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Reggio Calabria e i suoi tre
poeti contadini
In
quasi tutte le province della Calabria, si possono a tutt'oggi scoprire genuine
forme espressive che rivelano la naturale disposizione poetica delle popolazioni
contadine o artigiane.
Incontri di questo genere non sorprendono, ad esempio, nella cittadina di Serra
San Bruno, dove il passante (o lo studioso di dialettologia) è quasi sempre in
vigile attesa, allo scopo di cogliere qualche espressione rimata che
spontaneamente esce dalla bocca dei più anziani, e non solo. Si sa comunemente
che in quelle contrade il popolo conserva e tramanda forme di arte che hanno
segnato momenti di notevole valore, grazie anche al fatto che Serra San Bruno
diede i natali nel 1837 all'intramontabile poeta-scalpellino Mastro Bruno
Pelaggi.
Questo nostro «excursus», tuttavia, riguarda in modo particolare la poesia
dialettale contadina, che è la forma più immediata e significativa dei genuini
atteggiamenti dell’animo: basti ricordare i lamenti, le nenie, le cantilene e le
ninne-nanne che tuttora fioriscono nelle valli e nelle campagne, presentandosi
come una devota testimonianza di fedeltà ai motivi incorruttibili dello spirito
regionale o come una tenace manifestazione di purezza spirituale e di genuino
linguaggio. Quei contadini che poetarono in dialetto rappresentano, senza
dubbio, un capitolo molto importante nella storia della letteratura dialettale
calabrese, costituendo una tradizione poetica meritevole del più attento studio.
In particolar modo, ci piace ricordarne tre, tra i più conosciuti agli addetti
ai lavori e forse ingiustamente poco famosi per la stragrande maggioranza dei
calabresi. Tutt'e tre appartengono alla Locride e rispondono ai nomi di
Salvatore Filocamo, Micu Pelle e Giuseppe Coniglio. Il primo, nato a Siderno nel
1902, pubblicò in tutta la sua vita - nel 1976 - una sola raccolta di
componimenti (intitolata «Ricchi e Povari») che prese il nome da una delle sue
più significative poesie in dialetto locrese. Alcune quartine rimano così: «'U
riccu s'arza ê novi la matina / e trova 'a colazione preparata / prima 'u si
vesti già la panza è chjna / tantu pe' cuminciari la jornata. / 'U povaru si
leva cu' lu scuru / si faci 'a cruci e vaji a fatigari / scarzu, malu vestutu e
addijunu: / fin'a chi scura mata ndavi a stari». Poi, in chiusura, rivolgendosi
al Padreterno, dice: «E Vui Signuri, chi tuttu viditi / pecchì 'sti cosi storti
'i sumportati? / Ddui sunnu 'i cosi: o Vui non ci siti / o puru Vui d'i ricchi
Vi spagnati!».
Salvatore Filocamo lasciò dopo la sua morte tante altre poesie dialettali che, a
quanto pare, nessuno fino ad oggi ha avuto il pietoso pensiero di raccoglierle
in volume perché l’oblio non ne facesse perire la memoria. Fu anche autore di
alcune commedie carnevalesche di ottima fattura.
Un altro validissimo poeta-contadino dell'entroterra locrideo, fu Micu Pelle, di
Antonimia, dove nacque nel 1910. Il Pelle, peraltro, fu impegnato anche
politicamente nelle file del Partito Comunista Italiano fino a ricoprire nel suo
paese la carica di sindaco. La sua opera, data alle stampe nel 1977, s'intitola
«Risbijàmundi» (Risvegliamoci) e, anche in questo caso, come in quello di
Filocamo, a dare il titolo al volume fu – a suo tempo - una sua bella poesia
ricca di significato, con la quale incitava le classi proletarie ad un
risveglio, ad una presa di coscienza per porre fine alla loro sudditanza, nella
piena consapevolezza che senza di loro la società non sarebbe progredita. «Cuntadini,
zzappaturi, poeta o professuri / mpegatu o mastru, artista o scritturi /
lavuraturi di vrazza o di la menti / senza di nui, non si produci nenti».
Deve finire - dice in pratica il poeta - la potenza del denaro e a dirigere il
mondo dovranno essere l'intelligenza e il lavoro.
Infine, ecco Giuseppe Coniglio, un altro importante poeta-contadino, nato e
vissuto a Pazzano. La poesia dialettale albergò dentro di sé quasi sempre. Non a
caso era solito sentirlo poetare anche quando tornava da una dura ed intensa
giornata lavorativa trascorsa nella sua vigna o in poderi altrui. La sua prima
silloge di poesie acquistò dignità editoriale nel 1973, per interessamento di un
prete, don Mario Squillace, che proprio in quel di Pazzano svolgeva a quei tempi
funzioni sacerdotali. Il volume, intitolato «Calabria contadina», si avvalse
infatti della prefazione dello stesso Squillace. Una raccolta poetica piena di
satire in versi per lo più ottonari, con le quali Coniglio ebbe modo di
canzonare persino molti politici calabresi, a volte denunciando finanche lo
smaccato clientelismo e il malaffare che li sorreggeva. Ma non mancarono certo
le ispirazioni in cui questo cantore pazzanese (specie con il componimento
intitolato «'A guttera») colse momenti di elevata poesia.
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Vincenzo Pitaro © Gazzetta del Sud - pag. Cultura, di giovedì 15 settembre 2011
- Archivio: www.gazzettadelsud.it - http://twitter.com/laltracalabria © Editrice
L’altra Calabria
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