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SPECIALI PAGINA LIBERA |
Faida dei Boschi
«In tanti ancora dovevano morire»
Il racconto del boss pentito Belnome
Perché dichiaratamente nemici, perché sospettati
d’essere nemici o traditori. Anche se innocenti. E di innocenti, soprattutto in
Calabria, in ragione del controllo del territorio che di per sé è un affare, ne
sono morti. Il racconto di Antonino Belnome è sconvolgente. «Anche questo era in lista» Parla Belnome, parla di malavita. Parla di morti
ammazzati e di morti che camminano a piede libero, almeno fino quando i
carabinieri del Ros non l’arrestano. «Anche questo era in lista…», dice al
procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e al pm antimafia Alessandra
Dolci. Così fa i nomi di mandanti ed esecutori materiali di diversi omicidi
avvenuti lungo la fascia jonica, quelli della guerra di mafia scatenatasi al
confine tra le province di Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria, dopo che
in Lombardia vennero uccisi il boss Rocco Cristello e l’ex capo crimine Carmelo
Novella. E racconta pure di quelli precedenti alla faida, orditi per punire
semplici «trascuranze» o per mantenere la supremazia eliminando di chi osava
violare l’ordine costituito. «Quel pentito deve sparire» «Quando si calmano un po’ le acque questo qui è
uno che deve sparire», gli avrebbero detto i capi del locale di Monasterace. Il
morto che cammina è un collaboratore di giustizia, che sta nella Locride e che
rischiava di arrecare ancora danni alla mala. «Mi hanno detto che era una cosa
che andava rimossa perché era una cosa brutta da lasciare lì - dice Belnome -.
Questa è una cosa recente. Prima volevano sistemare le cose più urgenti…». Magistrati, giornalisti e politici pure? Teme, il procuratore aggiunto Ilda Boccassini,
che di mezzo non ci vadano solo i malacarne: «Non so se ha mai sentito progetti
di eliminazione di tutori dell’ordine, di magistrati, di giornalisti, di
politici, cioè in generale», chiede al pentito, che però su ciò - riferisce -
non ha mai ricevuto ordini o confidenze. Lui era al corrente soltanto dei
progetti d’eliminazione degli ’ndranghetisti: «Ce n’erano parecchi in lista, ne
sono morti quasi una ventina ma ne mancano all’appello». E delle presunte
potenziali vittime offre un identikit sufficientemente circostanziato. La prima,
la seconda e la terza, poi la quarta… «Una volta mi parlarono che andava fatta
un’esecuzione in un ufficio sempre in quelle zone». Gli omicidi preventivi Ciò perché - racconta il collaborante - «c’è
molta prevenzione anche negli omicidi». E continua: «Cioè “Questa persona ci
potrebbe dare fastidio o potrebbe dire qualche nostro spostamento o qualche
nostra individuazione” e quello viene ammazzato, anche se non ha fatto niente».
Quindi basta un sospetto per uccidere, anche un innocente: «Così era la
questione di quello dell’acqua, la questione di Pietro Chiefari (assassinato il
16 gennaio 2010 a Davoli, ndr), la questione di Mico Chiefari (assassinato l’11
marzo 2010 a Guardavalle, ndr)». Le armi per la guerra Il primo sangue ha iniziato a scorrere in
Lombardia e quando è arrivato in Calabria non si è più fermato. Assassinati
Rocco Cristello (27 marzo 2008 a Verano Brianza) e Carmelo Novella (14 luglio
2008 a San Vittore Olona), fu guerra tra il cartello a cui Antonino Belnome
apparteneva, quello dei Gallace-Ruga, e la fazione Vallelunga-Sia. E per fare la
guerra servivano armi, nuove, pulite e funzionali. «C’è stata una partita di
armi importante - racconta al pm Dolci - fatte arrivare dall’estero tramite […]
dove hanno speso 150mila euro tutti in armi e munizioni, di cui io ne ho vista
una parte, in Calabria, appunto per questa faida. Non che gli mancassero, però
[...] quando entrano in conflitto sono drastici». La lupara bianca Belnome racconta, racconta tutto e con dovizia di
particolari. Ricostruisce dettagli cruciali della guerra di mafia, a cominciare
dalla scomparsa di Giuseppe Todaro, vittima della lupara bianca il 21 dicembre
