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Numero 46 - Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it |
L’energia che rende unico Franco Neri «La Calabria? È tutto per me. È la mia linfa vitale. Mi dà la forza di andare avanti, proprio come fa l'insulina con un diabetico». Ironizza così (ma forse questa volta c'è ben poco d'ironico nelle sue parole) il noto comico quarantasettenne Franco Neri, calabrese trapiantato a Torino, che alcuni anni fa riuscì a scalare la vetta del successo, dopo essersi fatto notare dal pubblico di «Zelig» con quel «Franco, oh Franco!», un tormentone che ancora risuona nelle nostre orecchie. Poi, non si sa come, arrivò ad inventarsi anche un'esilarante gag sul «peperoncino di Soverato» e la cittadina ionica del versante catanzarese divenne ben presto famosa, più per questo piccantissimo ortaggio che per il suo splendido mare. Quando s'intrattiene con la Stampa, però, il comico Franco Neri, dietro le quinte di un suo spettacolo, riesce a trasformarsi in un «serissimo calabrese», «pacato» e quasi malinconico. Il suo linguaggio diventa - per così dire - forbito, cerca di trovare nelle parole l'eleganza della forma e, a torto, di abbandonare persino il suo marcato accento calabrese. Poi però ci rinuncia, ricordando (simpaticamente) che a perdere l'accento della propria terra - come disse una volta Leonardo Sciascia - sono solo i minch... «No, lo dico seriamente: senza la Calabria, forse non sarei mai riuscito a diventare quello che sono. Amo troppo la mia regione anche quando trovo il modo di ironizzarci sopra. Spesso ci torno per cercare di trovare qualche ispirazione, qualcosa che possa contribuire ad esaltarla in maniera splendida, perché l'immagine della Calabria non è quella che molti in Italia vorrebbero ritagliarci addosso. Mi dà ai nervi però quando vengo qui e mi accorgo che una cosa non funziona, quell'altra non funziona... e allora dico: "Mizzica, ma come è possibile!". Dopodiché mi tranquillizzo, pensando che prima o poi molte cose anche qui cambieranno in meglio. Questa terra, non dimentichiamolo, è stata culla di antica civiltà. Quando qui c'era la Magna Grecia, al Nord cosa c'era?». «Già!, cosa c'era?», gli facciamo eco noi. «Il regno dei barbari!», ribatte lui. «Non lo dico io, lo dice la storia. Eppure al nord molti s'illudono di essere chissacchì. Cosa sarebbe stata l'Italia, oggi, senza la Calabria e senza l'intero meridione? Persino il nome deriva da quell'Italo, re degli Enotri, che al tempo dei greci regnava da queste parti». «Le origini, le radici, sono fondamentali. Sono fiero di essere calabrese. La Calabria, lo sappiamo tutti, non è soltanto quella che spesso si sente in televisione. Solo che a fare notizia, spesso sono più i fatti negativi che quelli buoni. Bisognerebbe incominciare a curare di più l'immagine di questa terra, ricca di cultura, di gente ospitale, altruista e affettuosa. Prima che la mia famiglia si trasferisse al Nord, ricordo che abitavo in un paesino, e quando andavo a giocare mi sentivo sempre controllato da qualche parente. E per di più non mancava mai la persona, che non conoscevi, che ti fermava e ti diceva: “Dove stai andando? Vai a casa ch'è tardi!”. A Milano o a Torino non conosci neanche il vicino di pianerottolo, perché lì si vive così freneticamente che non si ha il tempo neppure di sapere chi abita a due metri da te». Sembrerebbe questa, dunque, la vera Calabria di Franco Neri. Una terra che non rappresenta soltanto la sua insolita «musa ispiratrice» capace d'indurlo a creare comicità sui vizi e sulle virtù dei calabresi. Lui lavora, sì, con le battute che i corregionali gli offrono ma dentro di sé dimostra di avere tanti bei ricordi di questa Terra (che non sente di aver mai abbandonato), tante belle cose da raccontare, e - perché no - anche qualche «soluzione», qualche buona idea per farla conoscere meglio nel mondo. «Tutti nella mia famiglia, pur vivendo ormai da anni al nord, non ci siamo mai staccati dai nostri prodotti tipici: la soppressata, la ‘nduja, il capicollo, il caciocavallo affumicato, le provole, il peperoncino, l'olio, il vino e altro. Ai colleghi del nord dico spesso: se parliamo di gastronomia, state tutti zitti e muti ché quella calabrese è la più ricca e genuina del mondo! A volte mi viene in mente quand’ero bambino e il pane veniva fatto in casa. Aveva un profumo che non si trovava e tutt’ora non si trova da nessuna parte. Ancora oggi il pane che facciamo casereccio dura 15 giorni... Al Nord invece lo compri di mattina e la sera lo devi grattare, perché è già secco». --- Vincenzo Pitaro
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