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LA MIA PARTE INTOLLERANTE - a cura del Libero Cittadino in un Libero Mondo |
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CHI HA UCCISO RINO GAETANO?
Deturpare la sacralità dell’uomo Salvatore Antonio Gaetano, meglio noto al popolo italiano come Rino Gaetano, è una tendenza comune a mediocri sceneggiatori e biografi che popolano il palcoscenico televisivo dei due poli mediatici italiani. La miniserie di 4 ore distribuita in prima serata ha dipinto un quadro deformato della geniale personalità dell’uomo Gaetano, una delle prima personalità italiana ad esprimere la libertà di pensiero e parola con una leggiadria ed una semplicità disarmante avulsa alla filosofia della “creazione del personaggio”, particolarmente diffusa in Italia ed emblematica dei simboli trasgressivi ed antipolitici dell’ultimo decennio.
Rino non era né un antipersonaggio, né un esibizionista alla ricerca delle prime pagine e del successo glorioso, era semplicemente sé stesso. Dotato di scarsa vocalità sopperiva a tale handicap mediante una sonorità eccelsa coadiuvata dalla fine raffinatezza di un paroliere moderno e diretto, che perforava lo schermo in maniera istantanea.
La sua parabola vitae descrive una gittata decrescente caratterizzata inizialmente da un difficile inserimento nel mondo della musica, tuttavia favorita dal pater putandi Vincenzo Micocci e dalle collaborazioni con l’amico Antonello Venditti. L’impronta teatrale, l’amore per Petrolini, i valori sociali da alcuni mistificati come stretti legami al Partito Comunista Italiano, fornivano a Rino l’energia vitale che traspariva dalle sue composizioni.
Il 45 giri “Ma il cielo è sempre più blu” lo lancia definitivamente nel parterre de roi musicale italiano, malinconicamente occupato anche da cantautori e pseudocantanti che di musicale hanno esclusivamente l’etichetta e gli sponsor.
La sua vita scorre in maniera lineare palesando i tipici alti e bassi di un adulto che si presta a breve a divenire uomo, alternando momenti di esaltazione giovanile costellati da un rapporto bigamo tra sesso ed amore, ad istanti di profonda depressione per l’inserimento repentino nel teatro della ribalta, ovvero in un mondo nel quale Gaetano non ha saputo adattarsi venendo oppresso dalla doppia lama del successo.
Il rapporto paternale, trasfigurato nell’estrinsecazione della miniserie, rappresenta in realtà l’emblema delle famiglie umili calabresi che abituate a stenti e duro lavoro per godere di un serale pasto caldo, pongono maggiore attenzione agli aspetti concreti della vita, al posto di lavoro ed al guadagno sicuro.
L’irrazionale genialità di Rino si scontrava con la cultura paterna, che nonostante i numerosi diverbi e alterchi era indice di un amore indissolubile legato al frutto dell’amore coniugale. Il padre ama Rino in maniera profonda, ma l’orgoglio delle sue radici e la sua visione pragmatica della vita lo costringono a scontrarsi ed opporsi ai vari tentativi di Rino di avvicinamento e comunicazione con la figura paterna.
In tale contesto risalta inoltre la figura matriarcale dei figli di Calabria legati da un cordone ombelicale all’espressione visiva, alla sonorità ed alla protezione delle mamme calabresi, amorevolmente chiamata “Mà”.
Strettamente legata ai rapporti sentimentali che costellarono l’esistenza di Rino Gaetano, è la scelta del cantautore calabro-romano di partecipare nolente al Festival di San Remo, con la canzone “Gianna”, che presto si rivela come un successo senza precedenti nel panorama discografico italiano, persistendo al top delle classifiche per oltre 4 mesi. La definitiva santificazione del successo discografico arricchisce le tasche di Rino Gaetano, ma allo stesso tempo esalta il suo peggiore nemico, ovvero il successo. Nei mesi successivi Rino firma un contratto milionario con una delle principale etichette musicali, ovvero la RCA, che cinica ed avida di successo cerca in qualsiasi modo di ottenere pecunia tramite l’operato del cantautore.
Incatenato dal ruolo aziendale Rino perde l’estro e la genialità intrinseca alla sua personalità, produce una discografia che non esprime al meglio la sua musicalità, uccisa dalle prigioni del RCA. La profonda depressione vissuta in tale periodo è accentuata dalla rottura dei rapporti, ho meglio dall’allontanamento ingiustificabile dalle figure base della sua vita, ovvero l’abbandono subito da parte della fidanzate storiche, il rifiuto degli amici, i rapporti non idilliaci con il padre.
Rino rimane solo divenendo vittima del peggior male del secolo, ovvero la solitudine capace di divorare famelicamente lo spirito di un uomo disarmato contro un mostro di notevole voracità. La fragilità di Rino traspare dall’espressione del suo viso, consumato da un dolore profondo e da un male oscuro difficile da limitare ed estinguere.
L’album “E io ci sto” edito nel 1980 rappresenta l’ultimo canto del cigno del genio Gaetano, bistrattato per tutto il suo percorso vitae da una critica che ignorava il valore del cantautore calabrese. Rino muore in un tragico incidente stradale, quando la sua auto nuova di zecca si scontra contro un camion in Via Momentanea. In realtà Rino avrebbe potuto sopravvivere al violento impatto, ma l’assenza di soccorsi, il rifiuto di ben 5 ospedali per motivi noti alla comunità tutta ,uccidono definitivamente l’anima del cantautore crotonese, vittima sino all’ultimo sospiro della sua anima di un mondo cinico e falso, estraneo ad accettare la realtà celata dietro la spontaneità della sua indole e la forza della sua musica.
La successiva revisione storica di ottusi critici musicali ed uomini politici di vario rango non potrà mai restituire al popolo italiano le esilaranti performance e le profonde emozioni diffuse da Rino Gaetano in 31 anni di vita.
“Solo con io” costituisce l’apoteosi del suo status vivendi, concludendo la parabola di un uomo fantastico vittima esclusivamente della sua semplicità.
Massimiliano Riverso
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