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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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I DEVOTI DEL DIO MOMO
I Greci avevano un dio per ogni faccenda, e così s’inventarono anche Momos, divinità della maldicenza. Il suo compito era di cercare ogni peluzzo nell’uovo per istigare al pettegolezzo. Ma che questo Procopio (Carneade? Chi era costui? Se è!) si sia affaccendato a leggersi l’intera mia edizione dell’Anania in due volumi al solo scopo di cercare sei o sette peli, mi pare curioso: e se abbiamo in Soverato un così valente storico e geografo e filologo, perché è la prima volta che lo sentiamo nominare? Misteri della piazza. E siccome gatta ci cova, sarei curioso del perché qualcuno, chiunque sia, si prenda tutta questa briga, per di più dopo sei anni dal Tomo I e quattro dal II. Ricominciamo. Il Procopio (ma si chiamerà poi così?) ignora l’abissale differenza tra anastatica ed edizione critica. La prima è semplicemente una foto, una fotocopia di libro antico, cioè un’operazione da cartolibreria, e il lettore si arrangi a capirci qualcosa; l’altra è la correzione e annotazione di un testo, cioè un’operazione culturale e filologica. Se qualcuno si vuole sgomentare, legga un’anastatica qualsiasi dell’Anania: sono 402 pagine quasi mai con un capoverso, un punto, una divisione qualsiasi; e non parliamo della forma delle parole. È dunque falso che il mio testo “riproduca” alcunché: è del tutto modificato. Il Procopio (ma esiste?) mente. Edizioni critiche sono quelle degli autori classici; o, in ambito calabrese, le seguenti di cui sono responsabile: 1. Francisci Grani Cropanitani, De situ laudibusque Calabriae et de Nymphae Arochae metamorphosi, Framasud, Chiaravalle Centrale, 1989; 2. Cronache antiche di Tiriolo, estratto da Vivarium Scyllacense, 1996; 3. Padre Raimondo Romano, il culto di san Gregorio e le incursioni turche del 1644 e 16455, estratto da Vivarium Scyllacense, 1997; 4. Padre Giovanni Fiore da Cropani, Della Calabria illustrata, Tomo I, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999; 5. Padre Giovanni Fiore da Cropani, Della Calabria illustrata, Tomo II, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000; 6. Padre Giovanni Fiore da Cropani, Della Calabria illustrata, Tomo III, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001; 7. Squillace 1243, un patto tra monasteri, estratto da Vivarium Scyllacense, 2001; 8. Giulio Cesare Destito, Polyhymnia seu Silvarum libri tres, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003; 9. Gian Lorenzo Anania, L’universal fabrica del mondo, overo Cosmografia, vol. I, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005; 10. Cropani a Lepanto. La predica della Nave Cristiana e la Predica della Vittoria Navale di fra Lattanzio Arturo da Cropani, a cura di Ulderico Nisticò e Paola Bianco, Catanzaro, L’alternativa, 2006; 11. Domenico Cirillo, Cardinale e la sua storia, 2007; 12. Gian Lorenzo Anania, L’universal fabrica del mondo, overo Cosmografia, vol. II, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008. Ognuno di questi testi è stato emendato, come tecnicamente si dice; tradotto dal latino o greco se necessario; quel che più conta, è stato reso disponibile per il lettore curioso ma non specialista, che non facilmente si sarebbe districato in mezzo a nozioni e richiami che sono non tanto di una diversa cultura quanto di diversa mentalità. Per dirne una, l’opera del Fiore, già di grandi dimensioni, è stata da me raddoppiata, e in 2.200 pagine di trovano circa 10.000 note. Lo scopo di questi lavori è dunque quello di restituire lustro a scrittori e poeti quasi dimenticati, e, per essi alla Calabria. Il Destito era di Satriano, ma era stato appena citato in un lavoro del Sia; oggi si leggono, nel testo latino con traduzione e note all’uno e all’altra, tutte le sue poesie più significative. Il Grano, nella stampa ritrovata a Cosenza dal compianto Gustavo Valente e affidatami dal parimenti compianto padre Remigio Lepera, era del tutto incomprensibile prima della mia edizione dei versi latini, con traduzione e note. Le prediche di padre Lattanzio Arturo gettano luce sui risvolti politici della battaglia di Lepanto, come sulla vita del cardinale Sirleto. Eccetera. Per far cose del genere, delle due è l’una: o si mette in piedi un gruppo di lavoro, e impiegherebbe un secolo solo per riunirsi; o si trova un cireneo che s’intenda di latino, greco, storia generale, storia calabrese e computer. Di solito i committenti e le case editrici fanno così piuttosto che in quell’altro modo: se chiamano me (e, udite udite, per questi lavori mi pagano) e non altri, ci sarà un motivo, e un buon motivo. E se mi diedero il premio Presidenza del Consiglio dei Ministri per il Fiore. Siccome “qualche volta anche il buon Omero dormicchia”, e Parini e Foscolo hanno fatto notturna l’upupa; e Leopardi adorna la donzelletta di rose e viole che sono di periodi diversi; e i figli del sarto del Manzoni sono prima un bambino e due bambine poi una bambina e due bambini, eccetera, via, ogni mille volte posso sbagliare anch’io; anzi ciò mi rende un tantino più umano, e, direi, simpatico persino a me stesso. Alla fine, anche la dea Venere era strabica! Sulle date di nascita di qualcuno di sei secoli fa, possiamo discutere, o sono state