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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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GLI ICONOCLASTI NOSTRANI
Chiamarono così, nel lontano 732, i sostenitori dell’imperatore Leone III Isaurico, il quale vietava il culto delle immagini, e, letteralmente, le spezzavano: eikòn e klazo. I loro avversari, detti con disprezzo iconoduli, servi delle immagini, o fuggirono dalla Grecia in Italia, donde i molti miti posteriori sul ritrovamento di statue sepolte, o, con il sostegno del papa di Roma, si batterono in tutti i modi, anche armati, in difesa della tradizione; finché, un secolo dopo Leone, l’iconoclasmo venne abolito dall’imperatrice Irene. Ma riemerge ogni tanto la tentazione di una religione spiritualista e senza riti e segni (Barlaam di Seminara chiamava i teologi “pneumatici” con il buffo epiteto di omphalòpsychoi, quelli che hanno l’anima nell’ombelico!); e passa dai catari ai protestanti, insinuandosi, attraverso il giansenismo, persino nel cattolicesimo. Ed ecco certe chiese di una straordinaria bruttezza, spoglie, ambigue: il peggio l’ho visto nella nuova cappella di San Francesco di Paola, che rappresenta una Passione di Cristo senza la presenza della Madonna, manco l’avesse progettata l’architetto di fiducia di Lutero in persona! Oppure è stato il Grande Architetto dell’Universo? Questa premessa (e via, un po’ di storia non fa male a nessuno), per parlarvi di quanto accadde in Calabria, e qui da noi, attorno agli anni Sessanta dello scorso secolo. La foto che vedete è forse la sola testimonianza visibile della chiesa di Foresta di Chiaravalle, cui pure dedicano attenzione nei loro libri e don Enzo Iezzi e Francesco Squillace. Dal poco che si intravede, era un edificio di notevoli dimensioni e non privo di eleganza, probabilmente abbastanza antico. L’abbatterono, e rimase solo in piedi un arco che vi era stato aggiunto nei primi decenni del Novecento; poi sparì anche quello. C’era a S. Andrea I. una chiesa dalla struttura imponente e agile a un tempo, da quel che si puà intuire da un quadro che la raffigura. La buttarono giù senza manco curarsi delle ossa della cripta, che per giorni finirono in bocca ai cani. Ho visto una copia sbiadita di foto della chiesa di Argusto, e mi è apparsa bella e colorata; poi qualcuno ci ha messo mano. quella di Cardinale, la chiesa dei miei avi, e con essa molte altre, subì lo sfregio di un pavimento di graniglia: ora che è stato tolto sono venute alla luce le tombe. Ma che dico? Qualcosa del genere avvenne persino ai mosaici pavimentali di Rossano! In altri edifici sacri a qualcuno venne l’uzzolo di coprire le colonne e farle da rotonde quadrate. E anche qui a Soverato, a pensarci bene, mi domando che fine ha fatto la bella balaustra di marmo del Rosario che c’era fino agli anni 1970 circa. Quante offese all’arte, e alla stessa fede! E il risultato fu che spesso, entrando in una chiesa calabrese, il forestiero riceve un’impressione di squallore, di miseria, di arrangiato, di depresso, di paesanotto. Ci vogliono le vecchie foto per rincuorarci: noi qui, come in tutta la Calabria, non eravamo poveracci e tristi, lo siamo diventati solo da poco. Una domandina preliminare: la Sovrintendenza che ci stava a fare durante questi e innumerevoli altri scempi? E il popolo, i sindaci? Non si ribellò nessuno? Una seconda domandina: siamo proprio sicuri che gli autori di tali atti di vandalismo fossero tardivi seguaci dell’Isaurico, o lo avessero mai sentito nominare per sbaglio assieme alla sua resipiscente erede Irene? Si trattò di iconoclasmo, di giansenismo, di calvinismo... o le motivazioni furono meno nobili, e ispirate ad altro e più remoto re, Creso? Informatevi su cosa ha inventato, questo re Creso di Lidia. Perché non lo scrivo direttamente? Ma per farvi lavorare un po’ anche voi! Ormai, quod est factum non potest fieri infectum, cioè il fatto è irreversibile; e spesso si dobbiamo contentare di quelle belle cose che presero il posto delle chiese antiche. Altrove, come a Cardinale o a Chiaravalle, sono stati compiuti lodevolissimi recuperi, e alcune chiese hanno recuperato la magnificentia domus Dei che un edificio religioso deve avere in una terra cattolica. Di quello che è perduto, cerchiamo almeno di ritrovare la memoria: chi ha una foto, un documento, anche solo una notizia, la tiri fuori. Le chiese butterate in quegli sfortunati anni, speriamo di restaurarle. I colpevoli delle devastazioni sono da tempo nel mondo dei più, e non serve chiamarli in causa; li puniamo con la damnatio memoriae: non meritano di essere ricordati nemmeno per vilipendio. Ulderico Nisticò
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