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Ricordo a dieci anni dalla tragedia delle "Giare"

A dieci anni dall’alluvione che colpì duramente la città di Soverato ritengo giunto il momento di rendere note le memorie da me scritte sulla vicenda nei mesi successivi e fino alla emanazione della sentenza del Tribunale di Catanzaro del 26 giugno 2006.

Soverato 10 Settembre 2010
Gianni Calabretta

   


Domenica 10 settembre del duemila è una data che difficilmente riuscirò a dimenticare.

In quel giorno e in quelli seguenti ho vissuto una esperienza che sicuramente rimarrà per sempre nella mia memoria. L’esperienza di vedere a poche decine di metri persone in pericolo di vita, che chiedevano disperatamente aiuto e dall’altra parte, anche se solo per pochi, ma interminabili, minuti, persone disponibili ad aiutare e impossibilitate ad agire.

L’esperienza di vedere morti raccolti nel fango.

Persone che erano lì per trascorrere, come ogni anno, alcuni giorni in serenità e gioia e che, invece, hanno trovato la morte. Volontari veri, che sono anch’essi morti ed erano lì per darsi, per assistere donne e uomini a cui la vita non aveva regalato una esistenza fortunata.

L’esperienza di vedere cancellato in pochi giorni un faticoso e lungo lavoro che aveva permesso di ricostruire l’immagine della città.

 

Una città atipica nel contesto della Regione Calabria:

una città dotata di 24 metri quadri di verde pubblico per ogni abitante residente ( le città italiane ne possono vantare mediamente solo 9 mq); dotata di ampie isole ambientali pedonali; elaborazioni e pratiche urbanistiche esemplari nel panorama nazionale ( risale al 1964 uno studio pilota sulla progettazione di area vasta).

Una città con solo undicimila abitanti residenti eppure ricca di: sette Istituti di scuole medie superiori con cinquemila studenti frequentanti, una serie innumerevole di associazioni culturali e di volontariato; il sistema degli esercizi commerciali, per numero e qualità, capace di attrarre flussi anche oltre il confine del Comprensorio (1 esercizio per ogni 25 abitanti residenti); la presenza dell’Ospedale e di importanti uffici pubblici e privati; la vivacità e originalità di eventi culturali di rilievo ( lunedì letterari, Seminari sulla Costituzione, la Biblioteca delle donne); l’incredibile e, per certi versi inspiegabile, assenza della criminalità organizzata; pratiche di accoglienza che hanno attirato l’attenzione nazionale e internazionale.

Una città, insomma, di cui i cittadini vanno fieri.

Nonostante ciò, l’evento ha determinato, con i resoconti giornalistici, una visione distorta  dei fatti e della città.

I danni fisici, tutto sommato, irrilevanti, i danni di immagine enormi.

Da città accogliente e solidale a città di  morte, emblema di malaffare, disordine urbanistico, insipienza.

Già venerdì 8 intense precipitazioni avevano determinato piccole frane, smottamenti e qualche allagamento. L’ufficio tecnico, con gli operai e le aziende di fiducia del Comune, era stato costretto ad intervenire in più punti della città.

Sabato 9 il maltempo continuava a imperversare su tutta la fascia ionica; durante la notte le piogge causavano disagi e una frana, piuttosto consistente, su viale della Galleria che pregiudicava la transitabilità della strada. Dispongo l’intervento immediato di una impresa di fiducia dell’Amministrazione e intorno alle due del mattino rincaso. Mia moglie, come sempre, si lamenta per l’ora tarda. La rassicuro, promettendole che il giorno successivo sarei rimasto in casa a riposare. Intorno alle sei vengo svegliato telefonicamente dai Carabinieri.

 “Il campeggio Le Giare è allagato; gli ospiti sono disabili. Vada subito!”

Il tempo di infilarmi un paio di pantaloni, di allertare telefonicamente il responsabile dell’Ufficio Tecnico, geom Guglielmo Palagruti, e quello del Centro Operativo Misto di protezione civile, ing. Antonio Manno, e mi precipito in Comune. Dispongo che tutto il personale in servizio si rechi al campeggio  e insieme al tecnico comunale raggiungo i luoghi.

La scena, che mi si presenta davanti agli occhi, è incredibile: almeno due metri e mezzo di acqua e fango sommergono tutta l’area.

Numerosi carabinieri e vigili del fuoco erano già lì: tentano con i loro mezzi di penetrare nell’area del campeggio, ma sono costretti a desistere. L’altezza dell’acqua e del fango in movimento non consente alcuna possibilità di accesso. E’ necessario disporre di un mezzo più pesante e potente. Chiamiamo il titolare di una azienda, di cui abitualmente il Comune si serve, e, grazie ad un suo mezzo, riusciamo a raggiungere l’area, dopo aver aperto un varco nel muro di argine, abbassando così il livello dell’acqua nell’area dell’ingresso.

