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SPECIALI PAGINA LIBERA |
Rosarno, quale futuro?
I fatti di Rosarno lasciano sconcertati non solo per la loro crudezza, ma anche per le risposte che sono state date: risposte antiche a fenomeni antichi sotto forme nuove. Si è in sostanza proceduto da un lato a giocare allo scaricabarile delle responsabilità soprattutto da parte delle istituzioni e dall'altro a difendere in modo acritico il proprio territorio investito dai giudizi negativi da parte dei media locali, nazionali ed internazionali.
A Rosarno da anni le campagne erano frequentate da immigrati che stagionalmente raggiungevano la Calabria per la raccolta di frutta o ortaggi nei campi della Piana di Gioia Tauro. Vivevano, come ora tutti nel mondo hanno potuto vedere e come non si può far più finta di non sapere, in una condizione disumana presso alcuni edifici della vecchia Opera Sila che, per paradosso, era stata istituita per la trasformazione fondiario-agraria dell'altopiano silano, per la bonifica dei terreni, per favorire la colonizzazione, nonchè lo sviluppo del turismo, per la ridistribuzione della proprietà terriera ai contadini. Quei vecchi edifici, invece, ora ospitavano un'umanità dolente che per un salario da fame era disposta a fare i soliti lavori che noi italiani non siamo più disposti ad accettare, era disposta a vivere in locali senz'acqua, senza energia elettrica mettendo a repentaglio la propria salute ed integrità fisica visto che, nonostante le paure ataviche di noi italiani, la maggior parte degli immigrati giunge nel nostro paese sana e si ammala qui perché costretta a vivere in condizioni bestiali. E dopo anni di sfruttamento bieco e di accettazione tacita della situazione da parte di tutti noi, ora ci davano fastidio, ora che la crisi economica ha colpito tutti ed in particolar modo l'agricoltura, specie quella del sud, ora che non conviene nemmeno più raccogliere le arance, conviene lasciarle a terra, avremmo voluto che non tornassero più, avremmo voluto che scomparissero come per incanto e invece loro sono tornati numerosi anche quest'anno.
E ciò, purtroppo, dobbiamo dire che faceva comodo a tutti. Tutti noi sapevamo, conoscevamo la situazione, ma faceva comodo che ci fossero persone che accettavano le più infime condizioni di vita e che eravamo sicuri non si sarebbero mai rivoltati perché ricattati dal bisogno ed anche dalla precaria situazione legale. Ma le nostre previsioni si sono rivelate sbagliate, quei giovani costretti da noi italiani ad una condizione da schiavi si sono ribellati, hanno detto no ad anni di soprusi, di violenze fisiche (perché al loro indirizzo, non dimentichiamolo, sono stati colpiti con un fucile ad aria compressa) cogliendoci di sorpresa perché la nostra prima reazione o inazione è stata lo stupore. Ma come? Si rivoltano? Esistono? Sentono il dolore, la fatica, la rabbia anche loro? Alla fine comunque se ne sono dovuti andare o per meglio dire sono stati scacciati perdendo, in molti casi, anche la misera paga che spettava loro per il lavoro già svolto. Certo la loro rivolta è stata violenta, non condivisibile nei modi, ma certo non può essere la loro violenza il punto da cui partire per riflettere sul nostro modo di concepire i diritti di tutti ed il rispetto per gli altri.
Il punto di partenza è la nostra violenza nei confronti degli immigrati, soprattutto se neri, è il fatto che siamo pronti a sfoderare le belle parole nelle ricorrenze, ma nella concretezza quotidiana non sentiamo più il richiamo dei valori per i quali noi italiani ci siamo battuti nella durante la nostra storia, non sappiamo renderli attuali, trasferirli nella realtà odierna che ci richiede ogni giorno di porre attenzione al valore, al significato ed alle conseguenze delle nostre azioni, ci richiede di vigilare sulle situazioni nuove che si creano e non di voltare la faccia dall'altra parte come tutti noi abbiamo fatto per tanto tempo in Calabria ed in Italia.
I valori che hanno permeato la nostra storia sono i valori di libertà, democrazia, solidarietà, partecipazione, dialogo, incontro, che però non riusciamo a riconoscere ai nuovi poveri delle nostre società, quelli diversi, quelli neri.
Quei valori, quei principi sono ancora attuali, perché ancora inevasi nella loro compiutezza come Rosarno dimostra e perché devono potersi coniugare in forme nuove ed attuali perché possano sempre attraversare positivamente il nostro mondo contemporaneo e quelli che verranno. E poi perché il ritorno degli integralismi, l'oblio delle regole collettive democratiche sono ancora presenti e attuali. E hanno bisogno di anticorpi. Ma c'è di più: quei valori devono ancora essere i nostri valori, di uomini di donne, di italiani e di immigrati che con essi vanno verso un mondo animato da tolleranza, dialogo, incontro e accordi reciproci condivisi.
Piero Caroleo
Vice-presidente FAI Calabria e membro del direttivo del CSV
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