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SPECIALI PAGINA LIBERA |
Dialogo d’un calabrese col commendatore
(da “Aspettando ancora
Garibaldi”)
di Gregorio Calabretta
Evviva commendatò! Tutto il nostro benessere lo dobbiamo a chi decise di annetterci. Sì, perché, dopo il passaggio di don Peppino Garibaldi, le cose per noi cambiarono improvvisamente: al sud diventammo quasi tutti turisti! Milioni e milioni di meridionali potevamo finalmente vedere la Merica, la Sguìzzera, la Germania, la Francia. Prima chi avrebbe mai potuto immaginare di diventare ‘nu riccimènnu mericànu? Nessuno commendatò! E fu grazie ai Savoia che scoprimmo la Sila, le Serre, il mar Ionio, il mar Tirreno, i fiumi, i laghi. - Ma perché prima non ce l’avevate i mari, i fiumi, la Sila? Sì, commendatò, c’erano anche prima, però non li vedevamo perché eravamo troppo impegnati a lavorare. Addirittura si dice che come uno di Torino s’affacciava alla finestra, vedeva intere masse di meridionali lavorare, in opicifi tessili, officine meccaniche, industrie metallurgiche, siderurgiche, cantieri navali, ferriere; ovunque si lavorava e non si vedevano disoccupati. Era un’esagerazione, commendatò! Infatti la voce che qua si lavorava tanto arrivò fino ai Savoia che subito mandarono a don Peppino ‘u ‘n’annètta. E Garibaldi ‘n’annettàu boni! Tanto a don Peppino bastava invitarlo a combattere e via: America, Europa, Nord, Centro, Sud: lui c’era: tirava fuori la spada e c’‘u fermàva?! I Savoia immediatamente diminuirono il lavoro nel meridione, trasferendo tutto al nord, via! Finanche le strade, ferrovie: tutto al nord! L’hanno fatto per noi meridionali, ignoranti, che avevamo bisogno di camminare a piedi, o cu ‘a ciùccia do’ tata, per conoscere e capire quanto fosse bella la nostra terra, il nostro sud. A noi le ferrovie, le strade, non servivano. Ma quale 106? A peda, via! Qualche contadino, coi Borbone, addirittura aveva avuto pure la possibilità di coltivarsi un orticello nei terreni di qualità demaniale. E che schifo era? Subito i Savoia misero fine a quell’indecenza e vendettero quelle terre ai baroni, anzi gliele regalarono. Giustamente a scuola ci hanno sempre detto, e continuano a dire, che prima dell’Unità d’Italia noi meridionali eravamo poveri e ignoranti, il 90% non sapevamo leggere e scrivere. Eppure i Borbone già da tempo avevano istituito un’istruzione primaria completamente gratuita (ma questo a scuola non si dice!). - Perché nessuno frequentava quelle scuole? - Perché lavoravamo, commendatò. Oggi il lavoro manca ed allora frequentiamo la scuola, così, insieme alla Basilicata, esprimiamo il maggior numero dei laureati in Italia, in proporzione agli abitanti. Ed al nord? Il più basso. - ‘Na vota l’unu commendatò! Certo, la maggioranza prima dell’arrivo di Garibaldi lavorava solo per un tozzo di pane ma dopo Garibaldi manco quello c’è rimasto! Pare che grande merito di quell’Unità, appartenga a Cavour: il fine tessitore, il grande statista. Pare? E vediamo che si dice del Camillo, commendatò… Camillo Benso una sera del 1840 perse giocando a carte 30.000 franchi a Parigi; altri 60.000 li perse, qualche giorno dopo, giocando in borsa. Il padre Michele, che deteneva il 70% dei mulini del Piemonte, nonché capo delle guardie municipali dei Savoia, corse subito a Parigi e se lo riportò a Torino; in altre parole, s’ ‘u racogghjìu a la casa, commendatò! Camillo Benso però sentiva che era nato per gli affari. - E quand’uno se lo sente, commendatò, non c’è niente da fare. Così il Benso penetrò nel moldo degli affari torinesi, entrando nel consiglio di amministrazione di tre compagnie che progettavano la linea ferroviarie Chambéry – Lione e Alessandria – Torino; ma fallirono tutte. Camillo però sentiva che gli affari erano il suo mondo e quand’uno se lo sente commendatò… Allora il Benso investì nelle fabbriche, Schiapparelli Rossi e C, mangime chimico, e nella Gaston Blondel e C., brillatura del riso, ma anche queste andarono male con grande perdita di capitali. I fallimenti furono ben 11!!! - Ma come fece uno così a diventare primo ministro, fine tessitore? - Più o meno come ai nostri giorni, commendatò!! Nel 1859, un anno prima della spedizione dei mille, il Regno dei Savoia, aveva debiti per 1 miliardo e 243 milioni delle vecchie lire, coi governi di Francia ed Inghilterra soprattutto. Camillo Benso suggerì al re Vittorio Emanuele d’incontrare il banchiere inglese Rothschild, che concesse un forte prestito ai Savoia ed in cambio fece un regalino anche al futuro ministro: una rendita di ben 37.500 lire annue. Non male per Camillo, dopo tutti i suoi fallimenti. Un omaggino, commendatò! Ai banchieri e governanti inglesi faceva comodo avere uno di fiducia in casa Savoia e… popt, ecco il ministro! Cavour fu subito alle prese coi debiti del Regno che solo d’interesse ammontavano a 56 milioni di lire all’anno, una voragine che i 4 milioni di abitanti di Piemonte, Liguria e Sardegna, non avrebbero mai potuto compensare da soli. Così, Cavour donò Nizza e Savoia ai francesi, saldando con loro i vecchi debiti. Tanto, due città in più, due città in meno… e poi mica erano di Cavour… Sciò, via, ai francesi! - E agli inglesi? E no, commendatò, quelli vollero solo i soldi ed in più, il controllo del Mediterraneo: il Regno delle due Sicilie: ecco dove andare a prendere i soldi, per gli inglesi, commendatò! Il regno dei Borbone stava bene in salute, essendo la terza potenza economica d’Europa. Bisognava solo attendere il momento buono che arrivò nel 1860, quando al re di Napoli, Ferdinando II, morto da qualche mese, era succeduto il figlio Francesco II, (detto Franceschiello) che aveva 23 anni ed era ancora inesperto ai movimenti politici internazionali. Gli inglesi ( e, dietro loro, Mazzini) suggerirono a Cavour di chiamare Garibaldi; tantu a don Peppino bastava ca l’invitàvi ‘u cumbàtta e idu fujìa. Così in quattro e quattrotto 1160 Garibaldini si imbarcarono il 5 maggio del 1860 su due navi a vapore, il Piemonte ed il Lombardo ( imbarcazioni ed il viaggio completo, furono finanziati dagli inglesi, ma che non vi scappi con nessuno, commendatò perché lo sanno tutti ma non si non si deve dire) e dopo 6 giorni arrivarono a Marsala, sbarcando quasi tranquillamente. Solo due lievi feriti. Forse càttaru supa ‘u ponte da nava, non si sa, perché né dalla marina, tantomeno dall’esercito dei borbone, fu impedito quello sbarco. - Solo qualche sparo in aria, commendatò. Forse era tempu ‘e pernìci o ‘e marvìzzi. Appena il Sud fu annesso all’Italia, quattro alti comandanti dell’esercito e della marina dei Borbone divennero generali nell’esercito dei Savoia ed ebbero riconosciuta la pensione di generale a vita. Si disse che gli inglesi avessero corrotto quei signori. - Mah, si ‘nda dinnu tanti, commendatò. Si sa solo che da allora per noi iniziò un’affannosa agonìa. La gente cercò di ribellarsi e ci furono più morti nella lotta al brigantaggio che in tutte e tre le guerre d’indipendenza messe assieme. Ma erano rivoluzionari, non briganti, commendatò, non date retta ai libri di scuola. Già, i libri… Figuratevi che la prima mossa di Cavour fu di nominare Michelangelo Castelli, suo fedele amico, come viglilante di tutte le pubblicazioni del regno: nessuno poteva raccontare un’altra storia, né parlare dei fallimenti del nostro amato Benso. Intanto ai