Nel mentre con  la ruspa il titolare della azienda, Nicola Galeano, riesce a portare in salvo i primi superstiti, insieme ai carabinieri riusciamo a raggiungere l’area, più a monte, dove numerosi altri ospiti attendevano aiuto. Ci troviamo sprofondati nel fango, in alcuni punti fino alla cintola e anche oltre; in fila e a catena riusciamo a portare in salvo alcuni.

Sono in costante contatto telefonico con la Prefettura, alla quale chiedo l’intervento di elicotteri. Le condizioni meteo, mi dicono, non lo consentono. Quasi subito viene rintracciata la prima vittima (saranno in tutto dodici le persone decedute e rintracciate; una, ancora oggi, risulta dispersa). Il Prefetto raggiunge il Palazzo di Città e sovrintende alle operazioni di soccorso.

Intorno alle 9,00 tutte le persone che potevano essere salvate sono soccorse e portate in ospedale.

L’opera di disinformazione e di gratuita denigrazione  comincia da subito, con le edizioni straordinarie dei telegiornali.

La prima polemica è sui soccorsi, che sarebbero stati intempestivi.

Un improbabile volontario, in divisa, assolutamente candida, e senza la benché minima traccia di fatica sul viso, in stridente contrasto con la circostanza, viene inquadrato in primo piano e  intervistato da giornalisti, vogliosi di scoop o, meglio, di scandalo. Dichiara che l’allarme è stato lanciato solo alle ore 11. Ed invece le operazioni di soccorso si erano concluse da oltre due ore. Ai sentimenti di umana pietà per le vittime, di  cordoglio e di lutto, che pervadono l’animo di tutti i telespettatori, si aggiunge il luogo comune: la rabbia e l’esecrazione per l’inefficienza e l’insipienza tipica della società meridionale.

Fulco Pratesi (WWF), nel corso di uno speciale del TG1 della sera, è indotto ad affermare che, ancora nel duemila, in Calabria non sappiamo usare i telefonini.

Eppure qualsiasi giornalista, degno di questo nome, avrebbe potuto verificare, molto facilmente, la infondatezza della notizia: sarebbe bastato recarsi in ospedale e consultare i registri di accettazione; gli ospiti del campeggio portati in salvo certo non erano giunti lì con le loro gambe e l’ora di arrivo, segnata sul registro, avrebbe dimostrato che le operazioni di soccorso erano iniziate con tempestività.

Ed invece, è stato necessario attendere la ricostruzione dei fatti che il Ministro degli Interni fece alla Camera dei Deputati nei giorni successivi.

La strage annunciata.

La lunga serie de “Io l’avevo detto!”. 

Un cronista televisivo, che nel tempo libero dirigeva un giornale locale, Jonio Star, rivela all’opinione pubblica nazionale che quel piccolo giornale aveva denunciato già da tempo tutte le irregolarità connesse alle autorizzazioni del campeggio.

Custodisco tutti i numeri di quel giornale locale e posso affermare, perciò, che, sì, era stata data la notizia di una indagine della magistratura culminata con arresti del titolare del campeggio, di alcuni funzionari comunali e dell’amministrazione finanziaria; ma, a processo concluso, era stata data anche, e con un certo rilievo, la notizia del proscioglimento degli indagati, “vittime di un sistema giudiziario perverso e  inefficiente”.

Un cronista del Corriere della sera e uno del Manifesto riescono a rintracciare una ragazza, studentessa in architettura, laureata, honoris causa, sul campo, che avrebbe rivelato lo scoop della giornata: lei avrebbe studiato il regime del fiume Beltrame, avrebbe previsto la tragedia e  avrebbe pure avvertito le Autorità locali nel corso di un dibattito svoltosi addirittura una anno prima nella sala del Consiglio Comunale.

Di fronte a una notizia così importante i giornalisti (?) non sentono il dovere di verificarne la attendibilità. Eppure era facile intuire che una studentessa di architettura, o anche una giovane architetto, avrebbe avuto serie difficoltà a trattare temi attinenti l’idrogeologia.

Ma poi, questo studio, loro, i giornalisti, lo hanno visto?

E i resoconti di quel dibattito, svoltosi un anno prima nella sala consiliare, potevano o no essere consultati?

Esisteva, insomma, una qualche possibilità che la ragazza avesse previsto davvero la tragedia e che avesse avvertito il sindaco, la giunta e tutti coloro che erano presenti un anno prima a quel dibattito?

Per la verità, seppure solo dopo aver pubblicato la notizia, il cronista del Corriere della Sera venne da me. Nei giorni successivi continuò, imperterrito, a pubblicare articoli sul fantomatico studio, nonostante gli avessi ricordato che il corso di studi di architettura non contemplava materie specialistiche di idrogeologia e che, nel corso del dibattito di un anno prima, la ragazza aveva presentato una tesina sul Palazzo Gregoraci, con nessun riferimento al  fiume Beltrame.

La studentessa continuò ad essere corteggiata da cronisti e inviati di giornali e trasmissioni televisive perfino in occasione della ricorrenza ad un anno dalla tragedia.

E dunque: lei, una eroina, e gli amministratori comunali sordi e scellerati.

