|
|
Il buon Guareschi, con le sue indimenticabili vignette, prendeva in
giro i compagni d’antan. Questo articolo non vuole avere un
contenuto politico né tantomeno rinverdire la contrapposizione
ideologica degli anni 50/60 del secolo scorso. Ma, avvalendosi anche
all’aggettivo che in aggiunta il Guareschi appioppava ai “compagni”
ovvero “i trinariciuti”, si vuole catalogare un ordine di proni
ortodossi, questa volta della storia. Intanto per Guareschi, i
trinariciuti erano appunto persone dotate di tre narici, due delle
quali servivano per respirare, la terza per drenare la materia
grigia dalla scatola cranica e immettere dalla stessa ordini e
disposizioni che rendevano la persona di una obbedienza cieca,
pronta, assoluta. E trinariciuti della storia sono stati per molto
tempo, per 150 anni, generazioni di cattedratici e aspiranti tali,
l’ordine era: vietato parlare male di Garibaldi, esaltare il
risorgimento dei luoghi comuni e di stratificate falsità, questa era
la loro Bibbia. E come integralisti dell’ortodossia risorgimentale,
questi signori (che Angelo Manna definiva in una sua interpellanza
parlamentare: ciucci e venduti), hanno scritto la
storia ad usum Delphini, l’hanno scritta dalla parte dei vincitori,
con pervicacia, ignorando e a volte isolando qualche raro se non
unico onesto storico quale Tommaso Pedio. I Galasso, i Villari, i
Volpe, i Croce hanno compiuto un’opera di rimozione generazionale,
un calcolato insulto della memoria, generata da una “casta” di
tromboni retrivi. Ma ecco che improvvisamente, questa “casta di
sacerdoti custodi di pompose certezze ”, anche se con la solita
boria e sufficienza che l’ha sempre marcata, comincia con le prime
ammissioni, con una condiscendenza farcita dalla solita spocchia da
unti dal Signore. Il Brigantaggio, le centinaia di migliaia di
sudisti uccisi dai piemontesi, un centinaio tra paesi rasi al suolo
peggio di Cartagine, gli stupri, le chiese violate, i campi di
concentramento, il peggiore e becero razzismo? Ma erano cose
risapute ci dicono oggi, ma non lo hanno mai scritto, la loro
memoria diminuiva con il progredire della loro carriera accademica e
delle relative prebende: la carriera di storici a senso unico.
Contrordine storici trinariciuti, e così inaspettatamente ma con
una scansione temporale che sembra obbedire ad un ordine di
scuderia, tra format televisivi e le “fatiche” di qualche storico
“neorevisionista di razza” cominciano a circolare testi il cui
contenuto, ahimè, se da un lato riconosce gli orrori e le
malversazioni commessi dalla razza ariana-piemontese, dall’altro,
non cessa di ricordare quanto bene ha ricevuto questo Sud popolato
da affricani affetto da una innata e quindi lombrosiana
incapacità. Il Galli della Loggia nei suoi editoriali invoca una
coesione nazionale, e intanto arriva a tacciare di ignoranza Edoardo
Bennato, colpevole di aver dedicato canzoni ai Briganti e al Re
Borbone. Giordano Bruno Guerri scrive “Il Sangue del Sud”, un libro
visto il contenuto, che ogni meridionale dovrebbe evitare di
acquistare, ancora, ecco comparire un libercolo, ”Viva
l’Italia”scritto da Aldo Cazzullo un torinese neh, in forza
al Corriere della Sera e noto per la scarsa se non nulla
considerazione che lo stesso ha degli abitanti al di sotto del
Garigliano. In giro per sagre e comitati periferici per i 150 anni
dall’annessione, troviamo il leccese Antonio Caprarica, in un lampo
partorisce la sua ultima “fatica”: “C’era una volta in Italia”,
presentata come una novità, se non fosse che già nel 1990 un Vito Di
Dario dava alle stampe altro testo “Oh,mia Patria” vera musa
ispiratrice del Caprarica. Una serie di editoriali, libri e incontri
sui vari programmi televisivi che hanno un unico intento: quello di
dare un premio di consolazione ai tanti movimenti meridionalisti e
che rivendicano una volta per tutte una storia del risorgimento che
renda giustizia. Ma, attenzione, questi pseudo revisionisti
blasonati perseguono un proposito molto chiaro, appropriarsi delle
rivendicazioni sudiste e adeguarle alla loro ideologia, quella che
ci hanno propinato per 150 anni. Valga per tutti un caso clamoroso,
dovuto forse ad una buona dose di ingenuità o ad improvviso
scollegamento tra materia grigia e parole in libertà. L’Infedele
del 2 novembre u.s. vedeva tra gli ospiti Sergio Luzzatto
(una cattedra di storia a Torino), uno degli argomenti era il
proliferare di “libelli” antirisorgimento, scritti da “ignoti” e che
tuttavia avevano un ottimo successo di pubblico (Aprile con il suo
Terroni non veniva citato), ebbene, questo storico di rango
dichiarava: “.. non hanno torto,è stata una guerra civile, una
guerra occultata per un secolo e mezzo. Noi
concediamo questi argomenti, è un po’ come la storia della
II G.M., abbiamo regalato a Pansa argomenti risaputi ma mai
affrontati da alcuno. Non dobbiamo fare la stessa cosa con la
repressione al Brigantaggio, se lo facciamo dire ai peggiori
e non lo diciamo noi con i mezzi di una cultura, come dire,
più degna, allora i risultati sono una confusione
dei ruoli e del vero dal falso”. Caro Luzzatto,non fu una
guerra civile, ma una guerra (nella campagna
per la repressione del Brigantaggio l’esercito piemontese ebbe 4
medaglie d’oro, 2.375 d’argento e 5.012 menzioni onorevoli)
contro un esercito straniero di invasori, non erano nostri
fratelli, era un esercito di locuste affamate, voraci. Grazie per
averci definito i peggiori, ma non abbiamo trovato
posto tra i migliori, tra i più onesti, tra i blasonati
cattedratici, tra i depositari del sapere storico. Quei posti
fortunatamente per noi li avevate occupati tutti. Vi accalcavate
senza risparmiarvi spallate, gomitate, scalciavate e sbraitavate
nella corsa al primo della classe. Non è servito a nulla, noi i
peggiori siamo qui a presentarvi il conto.
Distinti saluti
Perrucci Antonio
Condividi su Facebook
|
|
|