Non
mi capita mai di commentare (o, peggio ancora, giudicare) ciò che
scrivono i colleghi. Sia ben chiaro: non perché non avrei mai nulla
da eccepire, ma perché sono da sempre convinto che ogni scritto si
caratterizza, in primis, per la soggettività. Tutti quanti - quando
scriviamo - esprimiamo pareri, non sentenze e neppure verità
scientifiche.
Un’opinione, una riflessione,
un qualsiasi punto di vista, e persino una «critica», per sua
intrinseca specificità - come fra l’altro ben ci insegna Popper -
non è confutabile in sé. Tutt’al più, sebbene ritengo che poco abbia
a che fare con la professionalità giornalistica, le si potrebbe
opporre un’altra opinione, altrettanto soggettiva.
Orbene, questa volta, dunque,
perdonatemi!, voglio fare un’eccezione. Dopo aver letto la piacevole
riflessione che l’amico e collega Domenico Logozzo (calabrese di
Gioiosa Jonica, caporedattore Rai in Abruzzo), ha fatto sulla
Calabria in seguito alla lettura del romanzo «Milano non esiste» -
di cui è autore un altro amico calabrese, comune ad entrambi, Dante
Maffia - è capitato anche a me di fare delle considerazioni. Come
dire? Una riflessione tira l’altra, creando quasi una sorta di
effetto domino. In questo caso, però, non è stato tanto il volume di
Maffia (peraltro letto attentamente e con affetto) a stimolare
l’azione del mio riflettere, ma lo stesso scritto di Logozzo,
apparso su «Calabria Ora».
In esso, il buon Mimmo Logozzo
- che da un quarto di secolo vive e lavora in quel di Pescara - fa,
sì, un’attenta analisi sui problemi calabresi. Sono ottime
annotazioni, le sue. Osservazioni che, peraltro, rinverdiscono
ricordi su fatti, immagini di persone e cose passate, conservate
nella sua memoria. Molte cose, certo, sono ancora attuali. Questa
Calabria rimane a tutt’oggi la regione delle promesse mancate, e
tant’altro. Tuttavia, come calabresi, che dobbiamo fare? Possiamo
ancora continuare a discutere sul caso Saline, sulla Liquichimica di
Montebello Jonico, sul Centro siderurgico, sulla mancata
industrializzazione della Calabria e via dicendo? La Calabria di
oggi è veramente rimasta tale e quale, ancorata agli anni Sessanta o
Settanta? Io penso proprio di no, anche se - come ho avuto modo di
scrivere recentemente - questa regione, purtroppo, sembra
trasformarsi sempre più in una vera e propria fabbrica di
scontentezze. Potremmo rispolverare a tal proposito anche Gaetano
Salvemini o Giustino Fortunato, grandi storici, grandi
meridionalisti. E potremmo anche dire che le colpe di tutto questo
stato di cose ricadono maggiormente sui vari governi centrali che si
sono succeduti nel tempo, i quali hanno badato più a curare gli
interessi del Nord, piuttosto che pensare a quelli della Calabria e
dell’intero Mezzogiorno. Ma servirebbe a qualcosa?
La Calabria che noi tutti
(oggi) vorremmo vedere, sarebbe una Calabria viva, operosa,
produttiva, occupata, competitiva, agile, snella, sburocratizzata,
pronta a dare risposte ai bisogni e alle attese di chi la abita,
ecc. Ogni calabrese, per di più, vorrebbe trovarsi sempre lontano
dalle «preoccupazioni» che nascono quando è necessario dosare gli
sforzi dell’intelligenza con i colori delle tessere di partito. Per
raggiungere questi obiettivi però è necessario tagliare i ponti con
il passato, evitare di continuare a leccarci le ferite, e guardare
sempre più in avanti, verso nuovi orizzonti, continuare cioè a
parlare di Calabresità, di nuovo meridionalismo ma pur sempre in
contrapposizione a quel vecchio meridionalismo piagnone e
protestatario.
Il romanzo di Dante Maffia,
«Milano non esiste» - con buona pace di tutti - è un eccellente
romanzo ma è ambientato negli anni Sessanta e rispecchia solo ed
esclusivamente quegli anni, o meglio descrive una Calabria che in
buona parte non esiste più. È un libro che merita di essere letto,
per carità. La buona narrativa aiuta sempre. Quando poi si tratta di
un bel romanzo-verità, meglio ancora. Aiuta anche a conoscere il
passato. Solo per questo, però, niente di più. La narrativa è una
cosa, la realtà è un’altra.
www.vincenzopitaro.it
Clicca sul pulsante che appare qui sopra, per leggere l’articolo
del caporedattore Rai, Domenico Logozzo, a cui si riferisce il
giornalista e scrittore Vincenzo Pitaro in questa rubrica
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