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Abbiamo ben poco da festeggiare, nel centocinquantesimo dello
sbarco di Garibaldi in Calabria; e dovremmo piuttosto lamentarci e
pentirci, e riflettere sulle nostre condizioni attuali di ultima
regione d’Europa per tutto tranne che disoccupazione e mafia. Ecco
tante buone motivazioni per fare del 19 luglio una giornata di
studio della spiacevole verità regionale e meridionale, piuttosto
che il pretesto per passerelle di politici e intellettuali organici,
eccetera:
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Giuseppe Garibaldi fu un avventuriero dalle
opinioni fragili e azioni contraddittorie. Senza ricordare i
suoi precedenti pirateschi e donneschi per mare e nelle Americhe,
egli, mazziniano e con velleità socialiste, si pose al servizio
dei Savoia e dei loro sostenitori borghesi; promise libertà e
distribuzione delle terre, e illuse molti, per poi reprimere nel
sangue, come a Bronte, le insurrezioni popolari; favorì la
borghesia rampante, e soprattutto i suoi amici, e tra questi
Dumas e quel Fazzari che portò poi al fallimento Mongiana in
cambio di un palazzo a Catanzaro;
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La spedizione garibaldesca contro i Borbone
fu resa possibile dall’appoggio inglese e dall’incoerenza
francese; ma militarono con Garibaldi in Sicilia i “picciotti”
della mafia e nella capitale lo attendevano i camorristi: il che
spiega molte cose anche del 2010! Questa è in buona parte la
genesi delle assai sospette vittorie di Calatafimi, Palermo e
della falsa battaglia di Soveria Mannelli, e di molti altri
episodi del genere fino al Volturno;
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Repubblicano a parole, Garibaldi consegnò
il bottino a Vittorio Emanuele II di Savoia, il cui governo nel
1861 occupò militarmente il Meridione, considerato “annesso”,
con una durissima guerra civile durata un decennio e ingiuriata
come brigantaggio; eseguito il compito, l’eroe venne relegato a
Caprera. Tardi si accorse del raggiro e del suo errore, e tentò
un secondo sbarco, nell’estate del 1862: ma i militari
piemontesi, ben più spicci e duri di quelli borbonici, gli
spararono addosso e lo arrestarono;
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Le ricche casse delle Due Sicilie pagarono
i debiti del Piemonte e del nuovo Stato unitario;
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La Calabria, regione industriale del Regno
delle Due Sicilie, divenne entro una generazione la terra della
più desolata emigrazione e dell’abbandono della stessa
agricoltura; e, in questo secondo dopoguerra, il paradiso
avvelenato del più vile assistenzialismo corruttore;
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Ciò si deve a quella stessa classe
intellettuale e politica che nel 1860 accolse Garibaldi come
aveva accolto e accoglierà ogni straniero sedicente
“liberatore”, e nei decenni seguenti fornì al parlamento regio,
e poi a quello attuale, scaldasedie senza dignità e idee, scelti
tra la più pigra disoccupazione laureata e con il criterio di
peggio è meglio è... per gli interessi di altri;
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L’unificazione forzata ha tolto al
Meridione e alla Calabria la coscienza di sé e la stessa memoria
storica, divenuta libresca e “ufficiale”, e senza autonoma
capacità critica.
Nulla da festeggiare, dunque, in
questo anniversario di sbarco straniero, ma solo l’occasione per
riflettere sulla nostra storia, e anche sui nostri errori. La
facilità con cui don Peppino sbarcò sotto gli occhi di una delle più
potenti e numerose flotte da guerra del mondo, quella borbonica, e
attraversò il Regno con altrettanta facilità, e l’evidenza che molti
ufficiali borbonici erano stati “lavorati” dalla massoneria o
esplicitamente comprati dai servizi segreti piemontesi deve farci
meditare su certe nostre incapacità caratteriali di meridionali
sempre troppo inclini a pensare, e troppo poco ad agire!
E l’occasione per interrogarci sul
nostro infelice presente e sull’incerto avvenire, e iniziare a
riprendere coscienza della nostra dignità di popolo meridionale e
calabrese, non per sterile vanagloria, ma per precisi e realizzabili
progetti politici ed economici, elaborati tra noi e per noi, senza
attendere ancora spedizioni di mille o qualsiasi altro ingannevole
aiuto forestiero.
Rifiutiamo dunque le feste
provincialotte e più o meno interessate, e invitiamo le menti
pensanti e consapevoli alla coraggiosa riflessione. Ulderico
Nisticò
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