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La prolifica penna del giornalista, scrittore e autore S.I.A.E. per la parte letteraria Vincenzo Pitaro. Leggi la sua biografia, i suoi articoli culturali, la sua narrativa, le poesie dialettali, satirico-dialettali e non, le sue pubblicazioni, la rassegna stampa, ecc.

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Liberi Pensieri

Se la politica non vi piace...

Si parla molto in questi mesi dell’urgenza di ripristinare nel nostro Paese «il primato della politica», e molti intravvedono in questa frase un desiderio di rivincita dei partiti, dopo i duri colpi che hanno ricevuto dai tribunali, come se da ripristinare fosse «il primato dei politici». In realtà è altro che si deve intendere.

Che cos’è infatti l’attività politica? È l’unico mezzo legale e non violento con cui il comune cittadino può difendersi dalla prevaricazione delle oligarchie dinastiche o finanziarie, dalla turbolenza dei demagoghi e dal rischio (mai del tutto escluso) che il Paese finisca nelle mani di un tiranno; da qui la necessità che alla politica sia riconosciuto un ruolo eminente, superiore - ad esempio - a quello pur fondamentale dell’economia. Questo indiscutibile principio lo affermò in modo esemplare già Aristotele; eppure nel corso dei secoli è stato quasi sempre dimenticato, anche se, per fortuna, altrettante volte riscoperto.

Molte circostanze concorrono, quando più e quando meno, a far sbiadire nella coscienza degli uomini il significato primo e vero della politica. C’è, da una parte, la propaganda strisciante e ben mascherata degli oligarchi e dei demagoghi, tutta intesa a gettare discredito sulla politica in sé: queste persone non vogliono che i cittadini possano organizzarsi e imprimere alla società un assetto diverso da quello che farebbe comodo a loro. Un esempio di tale propaganda può trovarsi in quel vecchio slogan («per governare lo Stato basta un ragioniere») lanciato in Italia nel primo dopoguerra dal movimento qualunquista di Guglielmo Giannini.

C’è poi, ad alimentare un clima di sfiducia, il comportamento non sempre chiaro e corretto (per non dire altro) della classe politica. Vi sono chiari segni che è in atto un processo di disaffezione dei cittadini rispetto alla politica (la diminuzione del numero di quelli che vanno a votare ne è solamente un aspetto) e ora si spera di contenere, e possibilmente invertire la tendenza, attraverso una profonda revisione dei meccanismi della rappresentanza e degli assetti costituzionali; e di sventare così il pericolo che la gente commetta un «errore», quello di credere che il fallimento di una generazione di politici sia la stessa cosa che il fallimento della politica in sé.

La ripresa del primato e dell’autonomia della politica - ma soprattutto il recupero della fiducia, da parte dei cittadini, nella politica, nei suoi meccanismi e nella possibilità di incidere realmente sulle scelte politiche a vario livello - sono esigenze primarie e indifferibili. Ed è auspicabile che i parlamentari impegnati nella non breve conclusione dell’iter dei lavori, soprattutto in fase di emendamenti e di discussione degli stessi, ne tengano il debito conto.

Qualsiasi riforma istituzionale rischierà di nascere morta o moribonda se non sarà in grado di ristabilire un contatto reale con i cittadini, se non sarà capace di liberarli da quel senso di frustrazione che si sviluppa in loro dalla più o meno realistica convinzione della inutilità di esprimere, e quindi far valere, le proprie opinioni. In altre parole, qualsiasi riforma rischierà di essere destinata al fallimento se non saprà ridestare l’interesse per la politica e farle ritrovare la sua centralità.