Mi sono più volte chiesto se si sia trattato di una ‘bufala’, in cui sono incappati involontariamente i giornalisti, indotti all’errore dalla voglia di protagonismo di una ragazza, o se, invece, abbiano voluto creare il caso con la perfida volontà di accreditare il luogo comune del meridione insensibile e inefficiente.

Numerosi sono stati gli interventi in Senato e alla Camera con i quali parlamentari di quasi tutti gli schieramenti ( Napoli, Preioni ed altri) ricordavano di aver, già da tempo, posto interrogazioni, alle quali non era stata data risposta. Tutte prendevano spunto da segnalazioni di alcuni imprenditori del luogo, che, mossi dalla preoccupazione di salvaguardare l’ambiente e di evitare la strage che poi si verificò, avevano, con encomiabile senso civico, denunciato le irregolarità. In realtà si era scatenata una vera guerra che aveva lo scopo di accaparrarsi quel terreno con intenti speculativi. E tra gli strumenti utilizzati, oltre alle denunce alle Autorità amministrative e alla Magistratura, avevano pensato bene di interessare addirittura il Parlamento.

Nel desolante panorama di luoghi comuni, dei “io l’avevo detto”, delle facili e gratuite denigrazioni, ci fu, per fortuna, anche chi sentì il dovere di ribattere ed offrire una informazione diversa.

Per la verità gli articoli furono pochi e apparsi, ahimè, su giornali poco diffusi, sicché non riuscirono né a contrastare l’alluvione di tragiche sciocchezze, che le TV e i grandi giornali avevano riversato nelle case degli italiani e che Ida Dominijanni aveva denunciato su il Manifesto, né a far Ripensare Soverato come invitava Piero Bevilacqua su Ora Locale. 

Riporto qui di seguito quei due articoli a beneficio dei lettori, ahimè, troppo pochi rispetto ai tanti che di quella vicenda hanno un’idea distorta e la nota di solidarietà, fra le tante, della Provincia di Cosenza.
 

   
   

Da Ora Locale

Ripensare Soverato

di Piero Bevilacqua

L’amministrazione di Pedalando Volare

La rovinosa inondazione che nella notte tra il 9 e il 10 settembre ho colpito il camping Le Giare, nei pressi di Soverato, mi è subito apparsa, e ancora oggi mi appare, come un episodio di demoniaca ingiustizia. La maggior parte delle vittime era composta da persone a cui la vita aveva assegnato una condizione di minorità e di handicap, o di persone i volontari che si trovavano in quel camping che la propria vita mettevano a disposizione di quella dei loro simili meno fortunati.

Che la sventura si sia abbattuta su simili esistenze non può non riempire di umano dolore e di rabbia. Ma a tale sentimento se ne aggiunge anche un altro, che è di frustrazione e insieme di ribellione politica. Non solo si è abbattuto un così grave lutto sulla città di Soverato, ma anche un'ombra di colpevolezza e responsabilità è venuta a stendersi sulla sua Amministrazione. E anche tale evento mi appare come un segno di ulteriore ingiustizia. E' da qui che voglio partire per entrare anche nel merito delle questioni che l'inondazione ha posto drammaticamente sul tappeto.
Considero l'Amministrazione di Soverato, guidata dal sindaco Giovanni Calabretta, uno dei più operosi, onesti, innovativi governi cittadini della Calabria e del nostro Mezzogiorno. E credo di non peccare di faziosità nell'affermarlo.

Occorre innanzitutto rammentarsi di una particolarità di questa esperienza di gestione municipale. Diversamente da tante amministrazioni meridionali che si sono distinte negli ultimi anni, la Giunta di Soverato non è solo il frutto delle specifiche capacità e del carisma del sindaco. A Napoli, come a Palermo, o a Catania o in altre città minori dove si sono realizzate rilevanti innovazioni rispetto al passato, la nuova stagione amministrativa ha preso avvio e ha vissuto soprattutto per l'impulso di un leader politico. Senza nulla togliere alle capacità di guida di Calabretta e tenendo ovviamente conto delle dimensioni della città a Soverato si è verificato qualche cosa di diverso e di più importante che altrove. A governare la città sono andati gli esponenti di un vero e proprio movimento politico e culturale. Ai primi degli anni 90' a Soverato è infatti nato un gruppo, Pedalando Volare, che ha costituito una specie di piccolo miracolo civile della nostra regione dove, peraltro, forse più che altrove, i partiti politici sono diventati dei rami secchi portando nella città uno slancio innovatore, un fiorire di idee, e di capacità progettuale quale raramente si era visto in passato. E' stata questa caratteristica di gruppo e di movimento civile, nato per iniziativa di alcuni cittadini, che ha dato all'amministrazione comunale di Soverato lo slancio riformatore, la capacità di coinvolgimento democratico della cittadinanza, la forza e la determinazione nel realizzare i propri programmi che oggi è osservabile nel volto stesso della città.
Non voglio apparire apologetico. E non mi provo ovviamente a elencare tutte le realizzazioni che sono all'attivo della Giunta Calabretta. Mi limito solo a ricordare che la città non ha solo visto arricchito il suo decoro urbano penso soprattutto al Lungomare Europa -, non ha solo subito una trasformazione di facciata, grazie a tante lodevoli iniziative. Diversamente da altre esperienze amministrative pur innovative, la Giunta Calabretta ha badato anche al sodo, alle strutture, realizzando fognature, prolungando acquedotti, bonificando pezzi di territorio (I noti Fossi che finivano in mare). E questa amministrazione rompendo una lunga e devastante tradizione regionale non ha badato a costruire nuove palazzine, non ha usato lo strumento del Piano Regolatore per saccheggiare il territorio, per far lucrare danaro, clientele e potere ai suoi assessori. Ha mirato, essenzialmente, disinteressatamente e coraggiosamente a creare servizi per i cittadini.

