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Conosciamo la Calabria che vale: Reggio Calabria, non solo Bronzi
di Vittoria Camobreco
Ma quando il Duomo mi appare, ogni sconcerto evapora, ogni pensiero, dopo avermi sfiorata, si attenua. Reggio cristiana, pagana, etnica, indigena. E’ tutto ciò che vediamo fra i lampioni della sera, gli stand del mercatino quotidiano di Piazza del Popolo, è il tramonto sul mare, la Sicilia che tende le mani, l’albero secolare, il corso dello shopping, è la vita di questa città calabrese che sorride ed è il fulcro di una provincia bellissima. In effetti usciti dal fermento metropolitano, tante sono le sorprese fatte di borghi, rocce, storie passate, territori selvatici e particolarmente affascinanti. Come Pentedattilo che lancia le sue cinque dita di roccia verso il cielo come un grido di aiuto. Eh, si quell’aiuto che urge per conservare il suo piccolo e grazioso, antico grumo di case ai piedi dei resti di un castello dove, come in una favola diversa, dal triste finale, una storia d’amore finì nel sangue, tanti e tanti secoli fa. E anche se il tempo ha corrotto le mura, diroccato le torri, qualcuno sta recuperando la sua dignità storica portandoci il cinema col Pentedattilo Film Festival. Salendo lungo la costa ionica reggina e costeggiando il mare, in questo autunno un po’ grigio e un po’ assolato, i giorni scorrono fra profumi di erbe aspromontane mosse dalla brezza zefiria e io trovo fantastici questi giorni tutti uguali che caratterizzano il tempo dei nostri territori silenti e antichi. Brancaleone Superiore, ad esempio è uno di questi. Arroccato su un cocuzzolo che guarda lo Jonio, terra di gelsomini e bergamotti è cosparso di gruppi di case in pietra, diroccate e abbandonate negli Anni 50 dopo una drammatica alluvione. Tante famiglie e tante vite hanno percorso le viuzze e scalato queste pendici, magari in sella ad un asino, unico mezzo di trasporto di quei tempi. Oggi la bellissima chiesa è stata restaurata ed emerge con la sua bella croce verso il cielo. Qui veniva a godere della natura il grande scrittore Cesare Pavese, che nel 1935, rimase alcuni mesi in confino e qui scrisse Il carcere alcune delle pagine più belle e toccanti della sua attività letteraria. Come fare a non amare la Calabria? Dalle sue malinconiche rovine e dalle sue meraviglie contemporanee il bellissimo monito ad amare questa regione, chi andò via, il passato che ci ha generati, il presente che ci proietta nel futuro. Vittoria Camobreco - Giornalista
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