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La mia Cinecittà
A Lecce, nel corso della premiazione, dicevo che ci sono almeno due motivi per essere contenti: il primo, perché abbiamo ricevuto un riconoscimento fuori Regione, il secondo per le belle parole che ha espresso il Presidente della Giuria e di cui proponiamo il video. Tuttavia, My Land è per me la fine di un ciclo: sono cinque in tutto i film che ho girato in Calabria con un procedimento misto tra il professionale e l’artigianale. Un lavoro portato avanti negli anni, in mezzo a mille difficoltà ma anche filmando nei “teatri di posa” naturali che la regione offre, che non necessitano di ricostruzioni artificiali, e dove i volti, le persone, non sono mai semplici comparse.
Ho fatto di questa terra la mia Cinecittà Guardando in retrospettiva i miei film, li vedo come il frutto di un programma, di un manifesto cinematografico di contro-tendenza: la Calabria, in genere, è vissuta come terra da cui fuggire, da cui si parte per andare lontano, in cerca di lavoro, di fortuna, di amore, di un’altra vita. Una Calabria vista, in genere, con amarezza perché fa di tutto per respingerti: raramente vissuta con ironia o allegria. Una Calabria il più delle volte associata alla ‘ndrangheta, a rituali arcaici, a credenze ancestrali, alla disoccupazione cronica, alla mancanza di futuro. Il che è tutto vero. Con i miei film ho fatto un’operazione inversa: ho privilegiato gente che non vuole emigrare, che non si allontana ma torna, che si ostina a vivere fino in fondo il proprio destino, il proprio legame, la propria individuale lotta quotidiana: forse perché vorrebbe una vita diversa, migliore. Pensate a Nino, il tassista abusivo di “Terra d’amore”: sta lì alla stazione di Soverato, cioè nel luogo da dove basta prendere un treno e via, scappare. E invece si chiude nel guscio della sua ostinazione. E’ il sogno infantile di chi crede ancora che anche qui da noi tutto sia possibile: il lavoro, la famiglia, l’amore, i sentimenti, la coerenza, il progresso. Pensate all’imprenditore calabrese di “Spot” che decide di esportare e vendere i propri prodotti gastronomici all’estero e per questo produce uno spot pubblicitario dei suoi prodotti. Il tentativo di una terra che vuole proporsi, che non si isola dal resto del mondo. Ho fatto vedere gente che arriva, che torna, che ritorna, che rimane, che si avventura e si perde, per ritrovarsi, tra spiagge, borghi, colline, boschi, campagne, mimetizzandosi con il paesaggio fino a confondersi dentro. Che rivede i luoghi dell’infanzia, la gente, le case. Pensate al ricercatore Mario Bonelli di “Uno spicchio di buio” che torna per ritrovare l’amore di una donna, oltre che la propria memoria andata in tilt. Può non piacere, ma questa è la forza che pervade i miei film. Lo spirito. Non ho imitato nessuno, non ho copiato, non ho fatto film alla moda, ma ho seguito un mio personale istinto. E’ un modo di filmare la mia terra da un angolo di visuale mai raccontato, mai visto, non conformista. Motivo comune a tutti i miei lavori è stato sempre un personaggio che per qualche ragione è diretto in Calabria con la segreta speranza o illusione di trovare qui qualcosa che gli manca e che non ha trovato altrove. Personaggi che hanno in comune una sola cosa: un destino. La Calabria come destino. C’è chi come in Terra d’amore torna per la famiglia; chi come in Spot per amore; chi come in Uno spicchio di buio per una donna; chi come in Se una notte d’inverno un viaggiatore per lavoro; chi come in My Land per un bisogno nostalgico di radici e di autenticità. Ho cercato di “far sentire” quasi in modo tattile la mia terra, non un semplice sfondo scenografico. I miei film non pretendono di dire verità assolute: vogliono essere semplicemente un tentativo di raccontare una realtà che appartiene a molti, tanti, ignorata, repressa, involuta: quella di poter vedere una Calabria diversa, e il cinema può farla vedere, può prefigurarla, immaginarla senza retorica. Ci siamo dibattuti tra il mostrare la realtà com’è e come vorremmo che fosse, tra un “cinema di realtà” e, permettetemi la citazione pasoliniana, “un cinema di poesia”. Come pure allargare l’orizzonte di una visione del Sud ostinatamente ferma ai consueti luoghi comuni della caricatura, del grottesco, del bozzetto, del labirintico e del retorico. E’, dunque, una scelta di regia, una cifra stilistica coerente che privilegia contenuti e forme presenti e ricorrenti nei miei lavori: questo non mi vieta di ammirare chi sa, meglio di me, graffiare e raccontare i vizi, il cinismo, le lotte politiche, la droga, i drammi sociali, le ingiustizie, i crimini, le mafie, la corruzione, la diversità, la violenza, ecc. Io ho voluto raccontare il legame con la mia terra e le mie radici e questo mi ha permesso di vederla con uno sguardo nuovo. Abbiamo raccolto in questi anni una Menzione speciale al Festival di Torino con Terra d’amore. Due di questi film sono stati mandati in onda dalla RAI. Con My Land ci siamo affermati al Festival di Lecce ottenendo un prestigioso riconoscimento. Fine. Un Riconoscimento che va a tutti coloro che mi sono stati vicini: attori, amici, collaboratori, Istituzioni, Sponsor, MondialVideo, Stampa. Maurizio Paparazzo. |