 Per tale ragione, nel momento in cui, attenuata l'emozione, si possono considerare le cose con maggiore freddezza, appare doveroso non seppellire quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni in Calabria sotto la coltre di una recriminazione indiscriminata e oltremodo ingiusta.

Qualche lezione da trarre
Ma quali sono gli insegnamenti da trarre da tutta questa tragica vicenda? A mio avviso due sono le questioni più rilevanti , fra loro strettamente intrecciate, che occorre mettere in luce: quella delle politiche territoriali e quella della legalità.

Contrariamente a quanto è stato detto, con la consueta retorica apocalittica e la ancor più consueta ignoranza delle cose, la Calabria non è lo <<sfasciume pendulo sul mare >> di fortunatiana memoria. A dispetto della convinzione dominante, la regione ha visto negli ultimi 40- 50 anni significativamente modificati i suoi assetti strutturali. O, quanto meno, è riuscita a porre sotto controllo i suoi numerosi e devastatori torrenti. La politica della prima stagione della Cassa per il Mezzogiorno, che ha puntato alla costruzione delle briglie montane, al rimboschimento delle pendici, alla canalizzazione dei corsi d'acqua a valle, ha consentito in tutti questi anni di evitare, o di contenere le frequentissime alluvioni del passato.
Oggi, naturalmente, vengono alla luce alcuni limiti di quella pur importante e benemerita strategia di intervento. Il rimboschimento, ad esempio, è stato essenzialmente di tipo difensivo, mirato a contenere i fenomeni di erosione. Attualmente appare invece evidente che occorrerebbe un rimboschimento mirato alle essenze di pregio, capaci di dar vita ad un'industria forestale fiorente. Una forma di attività che - insieme a tante altre possibili - potrebbe animare le economie locali e stabilizzare nuove figure sociali nel territorio. Con la scomparsa dei contadini dalle aree collinari, infatti, son venuti a mancare i soggetti che assicuravano una qualche manutenzione ad aree importanti per il controllo delle acque. Occorre perciò progettare forme di valorizzazione delle aree interne che assicurino nuove forme di presenza sociale e di controllo dell' habitat locale.

D'altra parte, la presenza di nuove leggi come la L. 183/98 che segna la nascita dell' Autorità di Bacino - una innovazione importante, che dà centralità ai bacini idrografici per comprendere e governare la dinamica del territorio - consente ai poteri regionali di dispiegare un impegno di controllo delle dinamiche territoriali che potrebbe portare alla creazione e valorizzazione di vecchie e nuove figure professionali. Quanti ingegneri, geologi, botanici, scienziati forestali, ecologi possono essere impiegati per lo studio e il monitoraggio dell' habitat regionale?

Oggi, d'altra parte, di fronte ai sensibili mutamenti climatici degli ultimi anni, le difese finora realizzate sembrano non più sufficienti. E per una serie di distinte ragioni. La prima e più immediata rimanda a un ormai sistematico e funesto fenomeno estivo: gli incendi. Tutti noi assistiamo sgomenti alla distruzione di ettari ed ettari di macchia e di boschi, divorati dalle fiamme nel cuore dell'estate. E di norma ci limitiamo a recriminare per il patrimonio di essenze forestali, di specie botaniche e anche faunistiche, che va in fumo. Ma pochi considerano che cosa avviene al suolo, che cosa il fuoco comporta per l'equilibrio complessivo del territorio. Il terreno delle alture, cucinato ad alte temperature, sconvolto nelle sue strutture chimiche, denudato di piante e radici, rimane a seccare e a sgretolarsi per tutta la lunga estate mediterranea. E appena arrivano le prime piogge, che tendono ad essere sempre più intense e violente, esso precipita giù, senza ostacoli e sbarramenti. E il disastro a valle è ormai un evento pressoché certo.
Bene, di fronte a un danno collettivo cosi grave, esteso e ripetuto come gli incendi io trovo francamente ridicola e colpevolmente debole la risposta del governo e di tutte le forze politiche italiane.Non solo di quelle regionali. Eccetto qualche isolata voce di ambientalista, ogni anno si colpisce impunemente il bene pubblico, si infliggono danni ingenti alla collettività, talora si cancellano vite umane, nella sostanziale inerzia dei pubblici poteri e nella rassegnata, ma ininfluente esecrazione della stampa e della opinione pubblica. Forse la valutazione degli incendi estivi può diventare meno minimizzante se si incominciano a vedere i nessi strettissimi con le alluvioni autunnali. Se si comprendono appieno i danni generali che discendono dalla assenza di una strategia di difesa e di intervento repressivo delle pratiche illegali - e ormai criminali - realmente all'altezza delle necessità.
Naturalmente, la questione ne apre un'altra spinosissima e di difficile soluzione: quello della legalità. E' uno dei maggiori problemi del Paese Italia.

