dal Nisticò: una infinità di opifici tessili, che esportavano dovunque, e tanto che le nascenti industrie statunitensi copiavano illegalmente i brevetti napoletani. L’agricoltura esportava in grandi quantità in Francia…. Ma dico… stiamo scherzando? Dove ha letto di questa grande produzione agricola… sul Manuale delle Giovani Marmotte? Ma che razza di fonti è andato a consultare?  E si badi… il dato è riferito a tutto il Regno, mica alla sola Calabria! Novecentomila abitanti di Parma e Modena producevano più del doppio, in termini economici, di oltre novemilioni di meridionali sotto i BORBONI!!!

  1. Seta prodotta ( a proposito dei “grandiosi” opicifici tessili). Il dato è sempre rapportato in milioni di lire.

Lombardia: 80 milioni.
Piemonte e Liguria: 59 milioni.
Regno delle Due Sicile: 35 milioni.
Veneto: 33 milioni.
Toscana: 8 milioni.
Parma e Modena: 6 milioni.

Ora, se si considerano che i 35 milioni di lire sono in relazione a oltre nove milioni di abitanti e che il Regno delle Due Sicilie si componeva di diverse regioni, a volere fare una media molto abbondante a favore della Calabria BORBONICA, si potrebbe immaginare una produzione di 4-5 milioni di lire.  Ultima.

  1. Percentuali di analfabeti e tasso di scolarità nella scuola primaria. (E’ noto come nel Regno Borbonico, l’istruzione fosse molto curata…)

Lombardia: 53,7% di analfabeti
Piemonte e Liguria: 54,2%
Toscana: 74,0%
Veneto: 75%
Parma e Modena: 78,0%
Regno delle Due Sicilie: 87,0%

Da aggiungere che il tasso di frequenza alla scuola primaria se in Piemonte, Liguria e Lombardia era superiore al 90%, nel sud Borbonico era solo del 18%.

Per la prima lezione mi fermo qui. Nella prossima fornirò dati statistici sugli occupati nel settore metalmeccanico; quindi notizie sulle condizioni sanitarie, sui trasporti e più in generale sulle miserevoli condizioni del popolo meridionale nel regno delle Due Sicile.

Per fortuna che Garibaldi è sbarcato!

Nota. Non ho capito la battutaccia sui Templari. Né su quella che circola. Né perché dovrebbero farla. Io non mi occupo di Templari. Né faccio conferenze sui Templari.

Andrò, giovedì 19 Agosto ad una conferenza sui Templari. Tra i relatori Francesco Gregorio Raspa. Non sono io. E non so neanche chi sia. Lo conoscerò quella sera. Comunque, il Nisticò coraggio non ne ha proprio. La battutaccia, se c’è la dica. Non lanci il sasso per poi nascondere la mano. E’ umiliante. Per lui. D’altronde, come storico lascia molto a desiderare. Non è neanche stato capace di capire che il Raspa della conferenza non sono io…

Alla prossima lezione.

Francesco Raspa

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Precisazioni sull'intervento del dott. Lojacono
(Leggi l'Articolo... ndr)

   


Mi sembra corretto intervenire per una precisazione in merito all’intervento dell’avvocato Mimmo Lojacono (che, sia chiaro, io non conosco). Io, non sono uno storico. Assolutamente. Sono un insegnante di storia. Ne converrà lo stesso dott. Lojacono, che è una cosa ben diversa. Naturalmente, in quanto insegnante di storia ho discrete conoscenze e compiuto, nel corso degli anni, discreti studi, approfondendo, evidentemente alcuni periodi storici, rispetto ad altri. Comunque, in virtù della mia professione di insegnante di storia posso permettermi di intervenire e fare osservazioni pertinenti. E’ evidente che nessun insegnante ha monopolio in tal senso. Studiosi, appassionati, qualunque sia la loro professione, purchè competenti hanno tutto il diritto di esprimere le loro opinioni.

Altra cosa, come continuo a ripetere, ed in fondo come lei stesso fa notare, è il lavoro dello storico. Lo storico è un ricercatore serio, e soprattutto è una persona dialettica, capace di confrontarsi con gli altri sulla base di dati e documenti il più possibile attendibili.
Devo però ringraziarla per avermi risparmiato la seconda lezione ad Ulderico Nisticò. Il suo intervento, così garbato, non sarei stato capace di farlo. Inoltre mi ha anticipato proprio sul nodo essenziale di alcune industrie borboniche: la loro funzione. Il fatto è che sono così tante le cose che si potrebbero opporre all’idea di un Meridione e di una Calabria simile al paese di Bengodi in epoca borbonica, che si deve necessariamente fare una cernita. Vorrà dire che passerò direttamente alla terza.

Cordialmente.
Francesco Raspa.

Nota. Questo intervento non ha alcun scopo di imbonimento nei Suoi confronti. Non è nel mio stile. E’ solo un atto dovuto per chiarire alcune cose. E comunque è stata una lezione anche per me riguardo alla pacatezza dei toni (benché non sia sempre facile con alcuni “storici”…) .