Che cosa sia la politica è tema dibattuto fin dall’antichità. Fu Aristotele a diffondere il concetto con un’opera intitolata, appunto «Politica», che è passata alla storia come il primo trattato dedicato all’arte o alla scienza del governo e che, per molti secoli, ha condizionato tutti i discorsi in materia. Il filosofo greco - parlando dell’uomo come «animale politico», come essere vivente in una simbiosi con la polis - ne individuava un connotato essenziale: l’uomo è tale in quanto vive, opera, si identifica, addirittura, con la comunità. Ma il discorso del pensatore greco era ancora condizionato da una visione, per così dire, filosofica e finalistica della politica e della attività politica. Secoli dopo, nel pieno fulgore del Rinascimento, Machiavelli, col suo splendido saggio dedicato a «Il Principe», aprì una strada nuova rivendicando l’«autonomia» e la «centralità» della politica. In altri termini, il segretario fiorentino - presentando la politica come diversa e autonoma da religione e morale, come espressione di proprie leggi, come causa generatrice dei governi e delle modalità del governare - apriva la strada alle concezioni moderne della politica e si conquistava di fatto il ruolo di precursore o fondatore della «scienza politica». A ben vedere, la politica, nella visione machiavelliana, non era tanto una scienza del governo propriamente detta o una disciplina volta ad analizzare la natura, le funzioni, le partizioni dello Stato e via dicendo, ma piuttosto una modalità di manifestazione del comportamento umano, visto nel rapporto mezzi-fine, o, più esattamente, nel problema della congruità dei mezzi da usare rispetto ai fini da conseguire. l’«homo politicus» - così come sarebbe accaduto in seguito all’«homo economicus», grazie alla teorizzazione degli economisti classici - acquistava così una precisa fisionomia e rimaneva codificata l’essenzialità della dimensione politica per la natura umana. Montesquieu, il grande autore di quel vero e proprio caposaldo della speculazione politica che è «Lo spirito delle leggi» (al quale si deve la codificazione dell’ormai classica tripartizione dei poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario) e, con lui, il costituzionalismo liberale, prima, così come i teorici della democrazia dei secoli diciannovesimo e ventesimo poi, hanno rappresentato altrettante tappe di un itinerario speculativo che non soltanto ha confermato la politicità della natura umana, ma ha finito per mettere in luce l’esistenza di un nesso profondo fra politica e prassi democratica, di cui il cittadino diventa il tramite privilegiato.

Se il cittadino rinuncia alla politica, nella sua accezione più vasta, rinuncia a una parte di se stesso, se abbandona l’idea della possibilità di una partecipazione attiva, attraverso i meccanismi tecnici all’uopo creati, alle scelte politiche, contribuisce a de-
terminare una situazione di profonda crisi del Paese. La politica non è soltanto coessenziale alla natura umana, ma è anche uno strumento di tutela del cittadino contro il prevalere di forze e gruppi di pressione di varia natura (a cominciare da quelle economiche) e contro la snaturamento dell’equilibrio fra i poteri. È illusorio e fuorviante pensare che la «tecnocrazia», quale che sia il suo modo di manifestarsi, possa sostituirsi alla politica in funzioni, in compiti, in modalità operative che non le sono proprie. Le élite tecniche possono anche coincidere, talvolta, con le élite politiche, ma non possono e non debbono prenderne il posto, pena lo snaturamento della politica, che non e solo ed esclusivamente tecnica, ma anche capacità di valutazione delle più diverse situazioni e, al tempo stesso, capacità di adattamento alle circostanze e di mediazione fra posizioni e interessi confliggenti. Nell’attuale società di massa, profondamente segnata, anche a livello internazionale, da una percettibile crisi delle ideologie, da una strisciante crisi dello Stato, da una latente crisi della nazione e dell’idea di nazione, la politica potrà assumere forme e contenuti nuovi, forse diversi, rispetto a quelli del passato, ma non potrà e dovrà scomparire. Sia gli uomini politici (coloro, cioè, che, per usare una celebre espressione di Max Weber, mutuata dal titolo di un suo saggio, guardano alla «politica come professione»), sia i cittadini comuni, debbono tenere presente la necessità di far recuperare alla politica la centralità che le compete. I primi, attraverso lo studio, l’elaborazione e la proposizione di riforme istituzionali congruenti con le trasformazioni e le sfide del tempo che stiamo vivendo; i secondi, attraverso il recupero di una volontà di partecipazione, libera e responsabile, nel rispetto di regole e procedure, al momento delle scelte e delle decisioni collettive.

Vincenzo Pitaro

 

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