In questi primi giorni di novembre la televisione trasmette immagini ormai consuete, dalla Liguria o dal Piemonte, di case trascinate nel fango dei fiumi in piena. Immagini dolorose, ma spesso esse mostrano come le case sono entrate nelle golene dei fiumi, come hanno invaso lo spazio riservato alle acque. In Calabria le cose non sono da meno. La tragedia di Soverato sotto il profilo giudiziario, è illuminante: riguarda la concessione addirittura del greto di un torrente ad un camping privato. E' esemplare dell'ethos dominante dei cittadini nei confronti del bene pubblico territorio, ma anche delle maglie troppo larghe delle istituzioni e soprattutto della magistratura calabrese. Il controllo esercitato da questa istituzione sulla legalità della vita regionale mi sembra francamente insufficiente. E' ovvio che non si possono fare riflessioni generiche su tale argomento. Non sono pochi i magistrati, in Calabria, che non solo fanno il proprio dovere, ma rischiano talora anche la vita. E tuttavia una schiacciante testimonianza oggettiva costituisce un'accusa vivente nei confronti di questo potere dello Stato nella nostra regione. Il territorio della Calabria è stato devastato, le coste sono sfigurate da costruzioni abusive che sorgono perfino sugli scogli, senza che una sola voce di condanna, senza che una iniziativa pubblica sia mai venuta da un settore che dovrebbe essere il garante supremo della legalità dello Stato.
 Oggi forse è tempo - visto che le alluvioni continueranno a funestare le nostre terre - che sorgano organizzazioni di cittadini con il compito di difendere un bene pubblico sempre più minacciato e costringano le forze dello Stato a compiere un dovere che sino ad oggi è stato così gravemente e lungamente eluso.

da

il manifesto

IDA DOMINIJANNI - INVIATA A SOVERATO

Un'alluvione di tragiche sciocchezze
Ieri mattina, in viaggio tra Sant'Andrea e Soverato, tra frane e alberi divelti dall'alluvione. Nel paese della sciagura la rabbia di giovani e volontari. E sullo sfondo la storia tutta italiana del camping "Le Giare"
Prima sciocchezza da smentire, fra quelle corse sul piccolo schermo nell'immediatezza dello shock: che da queste parti bastino "tre giorni di pioggia" per scatenare l'apocalisse. Non sono stati tre giorni di pioggia, bensì di alluvione. Quelli che hanno più anni e più memoria, devono tornare col ricordo al disastro del '51 per trovare un termine di paragone. E chi scrive ne è testimone diretta, non da Soverato ma dalla vicina Sant'Andrea, uno dei paesi inerpicati sulla costa montagnosa del basso Jonio, rimasto isolato nella notte di sabato e per tutta domenica per via delle molteplici frane sulla strada che porta dalla collina al mare e incrocia la statale jonica pochi chilometri a sud di Soverato. Per chi si trovava in questi pressi venerdì, sabato mattina, sabato pomeriggio e sabato notte, la prima domanda senza risposta rimane, sia detto senza nulla togliere alla valorosa e meritoria Unitalsi, come sia stato possibile fermarsi a festeggiare la fine di una vacanza in un campeggio sotto quel diluvio.

Sospendiamo le domande mentre, si fa per dire, ci godiamo il panorama di questo pezzetto esemplificativo dello stato della costa jonica, lungo la strada finalmente riaperta verso il mare e il resto del mondo, sotto il sole che quasi inspiegabilmente è spuntato all'alba del quarto giorno. Interi tratti della montagna sono franati. L'asfalto in più punti non c'è più, i muretti sono crollati sotto il peso di montagnole di terra e di alberi, o scheletri d'alberi, divelti. Adesso si vede che cos'hanno fatto gli incendi che con puntualità cronometrica massacrano ogni estate questo territorio senza che in anticipo vengano prevenuti, nell'immediato spenti e in seguito riparati. Così dal paese alto, dove già si stanno riparando i tetti di tegole, al paese basso, in riva al mare, dove l'acqua è entrata nelle case e c'è fango dappertutto. Così, suppongo, in tutto il litorale, verso la locride da dove arrivano in tv le immagini eloquenti di Roccella Jonica alla sibaritide verso nord.