My land, un festival, un riconoscimento
My Cinema, My Land
Conosco Maurizio Paparazzo fin dai tempi in cui studiavo al Centro Sperimentale di Cinematografia, una sorta di felice “oasi” di alta formazione in cui si incontravano cineasti come Sergio Leone o Mario Monicelli. Maurizio era “compagno di strada” di alcuni di noi, non studiava al Centro ( aveva fatto il Dams), era uno che già “respirava” l'aria e la polvere dei set, insomma “si faceva le ossa”. L'essere stato poi vicino a registi come Theo Anghelopoulos, o Gian Vittorio Baldi a produttori come Mario Gallo, su set cinematografici e televisivi, accanto a solidi e colti professionisti come Negrin o Marco Leto, ho l'impressione che lo abbia vissuto come un salutare masticar cinema, un attrezzarsi anche nel senso di assorbire il mestiere, con umiltà e caparbietà insieme. Il suo itinerario professionale mi pare che lo porti negli anni a vivere il cinema con passione e serietà. Anche con semplicità, ma soprattutto con un grande amore per le sue radici e la sua terra calabrese, da cui prende ispirazione per le sue prove cinematografiche. Del resto la fertile inventiva di Paparazzo nel pensare e scrivere soggetti, trattamenti, sceneggiature, seriali da un lato trae linfa da una memoria letteraria e da un sapere storico-antropologico e dall'altro percorre un “viaggio sentimentale”, reinventa con le immagini un “paesaggio” che è quello della sua identità. La Calabria, la sua Soverato, che sia “notturna e misteriosa” , vista in una ipotesi “Se una notte d'inverno” (film del 2005), o che sia una “Terra d'amore”(suo film d'esordio nel 1984), è comunque una “appartenenza” non scindibile da uno sguardo, come avviene appunto in questo suo nuovo lavoro :“My Land”. Film solare, simpatico, gioviale, una sorta di “ballata” sincera e un po' ebbra come un buon vino, ma soprattutto il ritratto di uno sguardo-voce straniero, quello di una ragazzina italo-americana( che pare una Deanna Durbin dei nostri tempi), in una chiave “estiva” ( cifra questa che porta echi di tarda commedia rosa anni Cinquanta-Sessanta, nella tradizione del racconto delle “belle contrade”italiane appunto di film come “L'estate” di Spinola, o “Souvenir d'Italie” di Pietrangeli, o “L'ombrellone” di Risi) e insieme il “controcanto” corale di una provincia del sud ritratta in primo luogo con autoironia, e poi con un affettuoso afflato da “situation comedy” ( e qui mi sembra di cogliere echi “capovolti” del Germi di “Signore e Signori”, film-mosaico sugli intrighi di cinismo boccaccesco che rivoltano il sapore acre del Sud in un “profondo Nord” ). Nel film di Paparazzo infatti il “cortocircuito” di una specie di “controimmigrazione” della famiglia americana, con la figlia “wasp” e la madre colta da tardive voglie di affrancarsi da un conformismo familista ( in salsa “yankee”) paradossalmente con un incontro-scontro con le sue radici calabresi e i suoi paradossi, si spande in un incastro narrativo che più si avvolge nelle trame minime e nelle “intermittenze del cuore” più serve a dipanare un paesaggio. E' infatti al fondo l'idea di paesaggio, e di paesaggio sentimentale, il “My Land” della proverbiale “riscoperta delle radici” ( e anche di un certo qual “orgoglio sudista” fatto in fondo di un intreccio tra vita sognata e vita quotidiana, commedia umana, ambizioni e nostalgie), che nel film emerge in quanto umore e amore, umore di una terra e amore per una terra. Ma quella terra è sì la terra di cinema per eccellenza (tutta da scoprire e ripercorrere anche nelle sue pieghe segrete) che è la Calabria, ma è anche una terra metaforica, la terra sognata e perseguita, raccontata e ricordata, “proiettata” e affabulata del Cinema, come sogno ad occhi aperti, sogno che in una sospensione e apertura da “happy end” può anche diventare realtà, basta un po' di fortuna e può avvenire “come nei film”. Insomma: My Cinema, My Land ...My Land...My Cinema... Bruno Roberti * * Critico cinematografico, studioso di cinema e teatro. Dal 1985 è redattore e membro del direttivo della rivista Filmcritica. Ha pubblicato saggi su diversi registi. E’ docente di Istituzioni di regia, Stili di regia cinematografica e Didattica del cinema e degli audiovisivi, al corso di laurea in Dams e al Corso di laurea in Scienze dell'educazione. |
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