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Io Amo Soverato.
Soverato, ah Soverato. Come fa un già sindaco a non capire che la
bellezza e l’importanza di Soverato è scaturita non già da una sua
vocazione per grazia ricevuta, ma dalla qualità intrinseca degli
spazi aperti che hanno fatto di Soverato una sorta di città a
piccola scala. Cash è quindi un terminaccio, quasi volgare se lo si
rivolge alle dotazioni inespresse di un territorio che attraverso
queste cerca il suo riscatto e da ambiguo territorio, come ve ne
stanno tanti in Calabria, non ancora svelato compiutamente, si
sforza a diventare ancor più sirena. Cash potrebbe voler dire
moneta contante di origine cinese o caisse dal francese. Cassa! Ma
come si fa a ragionare in questi termini. Lo spazio aperto di
Soverato non è un valore di moneta contante bensì la sua intima
ricchezza, ovvero quella riconoscibilità che, iniziata in altre
“epoche”, occorreva promuoverla di grado per farla “divenire”
ricchezza sociale diffusa. Soverato non è dunque uno dei borghi
anonimi delle coste, che se non vedi il cartello (quando c’è!) non
sai dove ti trovi. Ma come vendere dei luoghi urbani dove deve
invece concretarsi la socialità spaziale dei suoi abitanti nuovi e
vecchi? Come vendere spazi aperti o luoghi costruiti che possono
(debbono!) diventare luoghi di costruzione della città nella storia?
Come alienarsi la possibilità di costruire dentro o per
sovrapposizione alla città che pre-esiste se i luoghi aperti sono
assenti o limitati a minuscolezze urbane, perché i luoghi appetibili
hanno da essere venduti per colmare vuoti di bilancio? Come non
capire che la ricchezza dello spazio (ovunque si trovi e qualsiasi
dimensione abbia) è la sua qualità, la sua intrinseca capacità di
produrre eventi, di prefigurare evoluzioni, di compiere quella città
che la rende unica nel suo genere e pertanto immediatamente
riconoscibile? Come non sapere che senza luoghi pubblici, diffusi
chiusi o aperti, non nascono vincoli sociali in grado di creare
quella civiltà che autorappresentandosi nei luoghi aperti, negli
spazi pubblici ed in quelli collettivi, nelle minuscole enclaves dei
rioni, proprio in questi formano la propria storia? Non capire o non
sapere che lo slargo minuscolo e irregolare non è un vuoto urbano ma
un luogo di connessioni sociali complesse che tendono a
stratificarsi nella storia del borgo.
Si può arrivare all’assurdo di non riconoscere, per esempio, la
magniloquenza della grande esplanade di verde sul lungomare
(compreso l’ex camping!) costituisce la intima eccellenza di
Soverato, e quindi concludere (irragionevolmente) nell’oltraggio
alla città, proponendo in un solo gesto la risoluzione di problemi
annosi di bilancio, cioè vendendo il verde che va dall’Istituto di
Maria Ausiliatrice fino al Don Pedro! E’ una provocazione, lo so ….
Ma non si sa mai! La città ha i suoi problemi, come ogni città, ma
non vendendo i luoghi aperti, forse ancora inconclusi, e non per
colpa del peccato originale, si risolvono le finanze della Pubblica
Amministrazione. Eppure con un po’ di fantasia al potere, Soverato
avrebbe potuto negli ultimi anni, che solo incidentalmente
coincidono con l’Amministrazione Mancini, creare altre condizioni di
varia natura e complessità, per accrescere le ricchezze e la cassa.
Non perdiamo ancora le altre promesse di luoghi sociali e non
scialacquiamo gli inespressi (ancora) valori di Soverato. Perché io
amo Soverato.
Antonio R Riverso Architetto indignato
Membro del Consiglio Mondiale degli Architetti |
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