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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

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439 ANNI FA A LEPANTO

   


 Il 7 ottobre del 1571 la flotta cattolica italospagnola di don Giovanni d’Austria affrontava a Lepanto, nel Golfo di Corinto, la flotta turca dell’ammiraglio Alì, e la distruggeva. I “confederati”, così li chiamavano i contemporanei, schieravano 220 navi, di cui 120 veneziane con 6 possenti galeazze; 80 spagnole, in gran parte del Regno di Napoli; e altre degli Stati italiani. Li aveva assai pazientemente messi assieme, costringendoli a superare le rivalità, il papa san Pio V, il domenicano Marcello Ghisleri, un mite frate che, prima che pastore di anime, era stato, per povertà della sua nobile famiglia, pastore di pecore; e che per umiltà continuò a vestire il saio monastico bianco, modello, da allora della veste papale. Su quest’uomo di preghiera e di cultura gravò la terribile responsabilità della guerra necessaria per salvare l’Europa dalla sorte infelice che era toccata a Costantinopoli già dal 1453. Giusto ricordare questo avvenimento, e lo faccio qui perché c’è molto del nostro territorio in quegli eventi, e non se ne è perduta la memoria.

 Intanto c’è che fu san Pio V ad invocare la Madonna con il titolo di Auxilium Christianorum, l’Ausiliatrice, perché proteggesse le navi; e, quando un angelo lo raggiunse, e lo trovò in ginocchio, ad annunziargli il trionfo, il papa proclamò la Madonna Regina delle Vittorie, o Madonna della Vittoria. Ma poi preferì il titolo squisitamente domenicano di Madonna del Rosario.

 Vittoria: quante donne da secoli qui da noi si chiamano così! Perché quando Gaspare Toraldo barone di Badolato tornò dalla battaglia, venne eretta una chiesa così intitolata. Ecco dunque i nostri presenti sulle navi, e partecipi del successo. Non sappiamo se i volontari di Toraldo erano solo del suo feudo – oggi, Badolato, Isca, S. Andrea – o altri accorsero sotto la sua bandiera. Qualche anno dopo, lo stesso Gaspare respinse un attacco turco sopra Monasterace. Si batté con una sua nave il Corsale di Castelvetere, la fortezza che, nel 1863, pretese erroneamente di ribattezzarsi Caulonia. O forse lo fecero apposta per dimenticare Lepanto? La battaglia infatti, che nella tradizione cattolica è un evento mitico, è sempre stata volutamente sottovalutata e mortificata dalla cultura protestante, illuministica e massonica: leggete un qualsiasi libro di testo dei nostri licei!

 Quando la flotta si radunò a Messina, l’incarico di tenere un’orazione ufficiale ai capi cattolici venne assegnato a padre Lattanzio Arturo da Cropani, francescano, che la pubblicò poi con il titolo di “Predica della nave cristiana”. Ai vincitori lo stesso frate pronunziò la “Predica della vittoria”.  Padre Lattanzio era molto legato al cardinale Guglielmo Sirleto di Guardavalle, i cui meriti sono troppi perché ne parli qui; e restò legato ai Sirleto vescovi di Squillace: nel 1585 pronunziò una dotta orazione funebre per la morte del cardinale. Le ho pubblicate tutt’e tre, con amplissimo commento, nel mio “Cropani a Lepanto”. Giovan Tommaso Arturo, fratello di padre Lattanzio, combatté a Lepanto e nelle seguenti guerre tra Tunisi e Algeri. Ne scrisse la storia, e spererei che prima o poi l’opera, quasi certamente inedita, venga ritrovata in qualche archivio.

 Lepanto tolse definitivamente ai Turchi ogni velleità di conquista dell’Europa; ma non la voglia di saccheggiare. Nel 1594 Scipione Cicala, rinnegato cristiano, devastava la costa ionica, saccheggiando Reggio, e poi Badolato e Soverato. Giunsero alla Pietà, e, secondo la profezia, fu la prima delle tre profanazioni barbare delle spoglie di Francesco Marina: l’altra, il saccheggio del 1806 ad opera della soldataglia di Giuseppe Bonaparte; l’ultima, il bombardamento angloamericano della chiesa di Satriano, donde le spoglie andarono disperse.

 Cicala apparteneva ai principi di Tiriolo, e forse lì era nato. Il Golfo di Squillace fu presente a Lepanto anche in modo molto diverso dalla guerra cristiana. Comandava un’ala della flotta turca il celebre Ulugh Alì, detto dai cristiani Uccialì, Ucciali, Occhiali e in altre versioni; e che si chiamava Dionigi di Bini, nato ad Isola o a Cutro, rapito da bambino e divenuto giannizzero, pirata, capitano di nave, principe di Algeri e poi di Tunisi. Fu il solo a riportare salve le navi; e qualcuno sospettò un accordo segreto con Filippo II di Spagna e il suo ammiraglio Andrea Doria, nipote del grande. Ulugh divenne ammiraglio del sultano, e, morendo ad Istanbul, lasciò una moschea d’oro. Una mesta leggende vuole che tornasse dalla madre, ma lei lo maledisse.

 Per completare, ricordiamo che i cannoni di Roccella e quelli di Castelvetere respinsero assalti turchi. E tutto il Golfo divenne irto di torri cavallare e di fortezze. Ma qui andremmo troppo lontano, e ne parleremo altre volte. Intanto abbiamo ricordato la gloria di Lepanto.

 Ulderico Nisticò

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