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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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IL CUSCUNÀ
Il monte chiamato Cuscunà, che sovrasta il mio paese di origine, Cardinale, ed è così denominato anche nelle carte IGM, è, secondo la tradizione locale, un vulcano non spento ma sopito. Il detto popolare recita “Si si rivijjia u Cuscunà...”, se mai dovesse ridestarsi, con tutti i sottintesi possibili sia di natura vulcanica che di effetto simbolico. L’ho scelto per questo, perché non si sa mai, anche la nostra addormentatissima Calabria un bel giorno... Non mancano prove di fenomeni endogeni nel territorio: le sabbie mobili della Lacina (“occhi e mara”, perché condurrebbero fino alla spiaggia), certi riscaldamenti inspiegabili delle acque sorgive, e l’antica leggenda che “a Davoli ennu i diavoli”, perché si vedrebbero di tanto in tanto dei fuochi sulla montagna. Anche del monte La Rosa, sopra Petrizzi, si dice sia un vulcano. Dei vulcanologi accademici, con cui ho avuto occasione di confrontarmi, negano tutto questo; e anche la tesi, non solo mia, che la terribile serie di terremoti che devastò la Calabria dalla fine del XVI secolo, con i catastrofici eventi del 1638, del 1693, e quello apocalittico del 1783, e molti altri fino al 1908, sia in qualche modo connessa con la ripresa dell’attività eruttiva di Etna, Strongoli e Vesuvio. Ma le genti vittime dell’uno e dell’altro fenomeno lo credettero e lo credono. Sappiamo del resto quanto la Calabria sia geologicamente fragile, in quanto terra ancora giovane. Poco si riflette però sulle conseguenze di ciò sulla vita delle popolazioni e sulla storia stessa della nostra regione. Voglio ricordare qui solo la presenza di interi paesi abbandonati per effetto di terremoti: Soverato “Vecchio”, Borgia, Castelmonardo di Filadelfia vennero del tutto abbandonati per altri siti, su disposizione del governo di Ferdinando IV di Napoli, che, assieme a soccorsi per l’epoca di miracolosa rapidità ed efficienza, inviò ingegneri per la ricostruzione; e questa in dieci anni venne completata. Altro che Belice, altro che Irpinia! Il progetto politico della Cassa Sacra, che, di fatto, confiscava i beni dei conventi distrutti dal sisma – la Certosa, la Pietà, la grangia di Sant’Anna a Montauro e molti altri – e sperava di distribuire la proprietà terriera, sortì un pessimo risultato: alcuni furbetti arraffarono a due soldi vastissime proprietà, e s’inventarono che era un “latifondo medioevale”, nozione del tutto falsa; e che loro stessi, invece che figli o al massimo nipoti di plebei amministratori ladri, erano discendenti di nobilissimi cavalieri crociati. E agli occhi degli sprovveduti passano ancora oggi per nobili. Insomma, vedete quante riflessioni può suggerire il Cuscunà? Leggete la rubrica domenicale, se vi fa piacere. Ulderico Nisticò
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