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Breve lezione (n.3) in favore di Ulderico Nisticò

   


Nel dare avvio a questa breve, terza lezione a favore di Ulderico Nisticò, riprendo un concetto fondamentale espresso nella prima lezione, così come si fa in classe, quando per favorire gli studenti meno studiosi si ribadisce qualche concetto per aiutarli. Uno storico lavora su dati oggettivi. Li ricerca negli archivi. Li esamina. Ne individua l’originalità. Li mette in relazione con altri documenti in suo possesso o già studiati e, in relazione anche ai lavori di altri colleghi ed alle proprie conoscenze, formula ipotesi o esprime teorie sempre e comunque certificabili da fonti ben precise.
Infatti, la storia, si commenta anche con dei dati oggettivi. La misurazione di determinati processi economici serve ad indicare una linea di sviluppo o meno. Quando non si prendono in considerazione questi dati, si parla a casaccio. E questo, uno storico, non lo fa. Uno storico, ovviamente, che sia veramente tale. Il Nisticò, che è un simpatico divulgatore di eventi di storia locale, perde completamente la cognizione scientifica di un lavoro quando va oltre lo studio del campanile della chiesa del Santo Troppito. E noi siamo qui a spiegargli come si affronti un argomento storico che vada oltre il particolare, come direbbe il Machiavelli. Per facilitarlo, andiamo per punti (onde evitare che il discorso divenga troppo complesso e ci si perda).

  1. Il nostro illustre divulgatore scrive: I numeri? Nel Meridione valgono pochissimo…. Restiamo onestamente perplessi. Ma, quando mai? Ma scherziamo? Cos’è, una evidente dichiarazione di incapacità meridionalistica di essere rigorosi?

  2. Parliamo di sviluppo industriale. Nel Regno delle Due Sicilie la produzione industriale consisteva in un sistema di lavorazioni tradizionali, molto poco meccanizzate, tant’è che si parla di “piccola metallurgia”.

  3. Le vie di comunicazione. Altro indicatore importante per evidenziare lo sviluppo di un territorio sono le vie di comunicazione.  Tant’è che l’Inghilterra della prima rivoluzione industriale investì tantissimo in questo settore (attingendo dai profitti nel settore agricolo), in particolare nelle ferrovie. Guardiamo allora i dati (non le chiacchiere) relativi ai km di ferrovie nell’Italia del 1861 (dati di V.Zamagni, edizione citata nella precedente lezione a favore di Ulderico Nisticò):

  1. Piemonte e Liguria: 850 km.

  2. Veneto: 522 km.

  3. Toscana: 257 km.

  4. Stato Pontificio: 101.

  5. Regno delle Due Sicilie: 99 (alla faccia delle grandi acciaierie!).

I numeri? Non sono chiacchiere. Ed i km di ferrovia sono facilmente certificabili.

4. A proposito dell’industria tessile, è noto a qualunque storico che essa era fortemente concentrata in alcune aree ben precise: la filatura serica nel bergamasco; quella della seta nel comasco ed i lanifici nel biellese, ancora nel bergamasco e nel vicentino.  

5. La vita nelle campagne. Citiamo una fonte. Il deputato Giuseppe Massari nel maggio del 1863 scrisse una relazione che presentò in Parlamento relativa al brigantaggio che spiegava la vita dei contadini nel sud d’Italia. Ovviamente è di qualche anno dopo l’Unità perché evidentemente, quale uomo politico dei Borboni sarebbe mai andato a preoccuparsi della condizione dei contadini?

“Le prime cause adunque del brigantaggio sono le cause predisponesti. E prima fra tutte, la condizione sociale, lo stato economico del campagnolo, che in quelle provincie, appunto, dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice. Quella piaga della moderna società, che è il proletariato, ivi appare più ampia che altrove. Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua condizione è quella del vero nullatenente, e quand’anche la mercede del suo lavoro non fosse tenue, il suo stato economico non ne sperimenterebbe miglioramento. Dove il sistema delle mezzerie è in vigore, il numero dei proletari di campagna è scarso; ma là dove si pratica la grande coltivazione, sia nell’interesse del proprietario, sia in quello del fittaiolo, il numero dei proletari è seriamente copioso”. (A cura di T.Pedio: Inchiesta Massari sul brigantaggio. Relazioni Massari-Castagnola. Lettere e scritti di Aurelio Saffi. Osservazioni di Pietro Rosano. Critica della “Civiltà cattolica”. Lacaita, Mandria. 1983).

Volendo, qualcuno può andare a cercarsi su internet un quadro di Teofilo Patini, dal titolo “Bestie da soma”. Non si tratta di asini. Ma di contadine sfinite.

Dice il Nisticò: “… prima del 1860 non emigrò mai nessuno dal sud (…) questo mi basta per credere che si stava meglio qui che altrove”. Bene. Lo chiede a quelle Bestie da soma quanto si stava bene nel sud Borbonico.

I Piemontesi non hanno trattato bene i popoli meridionali. Ma come li hanno trattati i Borboni?

Conclusione della terza, breve (ovviamente) lezione: non mi risulta che il Nisticò abbia fornito documenti che comprovino l’affermazione che il Fazzari  mandò in rovina le acciaierie di Mongiana per un palazzo a Catanzaro. Nè risulta che il Nisticò abbia fornito dati sull’industrializzazione della Calabria. Altra cosa: il Nisticò dimostri, scritti alla mano, la mia tesi secondo cui Ulisse (povero Ulisse!) sia giunto a Tiriolo.

Allora, compitino da svolgere a casa: fornisca dati oggettivi. Ricerchi le fonti. Come fa, appunto, uno storico.

Nella prossima lezione parleremo del “catasto”. A dimostrazione di quanto fosse florida ed enorme la produzione agricola nel Regno dei Borboni.
 

 Per fortuna è sbarcato Garibaldi!

Ulteriore nota. La battutaccia sui templari. E’ così cretina, che suppongo circoli in un ambiente di individui poco dotati del dono della brillantezza intellettuale.

Francesco Raspa

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