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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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CATANZARO E DINTORNI 1528
Catanzaro, città bizantina, era stata sede di conti dall’età normanna, pervenendo infine a Pietro I Ruffo ed eredi fino a Nicolò, anche marchese di Crotone: e per questo si dice il Marchesato. Questi morì, per quanto sappiamo, verso il 1420, e restò erede la figlia Enrichetta, sposa dell’ondivago Antonio Centelles Ventimiglia, siciliano ed eternamente ribelle ad Alfonso e Ferrante I d’Aragona. Nei frangenti delle sue insurrezioni e guerre, Catanzaro divenne città regia, con uno statuto di impressionante equità: consiglio comunale di 15 nobili, 15 borghesi e 15 operai. Lo statuto integrale e commentato lo trovate nella mia Controstoria delle Calabrie, Rubbettino. Ricca, operosa e produttiva città della seta (allora!), Catanzaro prosperò sotto gli ultimi re aragonesi e sotto i sovrani Asburgo di Spagna. Intanto si addensavano nubi sull’Europa. Morto nel 1516 Ferdinando d’Aragona, sovrano anche di Sardegna, Sicilia e Napoli e reggente di Castiglia, gli successe di fatto su tutti i troni spagnoli il nipote Carlo, che aveva ereditato Austria, Franca Contea e Boemia, e aspirava, alla morte del nonno paterno Massimiliano, alla corona imperiale. La Francia tentò di impedirlo prima comprando i principi elettori, ma questi preferirono oro e sangue tedeschi; poi con la guerra. Mentre Carlo diventava V come imperatore, Francesco I invadeva l’Italia, venendo però sconfitto a Pavia; riprendeva la guerra inviando una spedizione contro Napoli al comando di Odet de Foix di Lautrec e del conte di Capaccio, che nel 1528 scese verso Calabria e Sicilia. Il viceré Mendoza si apprestava a ritirarsi nell’isola, quanto il consiglio comunale di Catanzaro decise di resistere all’invasione, e costrinse lo spagnolo a cambiare idea. Era una scelta di fedeltà al nostro già antichissimo Regno, e destinato a vivere ancora altri tre secoli; ma anche una prova di forza. La città si chiuse tra le mura; resistette ad ogni assalto francese; compì numerose sortite con le sue truppe e i suoi capitani, nobili cittadini; si combatté alla Cava, alla Sala, e anche alla Roccelletta e tra Montepaone e Soverato. Un solo problema pativa Catanzaro, ed era la circolazione monetaria: venne emesso pertanto un conio forzoso di cuoio, una specie di assegno, con la dicitura OBSESSO CATANZARIO, e ne restano appena due esemplari. Preciso per i piagnoni: non è che mancassero i beni, mancavano le monete statali, tutte già generosamente spese. Né ci fu questione di viveri. Capaccio e i suoi si batterono valorosamente; ma intanto saltava l’alleanza guicciardiniana tra Francia e papa Clemente VII; e Lautrec moriva alle porte di Napoli. Capaccio iniziò la ritirata, e gli sopraggiunsero addosso le truppe di Pignatelli di Monteleone. Carlo V insignì Catanzaro dell’aquila imperiale con il motto SANGUINIS EFFUSIONE. Se ne dimenticò presto, però. Quando, nel 1536, tornò dalla vittoriosa impresa di Tunisi e passò per la Calabria, si fermò a Seminara e a Cosenza, ma non passò da Catanzaro. Peggio, voleva vendersela a Tiberio Carafa principe di Tiriolo per 15.000 ducati: Catanzaro si armò un’altra volta, e minacciò il principe di fargli guerra; intanto mandò la somma al sempre indebitato Asburgo. Sotto Filippo II, divisa la Calabria in Citra e Ultra, Catanzaro ne divenne definitivamente capoluogo e sede del “preside” (una specie di prefetto, ma assai meno invasivo di quello napoleonico) nel 1594. Quanta storia vera, a Catanzaro, senza doversi inventare di sana pianta che sbarcò e s’imbarcò Ulisse! E invece non ne sa niente nessuno, di storia. Di Ulisse nemmeno, però lì è facile inventare. Ulderico Nisticò
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