 La statale jonica, la cosiddetta 106, non è meno eloquente coi danni che ha riportato vicino ai ponti sopra i torrenti che l'attraversano: chissà che non sia la volta buona per fare quello che da decenni bisognerebbe aver fatto per adeguarla alla mole di traffico che l'attraversa. E arriviamo a Soverato, dove invece, fuori dalla zona della tragedia delle Giare, di danni non ce n'è: i pozzetti erano stati tutti ripuliti pochi giorni fa, l'acqua è defluita come doveva. Davanti al municipio dov'è riunito il consiglio comunale convocato d'urgenza, molti giovani vigilano e vogliono dire da loro: non gli è piaciuto quel processo sommario ai soccorsi che hanno visto scorrere sul piccolo schermo negli speciali di domenica sera. Molti di loro si sono precipitati lì, alle Giare, all'alba di domenica, al seguito del sindaco e dei carabinieri: siamo in una città che del volontariato ha già dato prova in questi anni con l'accoglienza esemplare ai profughi curdi sbarcati qui in quantità a più riprese, e dove i sette anni di amministrazione del sindaco Gianni Calabretta, uno dei più riusciti esperimenti meridionali della "stagione dei sindaci", si è caratterizzata per un rapporto tenacissimo col protagonismo della società civile più responsabile e più "nuova" rispetto alla vecchia passività dell'immagine tradizionale del sud. Difficile, qui, attivare automaticamente l'interruttore del rancore contro il Municipio.
Da dove infatti arrivano le stesse smentite alla seconda sciocchezza da correggere, quella sui presunti ritardi nei soccorsi al campeggio. Parlano gli assessori, riassume il sindaco in prima persona: "Sono stato avvertito alle 6 del mattino, alle 6.30 ero al camping con alcuni dipendenti del comune e la ruspa di un imprenditore attivato immediatamente, e lì c'erano già carabinieri e vigili del fuoco immersi fino alla cintola in un mare di fango alto più di due metri. Abbiamo chiamato una seconda ruspa, alle 7,15 siamo riusciti ad aprire un varco, ci siamo tuffati tutti, amministratori volontari carabinieri e vigili del fuoco, nelle acque che defluivano riuscendo a portare in salvo i primi superstiti alle 8".

Il consiglio comunale, aperto ai sindaci di tutta la zona, al sindaco di Catanzaro e all'amministrazione provinciale, è appena finito. C'erano ad assistere alcuni esponenti politici - Soriero e Mussi, Ds - ma la parola se la sono presa loro, i sindaci, a metà fra rivendicazione di un nuovo senso di responsabilità "dal basso" e messa in scena di una vecchia contrapposizione dei municipi contro lo stato lontano, latente, che "sparirà come sempre fra pochi giorni insieme alle auto blu", come dice qualcuno troppo risentito con Barberi e la sua diagnosi della tragedia annunciata. Calabretta, che da anni si batte, inascoltato dai suoi colleghi, per un'azione comune dei sindaci della zona divisi da troppi particolarismi, stavolta, sull'onda del disastro, la spunta: ci vuole un coordinamento di vigilanza contro il dissesto idrogeologico. Arriva Marco Minniti, sottosegretario alla difesa, seconda tappa di ricognizione dopo la locride: puntualizza anche lui il timing dei soccorsi, invoca e promette un'azione strutturale "per spezzare il circuito fatale siccità-incendi-piogge", richiama le responsabilità dell'amministrazione regionale oggi polista e riconosce che anche quella precedente di centrosinistra troppo poco aveva fatto per l'applicazione della legge-Sarno, dice che il governo "ha poteri di controllo sulla regione e li applicherà". Dalla regione, intanto, replicano che il piano sulle aree a rischio idrogeologico è già attivo, l'assessore all'agricoltura Dima (An), chiede al governo la ridefinizione degli accordi sulla forestazione, e l'assessore all'ambiente Gallo anticipa una nuova proposta di legge urbanistica e l'avvio in tempi brevi dell'autorità regionale ambientale.

