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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

Numero 111 - Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it


EUTIMO? MA PERCHÈ EUTIMO?

 Da quando si è sparsa la voce, c’è ancora qualche schematico mentale che domanda se Eutimo sono i Giochi di Eutimo; e con santa pazienza rispondiamo che no, è la rappresentazione di un dramma nella splendida cornice di Soverato “Vecchio”. Qualcuno, più intelligentemente, domanda chi sia mai stato Eutimo, e perché Eutimo a Soverato. Domanda pertinente, che merita risposta.

 Eutimo figlio di Asticle di Locri esistette davvero alla metà del V secolo a. C.; fu pugile, e vinse tre corone ad Olimpia, dove resta di lui il basamento della statua, opera dello scultore Pitagora di Samo o di Reggio. Come accadde più volte presso i Greci, un uomo di straordinaria forza divenne mito: fu creduto figlio del fiume Cecìno, e gli si attribuì un duello con il demone Alibante o Lica, che era stato Polite, marinaio di Ulisse ucciso per aver violato una fanciulla. Il locrese sconfisse il demone, salvò la fanciulla prossima a venire sacrificato e la sposò, vivendo ancora ai tempi di Augusto e oltre. Ne parlano soprattutto Strabone e Pausania.

 Che c’entra con Soverato? Se dovessi rispondere da storico, e, peggio, da filologo classico, dovrei dire niente. Eutimo era di Locri, e il demone stava a Temesa sul Tirreno. Il fiume Cecìno era il confine tra Locri e Reggio. Gli umanisti calabresi dei secoli XVI e XVII lessero in Plinio Caecinus quello che era invece Carcinus, e chiamarono Cecino l’Ancinale. Scarsi di pratica con la filologia, essi e i loro lettori continuarono a ripetere la lettura errata, ed ecco che, nel lontano 1985 mi pare, Eutimo venne celebrato nella nostra città come eroe paesano. Questo, amici, vi comunico per dovere professionale.

 Ma siccome la verità storica è una cosa, quella letteraria è tutt’altra, altrimenti la poesia sarebbe cronaca, il dramma di Eutimo che noi presto rappresenteremo è ambientato a Soverato, ai tempi in cui si chiamava Poliporto. Nessuno trovi da ridire, oppure si lamenti che Dante ha inventato di andare all’Aldilà bell’e vivo, e l’Ariosto ha fatto spuntare le ali ai cavalli. Libertà dell’arte, no? E poi, sapete che mondo corre? Che siccome Soverato si è impadronita di Eutimo altrui, è vero, ma nessuno lo ha mai rivendicato, allora scatta l’usucapione! Carta canta ‘n cannolu, dicevano i nostri antichi, e quelli più antichi, dura lex sed lex. Del resto, con l’ignoranza che dilaga in Calabria di storia calabrese, possiamo rubare anche san Francesco di Paola in persona, e non se ne accorge quasi nessuno!

 E la storia? Ma ci saranno i Siculi, quelli che hanno lasciato le grotticelle a San Nicola; e i Greci del re omerico Menesteo fondatore di Scillezio, che poi, romana Scolacio, è l’area archeologica di Roccelletta. Mi spiace per Ulisse, ma a fondare Scillezio non è stato lui; e tanto meno ripartì da Catanzaro Lido! Anzi, approfitto per informarvi che quella storia di Polite è l’unica notizia di autore classico circa un passaggio fugace del ramingo re di Itaca dalle nostre parti. E i Feaci di Tiriolo? Ninna oh, ninna oh, questo bimbo a chi lo do... C’è un cenno latino in Cassiodoro, ma, a parte che il grande politico e teologo non aveva alcuna competenza in fatto di filologia greca, si tratta di una lettera di tutt’altro tenore che la mitologia.

 Rivendicata dunque la libertà di creazione fantastica, diciamo anche che è presente la storia vera di Soverato, narrata in forma poetica. Chi vuole leggerla in forma storiografica e archeologica, compri Soverato, della collana Città della Calabria, Rubbettino.

 Veniamo al dramma. Come in ogni tragedia greca, la natura poetica non è nella vicenda, che si suppone già nota agli spettatori, bensì nella parola che, con procedimento classicistico, è serrata e pregnante, senza intellettualistiche astrazioni o contorplicati e tediosissimi giri di frasi: o, come insegna il Vico, è parola – corpo.

 Questo per chi volesse leggere il testo. Ma, trattandosi di un dramma, conterà moltissimo l’aspetto teatrale, cui la regia di Tonino Pittelli e la scenografia di Franco Papini stanno dedicando ogni cura. È notevole che, come è già avvenuto per Resurrexit, i due e l’autore collaborino con amichevole cordialità, pronti ad ogni intervento e modifica che si rendano utili al fine del miglior risultato.

 Infine, non ultimi, gli attori. Nessuno è del mestiere, e ciascuno agisce come se fosse attore di professione, comprendendo a fondo il testo e interpretandolo intelligentemente.

 Per ora, basta. Sono a disposizione di chi ne voglia sapere di più.

 E grazie a Vittoria Camobreco, precisa tagliente sincera.

Ulderico Nisticò

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