Savoia, l’Unità ancora parziale d’Italia nel 1861, portò 668 milioni di lire, di questi ben 443 appartenevano al Regno delle Due Sicilie, più dei 2/3. Così i Savoia poterono ridurre parte del loro debito con gli inglesi. Il resto forse ancora ce lo stiamo portando dietro. Fa sorridere, commendatò, leggere che il primo consiglio voluto da Cavour e Vittorio Emanuele II, dopo un’Unità ancora parziale d’Italia, stava per mandare qualche migliaio di lavoratori del nord nelle nostre fabbriche ben avviate ed all’avanguardia in Europa. Ciò non avvenne perché Cavour non ritenne prudente l’iniziativa; sapeva bene il Benso del tiro che ci stavo facendo e si aspettava presto dei disordini che non tardarono.Noi meridionali dal 1860 al 1870 avemmo oltre un milione di morti, 54 paesi rasi al suolo, alcuni con vecchi, donne e bambini, bruciati vivi; e ben 500 mila prigionieri politici. I Savoia impiegarono in questi dieci anni 500.000 soldati, quanti gli americani nel Vietnam, commendatò! Ma la sconfitta più grande per noi meridionali, e calabresi soprattutto, causata dall’Unità d’Italia, è stata la perdita della propria identità culturale, di quel senso di appartenenza che rende gli uomini orgogliosi della propria terra. Vi sono due modi per cancellare l’identità di un popolo: il primo è quello di distruggere la sua memoria storica; il secondo, quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre culture. Noi meridionali li abbiamo subíti entrambi, commendatò. “In noi - scriveva Leònida Rèpaci - dovrebbe sempre prevalere l’orgoglio di appartenere ad un popolo che ha ininterrottamente sopportato enormi sacrifici e che ha saputo esprimere grandi uomini, come Telesio, Pitagora, Cassiodoro, Zaleuco, Gregorio Aracri, Mattia Preti, Tommaso Campanella, Gioacchino da Fiore, San Francesco di Paola, Galluppi, Vincenzo Padula, Diego Vitrioli, Corrado Alvaro, Francesco Cilea, Bruno Pelaggi, Fortunato Seminara, Francesco Perri, Mario la Cava, Sharo Gambino, Saverio Strati e, non ultimo, Antonino Scopelliti” e lo stesso Leònida Repaci, commendatò. Bene inteso io sono contento di essere italiano e non saprei vedermi diversamente! Guai a chi mi tocca la nazionale, la rai, canale 5; guai a chi mi tocca Sky, commendatò. Ma fummo raggirati: l’annessione non ci portò quel benessere e quei miglioramenti che ci promisero e per cui la nostra gente si schierò dapprima apertamente con Garibaldi. Noi, siamo stati un popolo pacifico, forse troppo e non abbiamo mai aggredito nessuno, anzi dovremmo sopportare meno chi continua ad insultarci. Invece stiamo zitti, anche difronte agli idioti perché per noi pure gli idioti sono sacri, purchè siano del nord! Non so se è capitato d’incontrare, pure a voi commendatò, un milanese o un torinese palesemente cretino. Ebbene per noi meridionali non può essere, perché al massimo è un cretino di Torino o di Milano, che è sempre più intelligente ‘e unu ‘e ccà sutta. E allora stiamo tutti zitti, sss, muti ad ascoltare gli insulti di Bossi & C. Ma perché la nostra classe politica non dice niente? Forse perché quelli della Lega hanno ragione? Forse perché i nostri medici, non guariscono?I nostri maestri, non insegnano? I nostri avvocati, non difendono? I nostri musicisti, non suonano? I nostri artisti, non artattacano? I nostri siti web non wèbbano? E i politici? Quelli qua non hanno mai politicato. Non sono come Cavour, commendatò, i nostri politici non se lo sentono e quando uno non se lo sente, non c’è niente da fare. Così, commendatò, qua restiamo fermi, magari affacciati alla finestra, “Aspettando ancora Garibaldi”. da: www.gregoriocalabretta.it |
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