2009. Fu il primo delitto dopo l’uccisione di don Damiano Vallelunga a pochi
metri dal santuario di Riace. «Praticamente il gruppo Sia - riferisce ai
magistrati - aveva bisogno di notizie, di sapere determinate cose dalla parte di
qua, diciamo, e fece prendere un nipote dei Todaro che era abbastanza aggiornato
e... e non si trovò più. Per questo poi ci fu anche la reazione dei familiari
dei Todaro verso Sia, verso Vittorio Sia con un tentato... Però i Todaro sono
molto vicini ai Gallace, andarono subito da Vincenzo Gallace quando non
trovarono più... mi sembra che è il figlio, e Vincenzo gli spiegò bene cosa
stava succedendo, cosa non stava succedendo. Allora loro hanno potuto fare mente
locale e iniziarono diciamo... pigliarono posizione subito loro». Vallelunga, Sia, quelli di Elce Per il suo gruppo tutti coloro che dopo
l’omicidio di San Vittore Olona erano rimasti fedeli alla memoria di Carmelo
Novella andavano liquidati. Dice, quindi, il 16 dicembre 2010: «In Calabria loro
ce li avevano dei tasselli, c’avevano Vittorio Sia, che non era poco. Vittorio
Sia voi magari non l’avevate sentito nominare, ma a livello di crimine era...
aveva un gruppo che non guardavano niente, quasi a livello di kamikaze. Quindi
quei due di Elce di Guardavalle che si è rimpiazzato Damiano Vallelunga e non li
hanno passati per novità, a parte che non potevano perché erano di Guardavalle,
senza autorizzazione di Guardavalle, quelli se li sono tenuti di nascosto. Quei
due fratelli lì andavano proprio a fare le azioni dalla mattina alla sera, gli
bruciarono anche questo grossissimo capannone dei propri zii che lavoravano il
legno perché dava fastidio al Vallelunga. Tutto l’appalto delle montagne della
Serra e di... faceva il bello e il cattivo tempo, gli appalti dovevano andare a
chi diceva lui». In Calabria si uccide meglio Tra Lombardia e Calabria, secondo il pentito, c’è però una profonda differenza. Spiega tutto il 20 gennaio 2011: «Perché tutte le persone vicine al Novella, diciamo quelle che potevano rendere delle problematiche, si trovavano in Calabria più che altro. Non guardiamo il Rispoli della situazione perché al nord è diversa l’operatività, è un po’ più difficile che in Calabria; in Calabria è molto più esecutiva la cosa. Per tanti e svariati motivi, perché c’erano dei personaggi di spicco come il Vallelonga Damiano, personaggi di Vittorio Sia, personaggi che potevano nuocere all’atto criminoso, gente operativa, gente che ha sempre fatto azioni, riconosciute tali. Rispoli (Vincenzo, capo del locale di Legnano, ndr) non era considerato di tale importanza da nuocere, c’era in programma […], c’era in programma […], questi erano in programma perché nella ’ndrangheta gli omicidi vengono spessissimo fatti a scopo precauzionale, perché un indomani potrebbero se no nuocere; essendo col Novella, un Vallelonga come te lo puoi più fidare? Un Vittorio Sia». Un pentito «genuino» Il suo è un racconto «genuino», evidenziano i pm di Milano negli atti relativi all’operazione “Bagliore”, che ha portato all’arresto di presunti mandanti ed esecutori materiali degli omicidi dei quattro calabresi in Lombardia: Carmelo Novella, l’ex capo del Crimine di Cirò, boss scissionista di Guardavalle che intendeva affrancare la «Lombardia» dalla «Provincia» di Reggio Calabria; Rocco Stagno, dell’omonimo gruppo originario di Monterosso Calabro che aveva assunto il dominio nel cuore della Brianza; Antonio Tedesco «l’Americano», il catanzarese che al Nord si era messo in affari col movimento terra; Rocco Cristello, il vibonese che partito da Mileto trafficava armi e droga tra Seregno e Verano Brianza. Parte dall’hinterland milanese e arriva fino in Calabria, offrendo una lettura cruda e dettagliata dell’ultima guerra di mafia. Una lettura che ora va valutata e riscontrata, affinché il sangue smetta di scorrere. Anche in Calabria. Pietro Comito - Calabria Ora
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