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Un futuro alle spalle
Con
l’approssimarsi delle elezioni regionali incominci a pensare chi e come voterai
e ti assale uno strano senso di mal di stomaco, un «reflusso esofageo» che
trattieni a stento. Un’amara riflessione. Ci siamo venduti il nostro futuro, e
quello dei nostri figli. Lo abbiamo venduto per l’abbaglio di una vita fatta di
agi, di una casa piena di ogni ben di dio, di una lauricchia ad ogni costo, del
posto fisso e della Milano da bere. Lo abbiamo venduto al rampantìsmo degli anni
‘80. Lo abbiamo venduto per un piano rialzato in più, perché tanto c’è il
condono. Lo abbiamo venduto alla edificazione selvaggia perché c’è bisogno di
casa e non fa niente se costruiamo su un costone di argilla. Lo abbiamo venduto
ai soldi facili senza pensare a chi li toglievamo. Lo abbiamo venduto alle
discariche abusive, magari a mare, mica è roba nostra! Lo abbiamo venduto a chi
ci ha detto «va tutto bene, ci penso io, siate ottimisti». Lo abbiamo venduto ad
una classe politica, di destra e di sinistra, che ha gestito il nostro Paese
come se fosse sempre in emergenza e quindi è giusto che Bertolaso faccia il
ministro: l’Italia è un paese da protezione civile. Ogni argomento viene
affrontato con lo stesso piglio del fiume che straripa o della frana che si
porta via 30 persone e paesi interi. E quindi pezze a colori sulla scuola, che
viene riformata ogni due anni. E allora pezze alla giustizia nascondendosi
dietro il fatto che rispetto alla nostra è peggio quella del Gabon. Questo è un
paese dove la parola programmazione è bandita e dove parlare di riforme
strutturali è come parlare di un veleno pericolosissimo. Certo pericoloso,
perché, se fai riforme strutturali, queste potrebbero andare in porto quando non
sarai più ministro, governatore o sindaco. E allora meglio guardare a quello che
puoi ottenere oggi alla faccia della crisi economica, della gente che rimane
senza lavoro, dell’operaia che entra in fabbrica con il coltello da cucina per
sapere quando sarà pagata, perché il suo bambino di 8 mesi non ha da mangiare,
alla faccia dell’operaio che si dà fuoco perché non ce la fa più. L’Italia paga
oggi il prezzo di chi ha fatto accordi legati al momento sociale e non nel
rispetto del paese che amministrava. Quindi tutti all’università senza sapere
quanti alla fine troveranno lavoro, quindi tutti in fabbrica desertificando le
terre agricole senza capire dove va il mondo, quindi un impianto siderurgico nel
mezzo di una delle terre agricole più ricche d’Italia. E adesso le terre
agricole sono inquinate dai rifiuti, le scuole, gli ospedali etc. Hanno più
risorse di quelle da utilizzare. E nel frattempo i mestieri manuali, quelli che
una volta facevano solo gli analfabeti, hanno un bel posto nella nostra economia
e ci ricordano una cosa semplice: «se non c’è il contadino, che raccoglie le
verdure e munge il latte, difficile che qualcuno mangi!». Eppure siamo
capitanati da un imprenditore che ha detto che avrebbe trasformato questo Stato
in un’azienda efficiente ed efficace. Efficace certo per lui e per il suo
insieme e per tutti quegli italiani che credono che potranno comportarsi come
lui «se lo fa il capo». Provare per credere se è proprio così. La legge non è
uguale per tutti, tanto che sono riusciti a vendere come epocale una riforma
scolastica aspettata da 50 anni. Infatti, perché è la scuola che c’era in Italia
50 anni fa. E nel frattempo l’opposizione per non perdere la sua rendita di
posizione si trascina in beghe interne e non ha il coraggio di offrire un
programma che si realizzerà magari in 10 anni, avendo il coraggio di dire le
cose come stanno e non di stare zitti e tacere sperando di raccogliere qualche
briciola. Il paese se lo stanno mangiando e il famoso piano «solo», di cui si
discuteva tanti anni fa, è tornato con l’abito dei festini, delle leggi ad
personam, di un certo giornalismo che dice, non dice e che ammicca. E l’«abile
venditore», come lo definiva Indro Montanelli, sta portando tutta l’Italia
dentro il Grande Fratello e chi la pensa in maniera diversa è fuori dal giro e
dalla vita. Mi ricorda tanto il mio professore di marketing della Procter&Gamble
(la più grande multinazionale mondiale) che mi ha insegnato i trucchi per
vendere la varechina Ace. Per il grande «Silvio», noi siamo tutti consumatori.
Dobbiamo spendere e non pensare.
Laura Aprati
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