Ma intanto c'è, aperto come una voragine, il problema delle responsabilità della tragedia avvenuta. La procura di Catanzaro ha aperto un'inchiesta (reati di inondazione colposa e omicidio colposo plurimo), la regione anche. I tempi della politica però corrono più veloci di quelli dei tribunali. E Soverato, inutile dirlo, a un anno dalla scadenza del secondo mandato del suo sindaco è una posta che fa gola a molti e in primo luogo al centrodestra. Calabretta lo sa anche se non lo dice, consapevole del paradosso per cui ricadono su di lui quella responsabilità e quel protagonismo dei sindaci per i quali si è battuto in questi anni . E, bombardato da domande sulle concessioni al camping, si trincera dietro un "se c'è bisogno di un capro espiatorio sono pronto a interpretare io questo ruolo". Difficile però affibiarglielo, considerati gli interventi urbanistici sulla città che ha portato avanti con raro tempismo in sette anni e la pertinacia con cui ha continuato a negare concessioni edilizie nell'area delle Giare. La mitraglia di domande sulla storia del camping non gli tira fuori molte risposte: le carte, dice, sono state sequestrate com'è giusto dalla magistratura. Ma poi ricostruisce alcuni tasselli di una vicenda intricatissima: un'autorizzazione comunale al campeggio che risale al '68, un lungo contenzioso legale sulla proprietà e la gestione del terreno, la successiva concessione di una licenza demaniale, un condono edilizio ottenuto dal gestore Vitale, un ordine di demolizione sospeso dal Tar all'inizio degli anni 90, un'inchiesta giudiziaria che culmina nell'arresto di sei persone e poi cade in prescrizione. Il resto lo ricostruiscono a memoria alcuni collaboratori del sindaco. Si comincia nel '68 con un camping del proprietario del terreno, il barone Gregorace. Dieci anni dopo la gestione viene ceduta a Egidio Vitali, che in seguito Gregorace denuncia per inadempienza sull'affitto mentre il demanio rivendica come proprio il terreno. Intanto scoppia il lungo contenzioso fra Vitali e l'imprenditore nautico Ranieri (che nottetempo, siamo agli anni 90, chiude l'accesso del camping al mare con un muretto che il genio militare demolirà), che dà luogo all'inchiesta della procura di Catanzaro "per plurime violazioni del delitto di abuso in atti d'ufficio", come specifica ora una nota della stessa procura: illegittimità delle concessioni demaniali e violazione della normativa sulla distanza dovuta dal fiume. . Sei arresti e alla fine, parla ancora la procura, "il procedimento si è concluso con la dichiarazione della prescrizione dei reati per alcuni degli imputati ed è tuttora in corso nei confronti di altri". Una storia lunga trent'anni, un procedimento giudiziario lungo sette. L'amministrazione attuale di Soverato data dal '93: difficile che potesse opporsi, per quanto consapevole dell'incongruità del campeggio al piano urbanistico, a un condono sancito da una legge dello stato e a una sospensiva del Tar su un ordine di demolizione.
Adesso la giustizia riprenderà il suo corso, la politica anche e con essa i trionfalismi sull'ingresso dell'Italia in Europa e sulle magnifiche sorti della modernizzazione anni 2000 immemore dei guasti della modernizzazione anni 60 e di quella anni 80.
Il sole è tornato, sulla spiaggia devastata dalla mareggiata sono tornati i turisti tedeschi, a sera si alza la luna piena sul golfo e la tv può finalmente trasmettere la serata finale di Miss Italia, unico pegno pagato dalla comunità nazionale alla tragedia delle Giare.
The show must go on.

 La provincia di Cosenza il 27 settembre del 2000 a seguito di un documento di solidarietà nei miei confronti dell’ANCI, commenta.

Doverosa riparazione

Condividiamo pienamente e sottoscriviamo il documento di solidarietà che l'organo regionale dell'ANCI ( che in Calabria esiste ed ogni tanto si fa viva, a differenza dell'UPI, che continua ad essere latitante ) ha indirizzato al Sindaco di Soverato. Si tratta di un atto di doverosa riparazione espressa, sia pure in ritardo, nei confronti di un bravo amministratore.
Tra tutti i personaggi che sono venuti alla ribalta in occasione della tragedia del campeggio " Le Giare " , il Sindaco Calabretta è certamente il meno colpevole. Non è tra coloro che l'hanno voluto e proposto, nè tra quelli che l'hanno impiantato e gestito. Si dà anzi il caso che egli possa essere collocato sul versante opposto, avendo espresso, in passato, riserve sulla pericolosa e azzardata iniziativa.
Lo abbiamo ascoltato, alcuni giorni fa, raccontare a voce bassa quel che era accaduto. Con semplicità e senza enfasi. Solo con grande amarezza. Per i morti e le loro famiglie, innanzi tutto, e, poi, per la condizione del proprio paese, travolto anche esso dalla tragedia. Parlava dell'impegno civile di generazioni di amministratori onesti e capaci, che, a Soverato, avevano operato, portandola a livello dei centri più avanzati. Deplorava la scandalismo gratuito che di ogni erba aveva fatto un fascio, confondendo responsabili ed innocenti. E concludeva che, d'ora in poi, ai suoi onerosi compiti di
Sindaco, si sarebbe aggiunto anche quello di ristabilire l'immagine veritiera del suo paese sulla quale chiedere un giudizio sereno.
Parole serie e pacate. Lontane un miglio dalle concitate, frettolose dichiarazioni di quanti, nei giorni del disastro, si erano alternati dinnanzi alle telecamere, e che, preoccupati soltanto di scaricarsi di responsabilità , non avevano fatto di meglio che iniziare lo stupido e meschino accapigliamento - che tuttora dura - se e quando era arrivato un telegramma spedito dal Viminale al Prefetto e da questo ritrasmesso al Comune per segnalare la minaccia del maltempo.
Nessuno se l'è presa col Ministro dell'Interno Bianco nè col Presidente della Regione Chiaravalloti: l'uno e l'altro sono da troppo poco tempo al loro posto per poter avere qualche personale, diretta responsabilità. Le cose, però, sono diverse, se si affrontano le responsabilità di altri, dei quali nè Ministro nè Presidente della Regione hanno parlato. Di quanti, intoccabili e inamovibili, dirigenti di Ministeri e di Assessorati e Magistrati, hanno sempre fatto il bello e il cattivo tempo. E' a costoro che andava e va chiesto il conto di come hanno agito. Senza gettare croci addosso a chi, tra l'altro, ha già il triste e pesante destino di doverli sopportare.

