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Buon Natale Giovani e Lavoro quale Futuro
C'è un malumore diffuso tra le persone della nostra età, un primo segnale di consapevolezza comune, politica e sociale. Le voci sono sempre più numerose, i silenzi cessano di esistere per diventare grida ed urli. E' la voce dei giovani, diplomati e laureati, che, alle soglie dei fatidici 30 anni non sono ancora riusciti ad entrare appieno nel mondo del lavoro. Laureati o appena diplomati, specializzati o ancora ‘neo’, i giovani di oggi sono accomunati dalle stesse difficoltà di trovare un lavoro. La situazione è drammatica, se si considera che l’eventuale lavoro che si riesce a trovare, non sarà sicuro e per sempre, e non sarà pagato decisamente bene. Addio cari vecchi stipendi fissi, emblema di un tempo in cui dopo il conseguimento del caro vecchio pezzo di carta, si veniva assunti e si riceveva uno stipendio regolare, destinato a crescere con il trascorrere. La parola d’ordine di oggi è precarietà, o meglio flessibilità, come da più parti viene mascherata. Sono pochi i soldi che ciascuno riesce a racimolare in quel poco lavoro che c'è, tanti quelli che non hanno nulla. Sono migliaia le storie di giovani precari, ma oggi vi voglio raccontare la mia di storia. Mi chiamo M.T., ho 27 anni e attualmente svolgo il ruolo di vice-segretaria del circolo del PD (Partito Democratico) di Satriano. Ma oggi non scrivo in veste di giovane impegnata nella politica, ma da giovane laureata precaria. Mi sono laureata nel 2006 in Biotecnologie Mediche, conseguendo i famosi 3 più 2 più l’esame di stato per l’abilitazione alla professione di Biologo. Nel 2006 mentre preparavo la tesi per il conseguimento della laurea specialistica, usufruivo il tempo partecipando al progetto di servizio civile nazionale, ottenendo anche un voucher regionale, e dopo la laurea ho fatto 2 anni di tirocinio non pagato presso l’Università si Catanzaro. Ma dopo 2 anni però mi sono resa conto che non potevo continuare a fare soltanto tirocinio e farmi sostenere le spese di cui ha bisogno oggi una ragazza della mia età, dai miei genitori, così decisi a malincuore, di intraprendere la strada del Call Center. Bell’esperienza la vita da operatore telefonico. I primi sei mesi sono stata assunta con un contratto a progetto, quindi venivo pagata per ciò che producevo, ma quando a volte ogni produzione veniva pagata 70 centesimi, la retribuzione a fine mese non era chissà quale, ma mi accontentavo. Allo scadere dei sei mesi il mio contratto è diventato un contratto ad inserimento per 18 mesi, dopo di che il 18 novembre 2009 il contratto non è stato rinnovato. All’inizio ho vissuto tale esperienza anche con molta vergogna, e non lo nego, e pensando alla mia dignità, perche riflettevo sui miei anni di studio, su tutti i sacrifici, le ansie, le paure ogni qualvolta andavo a sostenere un esame; mi ponevo tante domande forse quelle che si pongono tutti i giovani della mia età e cioè:“Dopo tanto studio e tanti sacrifici perché devo stare per ore a chiamare clienti che neanche posso guardare in faccia, e non lavorare per ciò per cui avevo speso 5 anni della mia vita dietro libri ed esami all’università?”, perché non è servito a nulla ciò che ho fatto?” “In che cosa ho sbagliato?, ho sbagliato a scegliere corso di laurea?”“Butterò veramente la mia vita all’interno di un call center? e se questo accadrà che futuro avrò?” “Chi mai mi potrà dare una risposta?fino a quanto ancora dovrò far calpestare la mia dignità?, potrò mai raggiungere il sogno di avere una famiglia con una vita da precaria?” I primi tempi vedevo questo lavoro come temporaneo, sperando di riuscire a trovare un altro lavoro, magari nell’ambito dei miei progetti di studi che avevo fatto, sperando in un contratto nel laboratorio che frequentavo, perché pensavo che dopo due anni forse qualcuno si accorgeva che c’era una giovane laureata che lavorava gratis, e che non faceva pesare i suoi problemi siano essi personali, economici o anche familiari ,ma presto mi resi conto che l’università aveva creato i binari senza un treno, e ascoltando le storie di tanti miei colleghi mi resi conto che non ero l’unica laureata, che la mia storia si intrecciava ad altre mille, magari ancora più tragiche, come numerosi personaggi di un romanzo realista. Condividevano la mia sorte: persone sposate, con figli, separata con figli a carico, e con un mutuo sulle spalle, o un affitto sulle spalle. Iniziai cosi a dare un’importanza alla mia condizione, a capire che dalla ricchezza delle diversità che caratterizzava ognuno di noi, potevo trovare il coraggio di mettermi in discussione impegnandomi duramente in quel lavoro che cominciavo a sentire un pò mio. Per cui iniziai a vedere il lavoro di operatore telefonico non più come lavoro temporaneo, bensì come un vero e proprio lavoro..fino a quando poi non ne fui convinta. Sono stati anni di stress anche psicologico causato da chi era gerarchicamente sopra di me, ma non solo,ma nella vita mi hanno insegnato che bisogna sempre guardare il lato positivo delle cose, per cui guardavo l’ambiente, le amicizie che si erano create, la retribuzione che era giusta per un lavoro part-time e assicurato. Tutti questi sforzi si infrangono però, ancora una volta, con la triste realtà, con la malasorte, uscita da un romanzo di Verga, e si materializza nella mia esperienza quotidiana. La retribuzione inizia a non essere più puntuale, si creano nervosismi, iniziano gli scioperi, aumentano le ansie, nei nostri occhi ormai si leggeva soltanto delusione verso una realtà inaspettata, si leggeva pessimismo, la preoccupazione, non solo di noi ragazzi, ma anche dei colleghi con famiglia, perché non riuscivano più ad arrivare a fine mese,perché dovevano farsi prestare i soldi per comprare il latte o le scarpe al figlio magari da un amico, fino a quando poi si arrivò al licenziamento dei dipendenti perché l’azienda non ha più soldi per pagare e attende che gli vengano rilasciati i fondi POR dalla Regione Calabria. Ora da licenziata penso alle mie certezze crollate, penso ai progetti che avevo in mente, penso a ciò che avrei voluto fare ma che non potrò più fare,perché la realtà oggi me lo vieta. Ma non mi tiro indietro, non mi scoraggio perché so che dietro una lunga notte c’è sempre una nuova alba che nasce! E l’augurio che faccio a me stessa e ai giovani che si trovano nelle mie stesse condizioni, coloro che gli altri definiscono ”i giovani del futuro” , è che in questo natale così gelido, così pieno di tante delusioni, nella capanna che noi tutti abbiamo messo in quel presepe troviamo la speranza!Non smettiamo mai di sperare perché noi abbiamo bisogno, di speranza. Abbiamo il dovere della speranza. Sconfiggeremo le nostre paure, i nostri problemi, stando in piedi con gli occhi rivolti verso l’alba, con le radici piantate nel nostro tempo e le ali protese verso il sogno. Verso quel sogno che, non è una fuga onirica, non è virtuale perché io so che diventerà progetto, costruzione. Diventerà strada. Da percorrere con coraggio. Gli etologi insegnano che l’altra reazione possibile è la lotta. Io come voi ho scelto di lottare perché io il mio sogno,il nostro sogno lo voglio realizzare, lo vogliamo realizzare!
Buon
Natale di speranza
Battaglia Maria Teresa
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