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La
giudice. Con l’articolo determinativo di un genere, di un sesso, che
continua a subire pregiudizi anche nei luoghi nei quali per
eccellenza il giudizio non dovrebbe mai essere preceduto dal “pre”:
le aule dei tribunali, la professione-missione di magistrato. “Il
femminile per il giudice ancora non c’è, perché lo stereotipo
millenario della calza e non della toga, della domus e non della
polis, è duro a morire prima di tutto dentro le donne”. Così scrive
verso la fine del libro “La giudice” Paola Di Nicola, magistrato del
Tribunale penale di Roma, che ieri al liceo scientifico “Guarasci”
di Soverato, davanti a una platea di un centinaio di ragazzi e
ragazze delle scuole superiori di Soverato, ha parlato
dell’affermazione ancora faticosa della propria identità di genere
da parte delle donne nel mondo, e nel mondo del lavoro in
particolare, identità ancora non scontata, ancora da conquistare al
prezzo di una lotta e di un percorso di consapevolezza. La
presentazione è stata organizzata dalla Biblioteca delle donne,
l’associazione guidata da Lilli Rosso che si occupa di tematiche di
genere, nell’ambito di una due giorni al “Guarasci” seguitissima dai
ragazzi. I lavori sono stati introdotti da Salvatore Tuccio,
vice-preside del liceo, che ha portato i saluti del preside,
Vincenzo Gallelli, che si trovava fuori sede. Nel suo intervento, Di
Nicola ha snodato il cuore della questione – il coraggio e la
dignità di un punto di vista “diverso”, all’interno di una
magistratura ormai sempre più femminilizzata ma rimasta legata in
gran parte a un modello esclusivamente maschile – tessendo la tela
di un saggio che somiglia più a un romanzo intimo, e che si svolge
su tanti piani: quello professionale, quello familiare, quello della
riflessione filosofico-giuridica e semiologica, tutti convergenti
verso un finale di conquista identitaria che passa proprio dal
ritrovamento dei cinque sensi, libero e leggero, al culmine della
professione-istituzione e della maturità di donna. Una testimonianza
avvincente, un messaggio irrinunciabile, oggi, per le giovani donne
e i giovani uomini che si proiettano al futuro e al loro mestiere,
senza sapere forse che “per le donne non ci sono più muri visibili –
come ha spiegato Di Nicola – ma pareti invisibili che fanno ancora
più male”. Fondamentale, nella presa di coscienza narrata da Di
Nicola, il linguaggio. Come ha sottolineato nel suo intervento Lilli
Rosso, presentando il libro, “la lingua non è neutra, ma ci racconta
benissimo la nostra storia, la nostra mentalità, la nostra stessa
identità”. A coronare una riflessione così compiuta ed efficace, il
fatto che il libro sia stato pubblicato da Ghena (costola della
storica casa editrice Epc), “che porta avanti la politica di genere
attraverso saggi e romanzi il più possibile divulgativi”, come
spiega Maria Francesca Gagliardi, soveratese, giovane direttrice
editoriale che al libro della giudice Di Nicola ha fatto anche da
editor, e intervenuta ieri nel liceo che aveva frequentato da
ragazza. Gagliardi si è inventata Ghena da zero, e quest’anno ha
avuto la soddisfazione di partecipare al Salone del Libro di Torino
con i primi quattro titoli del catalogo.Teresa
Pittelli - Calabria Ora
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