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Numero 43 - Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it |
CULTURA Lo scrittore Francesco Perri, a tutt'oggi, viene ricordato nel mondo letterario calabrese ed italiano soprattutto per quel suo grande capolavoro - sempre attuale - che fu il romanzo «Emigranti», attraverso il quale tracciò un quadro completo delle sventure della gente del Sud, e in particolare della Calabria, mettendo a nudo le piaghe che affliggevano (e ancora oggi purtroppo affliggono) questa Terra. L'opera - che l'autore di Careri scrisse in pochi mesi in un’aula dell’Università di Pavia - fu pubblicata nel 1928 e contribuì a fargli ottenere l'ambito «Premio Mondadori» e in seguito tanto prestigio e notorietà. C'è però un aspetto poco conosciuto, nella vita dello scrittore, che a quell'epoca gli procurò non pochi problemi ma che oggi lo colloca tra i tanti intellettuali antifascisti e democratici che onorano la Calabria e l’intera nazione. Alcuni anni prima che uscisse «Emigrante», il romanzo che segna ufficialmente il suo esordio nella letteratura, infatti, Francesco Perri aveva manifestato un forte impegno come intellettuale, occupandosi dei problemi politici e sociali del suo tempo, con una netta presa di posizione contro il fascismo. Per farlo, però, si servì di uno pseudonimo. Tra il 1923 e il '24, sotto il nome di «Paolo Albatrelli» pubblicò a puntate, sul giornale antifascista «La Voce Repubblicana», un romanzo-realtà sulle cruenti lotte agrarie che nel 1920-22 si erano svolte nella Lomellina tra le squadre d’azione e le leghe contadine. Quelle puntate, poi vennero raccolte in un volume nel giugno del 1925, per iniziativa della Libreria politica Moderna di Roma, con lo stesso pseudonimo e sotto il titolo de «I Conquistatori». Il libro non mancò di suscitare la reazione del governo fascista, tanto che, ad un solo mese dalla sua uscita, venne messo fuori commercio e bruciato in piazza, nella Capitale. Peraltro, Francesco Perri già al fronte, durante la prima guerra mondiale, alla quale prese parte da Repubblicano convinto «per antica e viscerale vocazione» - come egli stesso ebbe modo di dire in seguito - aveva avuto occasione di esprimere il suo pensiero in versi, con una serie di componimenti che poi raccolse e stampò, con poco successo, in una silloge intitolata «Rapsodia di Caporetto». I suoi primi approcci con gli editori furono piuttosto difficili e amari, come lo sono per tutti i giovani. Non si è presi in considerazione se non si ha un nome, almeno un minimo di notorietà. L’anticamera è la cosa più umiliante per un esordiente, ma è fatale. Orbene, Francesco Perri cominciò tardi, ma non fece mai anticamera. «Nessun editore, grande o piccolo, può dire di avermi rifiutato un libro», dichiarò ai suoi tempi lo scrittore, parlando del suo «primo grande passo» nella letteratura. Nel 1928 pubblicò, dunque, «Emigranti», del quale si esaurirono in pochissimi mesi tre edizioni e si ebbero, una dopo l’altra, sette traduzioni (Stati Uniti, Inghilterra, Russia, Germania, Spagna, Olanda e Portogallo). Il volume, per di più, contribuì a fargli conseguire l’ambito «Premio Mondadori». «Quando, la sera del 17 dicembre del 1927», racconta Perri, «dopo la vittoria del mio romanzo Emigranti al Premio Mondadori, entrai accompagnato dal famoso Virgilio Brocchi per essere presentato all’editore e al senatore Borletti, che mi attendevano nel salone centrale della grande Casa Editrice allora in via della Maddalena, Mondadori si accorse subito che avevo più di un capello bianco alle tempie e mi disse “Ma lei è un uomo maturo, avrà almeno quarant’anni. Come mai non ha ancora pubblicato nulla? Qualunque editore avrebbe accettato con entusiasmo un libro come questo che abbiamo premiato”». Non poteva certo dirgli, il Perri, di avere già scritto anche «I Conquistatori», quel romanzo che descriveva la conquista sanguinaria fatta dai fascisti nella Lomellina. E così rispose, tirando in ballo la sua «invincibile idiosincrasia» per le anticamere. «Se avessi presentato il mio romanzo fuori dal Concorso, sono convinto che lei, commendatore, non lo avrebbe neppure letto, perché io sono un ignoto». La notizia dell’attribuzione del Premio Mondadori proprio a un ignoto, d'altronde, aveva suscitato un'esagerata reazione. Quel clamore però fu ben poca cosa quando si apprese che «Paolo Albatrelli» e Francesco Perri erano una persona sola. Subì così l'asprezza e la crudeltà della polizia politica e il Regime, dal 1926 per tutto il Ventennio, lo tenne fuori da ogni attività. --- Vincenzo Pitaro - Gazzetta del Sud, pag. Cultura, Giovedì 2 Dicembre 2010 © Archivio: www.gazzettadelsud.it © www.vincenzopitaro.it
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