Nel novembre del 2001 mi viene notificato un provvedimento della Procura della Repubblica con il quale mi si comunica che sono stato indagato e risulto imputato di omicidio plurimo colposo.

Nei giorni successivi leggo e rileggo quel provvedimento e gli atti che l’avvocato mi aveva procurato. Il mio stato d’animo è di ansia e di angoscia, non riesco a farmi una ragione della accusa.

Scrivo le note difensive che l’avvocato mi ha chiesto.

L’avvocato, dopo averle lette, mi rassicura. Ma intanto non riesco a rasserenarmi e passo lunghe notti sveglio a ripensare.

Decido di scrivere una lettera ai parenti delle vittime, che non invierò e che però mi aiuta molto a superare l’ansia; aver fissato sulla carta quelle riflessioni è stato come liberarsi di un peso.

La riporto qui di seguito.

Soverato lì 22 dicembre ‘01

ai Parenti

delle Vittime

dell’alluvione di Soverato

Ormai da un mese, vivo una situazione di ansia e angoscia. Come sapete, mi è stato notificato l’avviso di garanzia con il quale mi si comunica che sono indagato per aver cagionato la morte dei vostri cari: nella mia qualità di sindaco avrei dovuto ordinare lo sgombero del campeggio nei giorni precedenti l’alluvione.

Presumibilmente dovrò per molto tempo convivere con l’angoscia di chi corre il rischio di vedersi attribuita una responsabilità così pesante.

Ricostruisco quotidianamente quei giorni e mi chiedo se veramente avrei potuto prevedere la tragedia e agire per evitarla.

Se solo avessi avuto la cognizione della situazione, avrei potuto emanare un’ordinanza, così come pure in altre circostanze mi è capitato di fare e  anche senza che ne ricossero i presupposti oggettivi.

E invece il problema, se ordinare o no lo sgombero, non mi si pose nemmeno, semplicemente perché non venni a conoscenza che il campeggio ospitava numerose persone e per di più persone in condizioni di difficoltà, né immaginai che le piogge, per quanto intense, potessero determinare un evento alluvionale di quella portata.

Tuttavia, potrei sentirmi responsabile se in quei giorni non mi fossi impegnato nel mio ruolo, così come penso di aver fatto durante tutto il mio mandato di sindaco. Ed invece, anche in quei giorni, ero sul campo, cercando di fronteggiare l’emergenza e di prevenire, per quanto possibile, danni a persone e cose. Così feci quando mi venne segnalato anche il più piccolo pericolo. E così agii quando mi venne comunicato che c’era una situazione di crisi al campeggio: mi precipitai sul luogo impegnando tutte le risorse disponibili per salvare numerose vite umane.

No! – concludo sempre così le riflessioni di questi giorni – non posso sentirmi responsabile.

E però l’angoscia non mi lascia. Se da una parte, ragionando lucidamente, concludo che non avrei potuto evitare la tragedia, dall’altra sono assalito dal dubbio che evidentemente si insinua nel mio animo. Secondo l’accusa avrei potuto e dovuto evitare quelle morti e se un magistrato si è fatto questo convincimento, qualche ragione deve pur esserci. Non sarò, forse, un po’ troppo benevolo nel giudicare la mia condotta? Francamente non lo so.

Non mi resta che attendere il giudizio, nel corso del quale mi difenderò per rispetto verso me stesso, verso la mia famiglia, verso la città che ho rappresentato. Penso comunque che non potrò gioire quando sarò, se lo sarò, scagionato dall’accusa, perché inevitabilmente – e questo è l’aspetto che più mi addolora – sarò stato vostra controparte; controparte di chi ha subito l’ingiusta morte di un proprio caro, controparte di persone con le quali ho condiviso quei terribili momenti.

Desidero riconfermarvi che i miei sentimenti nei vostri confronti sono e saranno, in ogni caso, di cordoglio e solidarietà.

Gianni Calabretta

 Il Processo di primo grado si è concluso il 26 giugno 2006 con la mia completa assoluzione ed anzi i Giudici hanno riconosciuto  il ruolo svolto dal Comune nei soccorsi come determinante per la salvezza di vite umane.  Testualmente in sentenza si legge: “L’istruttoria dibattimentale ha anche dimostrato che il Comune era attrezzato per gli interventi di soccorso: fu proprio la struttura predisposta ed organizzata dall’ente locale …………. ad intervenire nell’immediatezza in soccorso di coloro che si trovavano intrappolati ancora all’interno del campeggio, salvando molte vite umane”.

Il Tribunale ha condannato i colpevoli al risarcimento del danno anche in favore del Comune, che si era costituito parte civile.

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