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Un’estate fa
Sul mio letto, a qualche ora della prima, il 31 luglio, come panni stesi al sole di una fiumara, decine di vestiti tra vecchi reperti di vent’anni ma sempre attuali e nuovi modelli fashion targati Usato doc e solo qualche nuovo acquisto boutique, mi confondevano ancora di più sulla scelta per quell’occasione unica nella mia vita che avrebbe fatto conoscere alla mia città un film che ho, grazie alla collaborazione di una folta schiera di persone, di amici, ho potuto proporre ad un regista così come era nei miei sogni. Mai dire mai, dicevo ed infatti, anche se con ritardo ho potuto prendere parte a ciò che desideravo da sempre: un film. Mentre tutto il gruppo viveva in modo più diversificato questo tipo di ansia, ma anche per me non era certo una semplice questione di vestito, nella mia mente rivedevo tutti i momenti che hanno composto il puzzle delle scene, fra costumi e battute, luci naturali e illuminazioni artificiali, case private aperte al set e scenari paesaggistici che per pagarne una ricostruzione non sarebbero bastate le casse dello Stato. Tutto scorreva in modo vertiginoso nella mia mente, persino gli aromi di quell’aria estiva, i profumi degli abiti e del make up. In quei giorni di un esatto anno fa, si concretizzava ciò che all’inizio per me era una semplice e sola idea, un grumo di personaggi che avevo inventato con nome e cognome, carattere e lavoro, un passato e un presente che poi avevo presentato all’attenzione del regista Paparazzo il quale si entusiasmò e partì per l’avventura My land. Per strada, anzi subito, salì in carrozza il prof Ulderico Nisticò che colorì e caratterizzò molte frasi celebri del lungometraggio, realizzando una sceneggiatura bella e vivace, offendo allo spettatore una visione elegante e non superficiale del racconto. Un viaggio tutto calabrese, come noi, che vide i luoghi più suggestivi e caratterizzanti del nostro territorio soveratese divenire scenario attivo e narrante di una terra e di tante storie intrecciate, fra emigrazione e nostalgia, feste e famiglia, sole e basilico, mare e dollari, amore e gelosia, di tutto un po’. Non solo, un viaggio che ha concentrato un gruppo di attori assolutamente non professionisti, persone comuni cimentarsi in qualcosa che prima di tutto è stato puro divertimento, nonostante l’impegno e le difficoltà del caso, per trasformarsi in personaggi ancora oggi amati, riconosciuti e qualche volta simpaticamente chiamati col nome del loro ruolo nel film. Cosa ha fatto poi My land? Ad quasi un anno di distanza, a fine maggio, ha vinto il prestigioso premio della 46ma edizione dell’International Tourfilm Festival di Lecce, come miglior film non in concorso, circola la scheda di questo prodotto nei siti online del cinema italiano, tanti hanno scritto, tanti l’hanno visto, molti hanno perso la parola. Alcuni devono ancora vederlo ma non lo comprano, aspettano un clone che nelle retrovie viaggia come il colesterolo nel sangue. Forse per questo My land non ci ha fatto diventare ricchi……!!!!!!!!!!! Che dico, almeno rientrare con le spese!!!! Ma chi se ne importa; c’è che questo è il primo e unico film, mi contraddica chi sa del contrario, a narrare di una Calabria nel modo di cui essa oggi ne ha più ha bisogno: positivamente. Normalmente. Dove l’immagine non si identifica in vecchi sdentati che parlano un dialetto così stretto da consumare i denti e senza l’opzione del Google Traduttore e la conoscenza di un bravo odontoiatra, dove la nostra regione non è fatiscenza esistenziale e urbana e le storie non sono quelle vergogne a cui pensano già i tabloid nazionali a pubblicare senza sconti. My land è profumo di vita, di sentimenti, di quotidianità ed emozioni. E passi l’imperfezione tecnica, i mezzi non potevano consentirci di meglio, anzi il valore di questa opera che ho concepito sulla scorta di bei ricordi d’infanzia, sta proprio nel coraggio e nella bravura a rendere coinvolgente un film privo dei sofisticati e costosissimi mezzi tecnici di ripresa, ma ricco di genuino impegno e colore. Cosa farà poi My land?? Nel mio cuore e nella mia mente, così come in quella di molti, continuerà ad urlare il nome di quella Calabria che esiste e che mai viene rintracciata e raccontata perché non sconvolge e non disgusta come luogo comune e pregiudizio richiede. Un’estate fa la storia di My land che, quando non sappiamo, tornerà..Vittoria Camobreco
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