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Gentile direttore,

sono un giornalista di Bergamo che le scrive non da collega ma semplicemente da affezionato nipote di Leonardo Taverniti, candidato sindaco della vostra città alla quale sono legati molti miei ricordi, soprattutto dell’infanzia.  Gli spaghetti alle vongole seduto ad un tavolino del balcone di zio Leo, in una casa che ho occupato spesso e volentieri d’estate, è una delle immagini piacevoli che mi porto dentro delle “mia” Calabria.  Perdoni l’introduzione molto personale e anche questa premessa: quanto a idee politiche con mio zio non vado molto d’accordo.

Mi ha incuriosito molto la vostra analisi “Taverniti come Marchionne?”.  Ho anche un po’ sorriso perché so quanto noi giornalisti ci divertiamo e lavoriamo spesso con la dietrologia e l’analisi, soprattutto quando si tratta di politica e di strategie di comunicazione elettorale. Chiaro che un manifesto elettorale è frutto di una strategia, di un pensiero, sarà stato studiato, certamente. Ma l’accostamento di Leonardo Taverniti a Marchionne per via di quel maglione a giro collo mi sembra una leggera forzatura: posso garantirle per quanto conosco mio zio, che il maglioncino al posto di giacca e cravatta è qualcosa di spontaneo. Oppure, se è voluto, è semplicemente una conferma del suo stile.  

Da tempo, fatte salve importanti ricorrenze, io ricordo mio zio così: con quel giro collo che salva eleganza e semplicità allo stesso tempo. E mantenere il proprio stile di sempre anche in campagna elettorale è un buon inizio: la vita politica ed elettorale dovrebbe essere riflesso della quotidianità, della vita di tutti i giorni, non tanto delle feste e delle ricorrenze eccezionali da doppio petto. Il richiamo a Marchionne, per chi non conosce Leonardo Taverniti, è curioso e ai più può anche apparire azzeccato. Per me e altri parenti o conoscenti, invece, quel manifesto suona molto familiare.

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