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Ceravolo,
Spallone e l’attentato a Togliatti
L'attentato
a Palmiro Togliatti. Fu davvero il deputato calabrese Mario Ceravolo a prestare
i primi soccorsi al segretario nazionale del Pci, in quella tragica mattina del
14 luglio del 1948?
Ancora oggi si narra che il parlamentare democristiano (nativo di Chiaravalle
Centrale) ebbe modo d'intervenire - in quanto unico medico presente in quel
momento a Montecitorio - subito dopo il folle gesto consumato davanti alla
Camera da quell'Antonio Pallante, giovane studente universitario siciliano.
Su questo e su altri particolari finora inediti che riguardano quell'ormai
storico episodio che sconvolse non solo l'Italia ma il mondo intero, abbiamo
avuto occasione di intervistare proprio di recente il prof. Mario Spallone. Il
noto professionista, che ebbe il privilegio di trascorrere la maggior parte
della sua vita al fianco di Togliatti (essendo stato, da sempre, il suo medico
personale) e di conoscere tanti altri protagonisti che hanno fatto la storia
d'Italia dal dopoguerra in poi, ora, alla venerabilissima età dei novant'anni,
si è finalmente deciso di raccogliere moltissimi aneddoti in interessante
volume, intitolato «60 anni di memorie», attraverso il quale peraltro racconta
la sua vita a stretto contatto con molti esponenti di primo piano della vita
politica italiana.
- Professore, nel suo libro appena pubblicato non fa neppure un minimo accenno
sull'on. Mario Ceravolo, il medico e parlamentare calabrese che avrebbe prestato
i primi soccorsi a Togliatti. Come mai?
«Perché di questo particolare non ebbi mai alcuna testimonianza diretta, né
tantomeno nessuno in quel momento mi riferì qualcosa di simile. Non escludo,
comunque, che l'on. Ceravolo non si potesse trovare quel giorno all'interno di
palazzo Montecitorio o, fuori, nella vicinanze. Subito dopo l'attentato accorse
molta gente sul posto e il primo pensiero, per tutti, fu quello di trasportare
immediatamente Togliatti al Policlinico».
- Lei, quella mattina non era al suo seguito?
«No, quando mi raggiunse la telefonata del partito che mi avvertì dell'attentato
mi trovavo in ospedale. Lasciai tutto e mi precipitai in macchina. Ero così
scosso e teso da non riuscire a controllare i miei riflessi. All'angoscia si
univa la collera per la nefandezza del crimine contro un uomo che altra colpa
non aveva se non quella di aver dedicato tutta la sua vita al riscatto degli
umili e degli oppressi. Non sapevo ancora chi fosse l'attentatore, ma non avevo
dubbi su chi potesse avere armato la sua mano; era stata la forsennata campagna
anticomunista avviata o orchestrata dai clericali».
- Come mai pensò subito a questo?
«Perché mi venivano in mente uno dopo l'altro decine di episodi di quell'infame
campagna di menzogne e di calunnie rivoltanti. Mi martellavano la memoria le
minacce contenute in un articolo scritto da Carlo Andreoni e pubblicato il
giorno prima».
- Appena giunto al Policlinico, come si presentò ai suoi occhi quella tragedia?
«Quando arrivai all'Università, Togliatti era già in sala operatoria da qualche
minuto. Tutti sentivano che in quel grande uomo che si dibatteva tra la vita e
la morte c'era l'intero popolo che rischiava di perdere uno dei padri più
importanti della nostra riconquistata democrazia. Decine e decine di persone
stazionavano nei corridoi. Avevano i volti cupi, trasformati da un'ansia
logorante, da un'attesa spasmodica e dal terrore di una perdita irreparabile».
- Poi, l'operazione fortunatamente andò bene e Togliatti uscì dall'anestesia...
«Sì, il suo risveglio avvenne verso le 16 e fu, tutto sommato, tranquillo: era
lucido di mente. Lo stato di shock era molto attenuato. Abbracciò il figlio Aldo
e poi Nilde Jotti. Giunse anche De Gasperi, imbarazzato perché l'enorme folla
che si era raccolta davanti al Policlinico lo aveva accolto al grido di
"assassino". Poi scambiò qualche simpatica battuta anche con Valdoni che lo
aveva operato».
- E a lei cosa disse in quel particolare momento?
«Niente, continuava a ripetermi, bisbigliando sottovoce: "Avvisa i compagni che
non perdano la testa, che non facciamo fesserie, perché immagino che ciò possa
accadere". Quelle parole mi sono sempre rimaste impresse nella memoria».
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Vincenzo Pitaro - Gazzetta del Sud, pag. Cultura, di Giovedì 21 Luglio 2011
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