tramandate diversamente; o, nella maggior parte dei casi, importano poco. Su Teutonica, il Procopio (ammesso!) mostra la sua piatta, scolastica pedanteria e disinformazione: sapesse quante forme ci sono in giro del cognome Alighieri! Ma non sa né questo né molte altre cose. I cognomi sono stati fissati per iscritto piuttosto di recente, e spesso a caso: ecco perché siamo pieni di Nisticò e Nesticò, di Palaia e Pelaia, di Fragomeno e Fragomeni... A Taverna si parlava di “famiglia Teutonica”, il mio Grano scrive “Teutonicus”. Forse Procopio (?) lo ignora, ma “-us” è maschile. Il Pardo non è nell’elenco degli autori, di cui rendo conto in nota; viene citato rapidamente e incidentalmente tra quei moltissimi che l’Anania ha avuto modo di incontrare e da cui ha tratto qualche informazione. Le note sono già parecchie centinaia, dovevo pormi un limite. Ora basta. Aspettiamo che il Procopio (forse... ) scriva e pubblichi un’edizione, un libro, un fumetto, una cosa qualsiasi comprese le sue pubblicazioni di matrimonio. A proposito, vorrei sapere chi è, dov’è nato, dove vive, che mestiere fa... se no, lo mettiamo nell’elenco delle Caterinelle e dei Claudimaria: bufale. * * * Traiamo profitto dalla buffa storia per informare i lettori di chi era mai l’illustre. Gian Lorenzo Anania (o d’Anania: vedi Teutonica) fu di Taverna quando questa città vantava un territorio da Scigliano all’attuale Sellia Marina: una provincia. Del patriziato cittadino, visse senza dubbio a lungo a Roma e altrove. Morì in patria nel 1607, o, secondo altri, 1609. Lesse moltissimo, e incontrò un gran numero di studiosi, e anche di navigatori e avventurieri, molti spagnoli, molti inglesi, persino qualche arabo e persiano. Le sue conoscenze geografiche non sono solo libresche ma anche, direi soprattutto, informazioni di prima mano. Proprio per questo la Cosmografia è una miniera di notizie anche minute e curiose: una tomba romana nello Yucatan; dei Cinesi in California... L’attenzione dell’Anania si può definire etnografica alla maniera di Erodoto; la situazione politica dei popoli gli appare, giustamente, sempre un po’ transitoria, mentre lo attraggono usi, lingue, religioni, aneddoti... compreso che le nobildonne spagnole sotto le lunghe gonne portano degli zatteroni per sembrare più alte! Nihil sub sole novi, a parte la misura delle gonne. Non continuo: chi vuole, faccia come Procopio (sempre che lo sia), e legga entrambi i volumi. E poiché siamo ancora in questo centocinquantesimo, e proprio per confutare la vulgata che l’idea d’Italia se la siano inventata Garibaldi e Cavour, riporto quanto scrivevo nel I Tomo: Da figlio dell’umanesimo, Gian Lorenzo è nostalgico di quella che chiama “l’antica libertà italiana”, che vede in un remoto passato comunale, o almeno in istituzioni che, ispirate al diritto romano, distinguevano la sfera pubblica da quella privata, da cui lo Stato si asteneva: un modello ben diverso da quello Stato assoluto che già nel XVI secolo celebrava i suoi fasti e nefasti in Europa, e, sia pure più blandamente, anche in Italia. Ma altro è il modello ideale, altro è il realismo politico, che consiglia l’Anania, come quasi tutti, ad adeguarsi alle esigenze delle circostanze storiche. L’Italia appare all’Anania una sorta di confederazione informale moralmente presieduta dal Papa (donde l’elogio di Giulio II liberatore), e sorretta dalla potenza militare re Cattolico di Spagna nella veste di re di Napoli, la cui autorità difende la Penisola e impedisce le rovinose guerre intestine. Ad unire l’Italia è la comune fede cattolica, in prima linea contro protestanti e ortodossi di Germania e Oriente, che l’Anania non perde occasione per confutare e combattere. Gli Spagnoli, fedeli alla Chiesa, non appaiono stranieri a questa idea dell’Italia, e lo sono piuttosto i Francesi, i Tedeschi e i Turchi. Contro costoro lotta tutta Italia, in testa Venezia, o, più esattamente “il Senato Veneto”, e hanno vinto la gloriosa battaglia di Lepanto, tante volte ricordata nell’opera. Anche per questa italianità rendiamo omaggio a Gian Lorenzo Anania, calabrese di Taverna, italiano e conoscitore del mondo. Un’ultima riflessione. Gian Lorenzo è teologo e quasi certamente prete. Con una commistione di metodi di pensiero assai comuni nel XVI secolo (Nostradamus, Paracelso, Cornelio Agrippa, ma anche Campanella e Bruno... ), è angelologo e demonologo, scrivendo queste opere in latino: De natura Angelorum et occultis eorum operationibus; De substantiis separatis; De natura Daemonum et occultis eorum operationibus; De origine et differentia Daemonum; De eorundem in homines potestate; De his quae Daemones operantur per se in nobis; De his quae hominum auxilio peragunt. Scrisse anche un De fortuna, e un Contra Hebraeos; e annunzia anche di aver concepito un saggio sulla fine del mondo, che non sappiamo se compose. Mi divertirebbe pubblicare queste operette in edizione critica. Per ora, sto completando l’edizione del Moncada di Gerolamo Pinnellio, un testo di storia e politica catanzaresi della fine del XVI secolo. Se no, ci può sempre pensare Procopio, noto storico latinista grecista. La Calabria ha prodotto nei secoli tesori di cultura: ah, se ci lavorassimo sopra, invece di inutilissimi convegni antimafia segue cena! Ulderico Nisticò ARTICOLO CORRELATO
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