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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

Numero 133 - Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it


CARO MAURIZIO...

...la tua amara e sincera lettera mi induce ad offrire all’attenzione dei lettori intelligenti la conversazione che proprio ieri tenevamo tu e io a proposito di cinema, interventi pubblici e pubblico.

 Tu mi ricordavi quella volta che ha scoperto, nel sito del ministero, un elenco di film pagati dal ministero medesimo, cioè da tutti noi, e pagati fino a un milione e mezzo di euro, dico 1.500.000, a fronte di un incasso di euro 1.000, dico mille, in sale cinematografiche. E ci chiedevamo se quella montagna di soldi veniva concessa perché soggetto e sceneggiatura erano dei capolavori (magari incompresi, ma capolavori), o perché qualcuno è amico di qualcun altro e qualcun altro di quel milione e mezzo si becca una tangente; e quindi non importa se il film è bello o è una suola, se gli attori sanno recitare o sono dei cani... e se verrà visto o finirà al macero il giorno stesso della prima mondiale... di fronte alla nonna del regista.

 A proposito, siccome probabilmente qualche scemo del villaggio interverrà a sproposito, preparati a spedirli in copia l’elenco di quei film patacca superpagati, tratto dal sito ufficiale del ministero!

 A riproposito: quando diciamo ministero, facciamo un discorso bipartisan, per cui Bondi è esattamente uguale a Veltroni, e Veltroni a Bondi.

 A ririproposito: ecco perché i film italiani nei concorsi internazionali vengono presi a pesci in faccia.

 Torniamo a noi. Io, che nei ritagli di tempo faccio il classicista, e tu, che hai ben studiato la storia dello spettacolo nei millenni, concordavamo su quanto segue. Il teatro ateniese – Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane... mica film di lucchetti! – veniva pagato dallo Stato attraverso le liturgie, ovvero un cittadino invece di versare tasse in contanti allestiva uno spettacolo. Gli autori presentavano le loro trilogie, più il dramma satiresco, agli arconti, e questi, o chi per loro, stabilivano se metterli in scena e a concorso. Vinceva il migliore.

 Come si faceva a sapere chi era il migliore? Alla fine, il successo lo decretava il pubblico, o formalmente o con il consenso o meno. Il pubblico che, se premiava Sofocle invece di un Pincopallino qualsiasi, si vede che era un pubblico educato e colto, capace di distinguere tra un ciuco e un cavallo.

 Oggi, ahimè, il pubblico dell’audience, o share che dir si voglia, è quello che è, abituato a filmetti di bassa comicità, storielle di amore sdolcinato, o, in alternativa, intellettualismo onanistico gabellato per intelligenza. Per attirare un po’ di gente, basta un faccino di giovanotto abbastanza scemo da piacere a ragazzine in fregola, o una fanciulla abbondantemente scollacciata, comunque sempre con la faccia da scema. Idem per la tv.

 A pubblico diseducato, film diseducanti.

 Ecco, caro Maurizio, perché tanti, e di alto livello, ci hanno risposto che i nostri soggetti, le nostre sceneggiature erano ottimi, però... però, proprio perché ottimi, si rischiava che il pubblico non reggesse all’impatto della qualità. Mica c’erano lucchettini!

 E tu dici il miracolo di Torre Ruggero? Eh, non poteva passare: mancava della principalissima caratteristica di tutto ciò che, per certi ecclesiastici, costituisce la cultura cattolica, cioè la depressione, il piagnisteo, i mutismi e le ripetizioni cinquanta volte dello stesso niente. Eh, dov’è finita la cultura cattolica vera, dico Dante, Michelangelo, Giovan Battista Vico, Chateubriandt, Manzoni, Papini, Shaw, Elliot?

 Lo vuoi un consiglio? Smettiamola di scrivere bene e in buon italiano, di concepire soggetti originali, eccetera. Inventiamoci una storia di ragazzini, con non più di una ventina di parole. Due attorucci carini, una musichetta dozzinale, recitazione da buona la prima... diventeremo ricchi. Oppure, una storia di autoemarginati sedicenti filosofi.

 Che dici? Che ci manca la faccia tosta? Eh, hai ragione, caro Maurizio: uno, per scrivere banalità ci dev’essere nato. Per girarle, anche peggio. Pazienza, allora.

 Ulderico Nisticò

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