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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

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MONACI E PUGILATO

   


 Arrivano divertenti notizie dal monastero di San Giovanni Teresti Vecchio di Bivongi: i monaci greci hanno più o meno fatto a cazzotti con i monaci romeni (Vai all'Articolo... n.d.r.) per il possesso del venerando rudere, ed è finita a querele. Dite voi, e che c’è di divertente? C’è che quella di Bivongi è una delle tante storie di uno dei nostri, dico di noi calabresi, vizi più radicati: il provincialismo chiacchierone!

 C’era, abbandonato dal XVIII secolo, un bel monumento del passato, a stento sopravvissuto a terremoti e degrado, dalle elegantissime architetture. Quando io, tra i pochissimi di quarant’anni fa, andavo in cerca di storia calabrese, aveva il fascino del deserto.  Lo restaurano... ma no, lo rabberciano, e fanno anche un ponte per arrivarci. Fin qui, non dico bene, ma meglio che niente. Poi a qualcuno viene l’uzzolo, per l’appunto provincialotto, di chiamare a starci un paio di monaci greci, e perciò ortodossi, spacciando la cosa come un “ritorno”.

 Errore storico, e non da poco. San Giovanni Teresti è senza alcun dubbio posteriore al 1054, l’anno in cui la Chiesa di Costantinopoli si separò definitivamente da quella di Roma. I monaci che lo occuparono, sotto la guida di un archimandrita con autorità su molti altri cenobi, erano sì di lingua e rito greci, ma di obbedienza romana, a differenza dei vescovi greci, che, rimasti fedeli all’imperatore, vennero ad opera dei Normanni sostituiti con vescovi latini. E non erano “basiliani” come si dice benedettini o francescani: un Ordine regolare di san Basilio nacque solo con il cardinale Sirleto, nel XVI secolo, e visse fino al XVIII. Per inciso, ci sono tuttora quelli che praticano il rito greco, ma il loro eparca è un vescovo romano, membro della Conferenza Episcopale Calabra come gli altri, mica uno scismatico, e recita il Credo con l’ab utroque.

 Nessun ritorno di ortodossi, dunque, ma un arrivo. Per un po’, i due o tre ellenici andarono di moda. Io stesso, trovandomi a San Giovanni, pigliavo gusto a litigare con un certo padre Cosmàs, convinto che un fanatico come lui lo dovevano ancora inventare, e me ne uscivo sempre più cattolico romano poco incline al dialogo in genere se non per svago! Poi, siccome le mode passano... ecco arrivare, per ragioni ancora più inspiegabili, i monaci rumeni oggi in lite manesca con gli altri. Al tempo: per chi non fosse informato di questioni religiose in genere, e vi garantisco che in materia c’è tanta ignoranza anche dove uno non se l’aspetterebbe mai, le Chiese ortodosse non sono solo scismatiche da Roma, sono anche scismatiche fra loro, e strutturate su basi nazionali, più esattamente statali; Stato e Chiesa per gli ortodossi non si distinguono, per effetto della processione dello Spirito Santo dal solo Padre. Altro che sottigliezze teologiche, sono differenze radicali.

 Dove voglio arrivare? Che se San Giovanni Teresti Vecchio l’avessero restaurato filologicamente e reso accessibile al turismo culturale serio, la Calabria avrebbe ritrovato un punto di forza della sua storia, senza doversi inventare quello che mai non fu. Eh, quanto altro avremmo, di cui nessuno si cura a sufficienza: la chiesetta del Campo di Sant’Andrea, Sant’Anna a Montauro, la Pietà, Soverato Vecchio, le grange della Certosa, la stessa Roccelletta, Poliporto, il Castrum, palazzo Marincola a Petrizzi... e potrei continuare per dieci pagine senza finire! Bisogna far storia e archeologica seriamente, senza provincialismi parolai, e senza finire nel ridicolo delle querele e delle legnate!

 Ulderico Nisticò

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