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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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UNITÀ, PARLIAMONE
Si terrà mercoledì 23 un Consiglio comunale, esteso alle realtà sociali, sul tema dell’unità nazionale; e si aprirà con una mia relazione storica, per incarico del presidente Giancarlo Tiani, che ringrazio per l’onore. Intendo dare il via al dibattito con un discorso di non più di venti minuti, e denso di temi e provocazioni. Come si fa a ridurre le vicende dal 1734 al 1866 in venti minuti? Semplicissimo: abolizione di aggettivi e avverbi inutili, e fedeltà teutonica all’argomento, senza approfittare dell’occasione per parlare d’altro che non c’entra. Secondo me, se il relatore parla venti minuti, gli intervenuti, per corretto senso della misura, devono tenersi massimo massimo sui dieci, meglio se cinque. Che vi dirò? Che il problema secolare dell’Italia non era l’unità (la divisione risaliva al 568, con l’incompleta conquista longobarda), ma l’indipendenza dagli “oltramontani”, cioè tedeschi e francesi. Così proclama l’obelisco di Bitonto, celebrando la vittoria, in verità spagnola, che portò sui troni di Napoli e di Palermo Carlo di Borbone nel 1734: ITALICAM LIBERTATEM VINDICAVERIT. L’Italia del XVIII secolo poteva dirsi godere di una sia pure debole indipendenza; persa però tra il 1796 e il 1814-5 con l’invasione napoleonica, quando Torino, Genova, Firenze, Roma e Trieste divennero città francesi come Marsiglia e Lione. Eppure Buonaparte non osò annettersi il Meridione, e gli concesse una certa autonomia sotto Murat. Gli Stati nel 1815 solo in apparenza “restaurati”, in realtà rimasti con strutture borghesi e giacobine, passa sotto il controllo dell’Austria. Papa Pio VII rifiuta però una Santa Alleanza che comprendeva anche luterani, ortodossi e persino islamici; e Napoli e Torino dicono no a una confederazione con Vienna. Dal 1820, i liberali cercano dai re quella costituzione che sotto Murat e Napoleone era costata la vita ai primi carbonari come Capobianco di Cosenza. Ferdinando I concede e ritira la carta, e l’Austria batte un forte esercito napoletano in preda a conflitti di politicanti e generali. Si diffondono le tesi confederali del Gioberti, neoguelfa, e del Balbo, neoghibellina; e repubblicana di Cattaneo. Un’alleanza di fatto tra Savoia, Borbone, Lorena e papa Pio IX si rivela fragile durante la Prima guerra d’indipendenza del 1848; mentre ha breve vita una Repubblica Romana, stroncata dai francesi. Negli anni 1850-60 il Regno delle Due Sicilie raggiunge una notevole prosperità industriale e commerciale, ma non esce dalla sua incertezza politica, ancor più dopo la morte del grande re Ferdinando II. Il Regno Sardo sposa il liberismo e si lega a Francia e G. Bretagna. La Seconda guerra d’indipendenza consente a Vittorio Emanuele II l’acquisto di Milano, Emilia, Bologna e Toscana; ma a prezzo della svendita di Savoia e Nizza alla Francia di Napoleone III. Intervenendo a favore dell’autonomismo siciliano, Garibaldi sconfigge facilmente i napoletani valorosi e mal comandati, o traditi. Tardivamente si battono questi al Volturno e al Garigliano; ma la vera guerra è quella degli insorti, ingiuriati briganti, che dura dieci anni. La necessità di conquistare il Sud impone un regime centralista, senza alcuna autonomia regionale. Cosa mancherà a questa mia ricostruzione? La retorica degli eroi, martiri, santi eccetera: una merce molto più rara che non appaia durante le celebrazioni! Certo renderemo onore a tutti quelli che, in buona fede, sono caduti per una loro idea o una loro fedeltà: ma a tutti, senza partigianerie. L’altra cosa che mancherà sarà la reinvenzione del passato alla luce, o al buio, del presente e in vista della prossima campagna elettorale e o altre contingenze. Ahimè, le cose andarono come vi ho detto, non furono voli di Valchirie! Il Sud non era alla fame, certamente; e le sue condizioni peggiorarono molto nei decessi seguenti; ma in tutta Italia, compreso il mitico Nord, c’erano meno fabbriche che nella sola Manchester; e ciò basti a fugare illusioni alla Pino Aprile o al fu De Amicis! Alla fine, le colpe del Sud sono tante, a cominciare dalla solita, una men che mediocre classi dirigente. Un giornale francese, nel 1860, pubblicò una vignetta così concepita: un soldato meridionale con la testa di leone; un ufficiale con la testa d’asino; un generale, del tutto senza testa. Sono cambiate, nel 2011, le cose? Parliamone mercoledì. Ulderico Nisticò
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