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SPECIALI PAGINA LIBERA |
Locride: un tour bello e possibile
di Vittoria Camobreco
La Calabria è un mondo ricco di connotazioni. Se una regione d’Italia è caratterizzata da un elemento che la distingue, l’uniformità dei colori, del dialetto o accento, dell’orografia, del clima, delle tipicità, la Calabria no, essa è una terra dai mille volti, tutti differenti, discontinui, capaci di sorprenderci ed entusiasmarci, emozionarci. Non posso dire di annoiarmi quando mi sposto nella mia terra. E’ un universo per cui non bastano le quattro stagioni a conoscerlo tutto, non basta una vita. Ma io ci provo.. Il mio itinerario questa volta mi porta in alcuni luoghi che hanno il privilegio di esistere nell’estremo Sud della Calabria dove la Magna Grecia fece il suo ingresso portando con sé lo splendore dell’arte, delle regole, della politica. Ma io non parlerò di questa civiltà, non ora, mi piace invece raccontare il mio vagare fra i borghi assolati e spenti di presenze nel territorio che fa riferimento a Capo Bruzzano, la costa dei Gelsomini, in provincia di Reggio Calabria. Come mia abitudine, amo raccontare ciò che vedo senza addentrarmi in molti dati storici, io voglio descrivere colori, memorie che regalano umori e “visioni”, quelle che innescano la fantasia pensando ad un passato che non c’è più ma che bisogna ricordare. Dalla statale 106 E90, superando Locri, Ardore, Bovalino, Bianco, Africo, Ferruzzano, raggiungiamo Brancaleone Marina, la cittadina affacciata sul mare Jonio dove le tartarughe marine Caretta Caretta, hanno scelto di nidificare dopo lunghi viaggi in mare aperto. Su questa spiaggia ricca di conchiglie multiformi e un mare dai fondali pescosi, compresa fra Capo Bruzzano e Capo Spartivento, la zona più a Sud d’Europa, si assiste ogni estate al miracolo della vita. E qui un centro specializzato cura questi affascinanti animali marini trovati feriti dalle reti o dagli ami ingoiati per sbaglio. Brancaleone è la cittadina che ospitò Cesare Pavese nel suo confino durato quasi un anno e proprio questa terra con i suoi abitanti e la natura selvatica, lo ispirò a scrivere una delle più toccanti pagine della letteratura italiana: IL carcere. Nei decenni scorsi, l’aria profumava di gelsomino grazie alle immense piantagioni allietate dai canti delle raccoglitrici che con le loro abili mani e con accortezza, riempivano leggeri sacchi di questo delicatissimo fiore che finiva in Francia per comporre la base dei bouquets più importanti del mondo. A Brancaleone c’è un bellissimo borgo, abbandonato nell’alluvione del 1952. Io tra questi ruderi rivedo un popolo e le sue tradizioni, la sua povertà. Tra i muri di queste case dirute ora crescono fiori. Nelle grotte gli affreschi sbiadiscono. Un altro affascinante borgo fermo a quel terremoto del 1908 che spazzò via Reggio Calabria e Messina ma che non risparmiò paesi vicini è Bruzzano Zeffirio, dove un tempo belle ragazze tessevano il loro corredo e le cui case dai balconi fioriti di garofani rossi splendevano di fronte alla Rocca Armenia sulla cui altura il palazzo della famiglia Carafa, Principi di Roccella dominava la vallata. Già in epoca romana lo storiografo Pomponio Mela parlava di questo luogo. Mi aggiro fra i residui di questa civiltà sfiorata dalla brezza zefiria, ormai dormiente ma ancora immaginabile nella sua semplicità. In questo lembo di terra il paesaggio è dolce e aspro allo stesso tempo, l’erba selvatica dei campi è fortemente aromatica, soprattutto nei giorni di pioggia; c’è sapore di antico in questa natura ferma nel tempo le cui viscere custodiscono acque salutari come quelle di contrada Junchi, a Motticella, paesino minuscolo adiacente Bruzzano. Qui un’acqua sulfurea ha curato i malanni di molte generazioni in terme un po’ artigianali nelle cui vasche ci si immergeva ma soprattutto se ne beveva per curare reni e fegato. Oggi mi specchio solitaria e curo lo spirito in quel che resta. In questo fazzoletto di terra, molta
storia è passata, tante nobiltà si sono succedute tra i Carafa, i
D’Aragona, Ayerbe, Spinelli, Ruffo ma la cosa che mi rapisce
maggiormente, è il fascino di ciò che non appare più, che si
ipotizza, nella certezza della sua esistenza. E allora andiamo ai
piedi di Staiti, borgo antico facente parte di questo territorio
ionico dal clima molto dolce, quasi africano in estate, magnifico in
primavera. Una comunità religiosa la cui chiesa fu molto ben
descritta nel 1911 da Paolo Orsi, il grande archeologo che in
Calabria fece molte scoperte, è ciò che rimane della sacralità e
ascetismo del monachesimo basiliano. E la chiesa con annesso un non
ancora trovato convento, è Santa Maria di Tridetti, in località
Badia dove scorre un fiume argentino e crescono lentischi; una
bellissima struttura i cui resti ancora oggi ci parlano di quel
raffinato gusto bizantino che utilizzava merlature di mattoni rossi,
legati tra loro da calce bianca a formare elementi decorativi di
delicata eleganza e mistico simbolismo fra archi, absidi, volte,
lesene. Nel silenzio quasi innaturale e vuoto dell’abbandono, basta
chiudere un attimo gli occhi per credere di udire le preghiere e il
crepitìo dei ceri, la voce dei frati che vivevano di penitenze e
carità, i passi lenti e misurati delle processioni medievali. Cosa
saremmo se non ci fosse l’evanescente passato? O meglio, se non
ricordassimo o cancellassimo il bagaglio di storia che ci
appartiene? Che faccia avremmo, quali sarebbero i nostri colori, di
cosa potrebbe nutrirsi la memoria di noi che siamo rimasti qui e di
coloro che sono andati via? Amiamo e conserviamo dunque le pietre
del passato che sfidano i secoli e parlano a noi e a chi verrà. |
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