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Il caffè del generale
A produrlo, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività culturali, in quanto riconosciuto «film di interesse culturale nazionale», è l’Ocean Productions Srl , nota casa cinematografica diretta dai fratelli Sergio ed Emanuele Giussani. La regia è invece di Antonio Domenici che, fra l’altro, ha firmato anche il soggetto e la sceneggiatura. Una delle sorprese più piacevoli di questo lavoro, tuttavia, ci viene offerta dal cast. In esso, infatti, riscontriamo un nome e un volto ormai piuttosto conosciuto nel mondo del Cinema: quello di Maurizio Comito, navigato attore catanzarese (nativo di Stalettì ma cresciuto a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio), peraltro reduce del meritato successo ottenuto appena un anno addietro, a fianco di Antonio Albanese, nel film «Qualunquemente». In questo cortometraggio, l’attore Comito torna da co-protagonista assieme al piccolo Christian Roberto, di 9 anni. Tra gli altri interpreti, per di più, non mancano altri bravi attori come, ad esempio, Gianni Pellegrino (anch’egli calabrese, di Cortale, che ebbe modo in passato di partecipare a due film di Alessandro Pieraccioni) o come Rossana Gavinel, Federico Pacifici e Marcello Arnone. Un plauso, insomma, davvero meritato, da estendere a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di questo lavoro: da Paolo Innocenzi, che ha curato la scenografia, a Benito Alchimede, dalla costumista Giada Tricomi al direttore della fotografia Blasco Giurato. Una commedia ben fatta, dunque. O, per dirla con le stesse parole del regista Domenici, «una commedia gustosa ed emozionale». «Attraverso un equivoco», sottolinea Tony Domenici, «si crea uno sviluppo surreale, divertente che sfrutta in maniera comica l’incapacità dell’uomo di reagire di fronte alle regole, alla burocrazia, alle complicate infrastrutture che lui stesso ha creato. Cosicché, senza impegnarci in temi ideologici, storici e politici, viene affrontato un periodo ormai dimenticato, l’epoca pre-unitaria, per creare un acquerello tipicamente mediterraneo. Con una punta d’ironia si analizza così l’intraprendenza di quell’antico tamburino». La trama. In un piccolo comune, al fine di onorare e mantenere viva la memoria di un giovanissimo eroe dell'Unità d'Italia (delle cui gesta si era sempre parlato in paese, soprattutto attraverso la tradizione orale tramandatasi da padre in figlio), l'amministrazione comunale decide di organizzare una solenne cerimonia, con tanto di invitati e buffet, che sarebbe poi culminata con la svelatura di un mezzobusto marmoreo e l'intitolazione di un Istituto scolastico. Senonché, per la data prestabilita, viene invitato a presenziare al cerimoniale l’unico erede ancora vivente: l’ormai anziano Francesco Bagalà, un insegnante di filosofia, da qualche anno in pensione. Questi, una volta giunto sul posto, a bordo della sua vecchia berlina, si avvia verso l'Istituto, portando con sé un diario di famiglia, piuttosto ingiallito dal tempo. Una sorta di cimelio, in pratica, che dice di aver trovato casualmente in un ripostiglio della sua abitazione, qualche giorno prima, e che intende consegnare agli organizzatori dell'evento, affinché ne tenessero cura. Grazie a questo diario, però, nel momento più bello ed emozionante della manifestazione celebrativa, si scopre che l’eroe non era garibaldino ma borbonico, e scoppia un autentico putiferio. Il confine tra realtà e fantasia, a questo punto, si fa sempre più labile.- ™© 2012 Giornalista Vincenzo Pitaro Gazzetta del Sud Cultura & Spettacolo
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