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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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TRIPOLI BEL SUOL DI DUBBI
Se la caduta di Muammar lascerà la Libia nella stessa situazione di caos dell’Egitto a caduto Mubarak, lo vedremo tra non molto; e se alle donne rimetteranno il chador come stanno già facendo, qualcuno, io in testa, penserà che era meglio prima. Intanto io mi contento di non riconoscere patenti di democrazia e bontà d’animo a gente che fino a sei mesi fa stava con Gheddafi, sia in Libia sia altrove. Ma di questo un’altra volta, a cose più chiare. Diciamo intanto cosa abbiamo a che vedere noi calabresi e ionici con la Libia e dintorni; e non è poco. Dopo mezzo millennio di alleanza – eh, la storia si ripete! – Roma mosse guerra a Cartagine, che stava nell’attuale Tunisia, ma dominava dalla Spagna all’Ara dei Fileni nella Sirte oggi libica. Si chiamava allora Libia tutto il Sahara; Erodoto attribuisce ai libici l’addomesticamento dei cavalli, ed elenca molte tribù, la più nota i Garamanti. Durante la Seconda guerra punica (219-2), Annibale fu a lungo nel Golfo di Squillace: ma l’abbiamo già raccontato, e che i Bruzi furono alleati dei Cartaginesi anche a Zama. Chissà quanti di noi portano nelle vene qualche goccia di sangue dei mercenari del Barca, tratti da Spagnoli, Galli, Numidi, Libici... Nel 146 venne distrutta Cartagine, e Roma si annesse la provincia detta Africa, che dà il nome a tutto il continente. La città risorse come colonia romana nella stessa operazione politica di Caio Gracco che fece sorgere la colonia Minervia Scolacium. E quando Nerva (96-8 dC) inviò coloni qua e là per l’Impero, tre, che sappiamo, portarono la denominazione da lui: Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium, la Roccelletta; l’inglese Gloucester, Colonia Nervia Glevium, poi evidentemente Glevium castrum; e la Colonia Nervia Veteranorum Setifensium, che è Sétif in Algeria. Quando ho proposto a diverse Somme Autorità un gemellaggio con questi parenti britannici e africani, mi hanno risposto che era un’Idea Splendida Di Quelle Che Possono Venire Solo A Un Grande Uomo Di Cultura Come Il Professore Nisticò... tutto maiuscole, e poi se ne fregarono rotondissimamente. Era la verità, mica una bufala come Itaca: perciò, non essendo una favola, ai calabresi non poteva interessare. Per umana pietà non faccio nomi. A Roccelletta emerge molta ceramica africana, roba di lusso; quella italica, in vero, era più alla buona. Alarico voleva raggiungere Cartagine, ma morì a Cosenza (410); l’Africa finì in mano ai Vandali, che tentarono il saccheggio dell’Italia, e vennero anche da noi. Il peggio accadde dopo il VII secolo, quando l’Ifriqa e tutta la costa divenne araba. Dall’829 (data convenzionale), iniziarono le invasioni di conquista e saccheggio: Amantea, Tropea, S. Severina e probabilmente Squillace divennero emirati musulmani, finché nell’888 il generale Niceforo Foca scacciò gli Arabi e fondò la Nuova Fortezza (Neocastron) e forze Catanzaro. Gli ultimi insediamenti sulle coste si ritirarono definitivamente sui colli, non “dove non potevano essere visti”, come scrivono gli accademici militesenti per deficienza toracica e caratteriale, ma il contrario: tutti visibili dal mare e l’uno dall’altro, tutti vicinissimi; e, con la dinastia macedone e l’imperatore Niceforo II Foca, pronipote del generale, popolati da contadini soldati, molti venuti dall’Oriente portando con sé i santi greci guerrieri: Agazio, Sostene, Barbara, Teodoro, Giorgio... e Gregorio Taumaturgo, Pantaleone, Caterina d’Alessandria, Andrea, Nicola... Ma non fu sempre guerra: venivano spesso i commercianti africani, portando le unità di misura cantàru, cafisu... niente di nuovo sotto il sole. Ah, se facessimo un attimino di analisi del DNA. La guerra ricominciò con i Turchi, che sottomisero a vario titolo anche gli Arabi di Egitto, Libia, Tunisia e Algeria, da dove venivano i pirati barbareschi. Alcuni di loro erano cristiani rinnegati: Kar el Din detto Barbarossa, lucano; il pascià Scipione Cicala, nato o a Messina o a Tiriolo, quello che nel 1594 saccheggiò Reggio, Badolato, Soverato, la Pietà... e Ulugh Alì, Dionigi di Bini delle Castella, che fu bey di Tunisi e Algeri. Ma i Turchi avevano deposto ogni speranza di conquista dopo la sconfitta di Lepanto del 7 ottobre 1571, cui parteciparono molte navi e molti marinai calabresi; e vennero erette chiese alla Madonna della Vittoria; e per questo si chiamano Vittoria molte signore. Tiberio Russiliano Sesto di Gimigliano, esoterista e mago, andò a specializzarsi presso gli stregoni africani; ma giunto sulla costa libica un suo servo lo uccise. Passa il tempo. Nel 1811, due secoli fa esatti, i neonati Stati Uniti fecero guerra al bey della Tripolitania: “Sulle spiagge di Tripoli... ” canta tuttora l’inno dei marines. Nel 1832 il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna, alleati, inviarono una spedizione navale contro Tunisi e dintorni, per imporre ai pirati la paura. Ah, peccato che i pirati si siano arresi subito senza combattere: se avessero resistito e fosse scoppiata una vera e dura guerra, forse la fraternità d’armi, e la vittoria e qualche conquista, avrebbero segnato l’inizio di una vera unità italiana: societas contra exteras gentes. Invece l’unificazione la fecero con le armi francesi e le mene massoniche inglesi. Nel 1911 – una guerra al secolo! – il Regno d’Italia, capo del governo Giolitti, decise di conquistare la Quarta Sponda, superstite dominio turco. La vera motivazione era che la Gran Bretagna possedeva, di fatto, l’Egitto; la Francia, Tunisia e Algeria, e, dal 1909, il Marocco; e, chissà, anche la Germania, per quanto nostra alleata, poteva farci un pensierino. Meglio occupare Tripolitana e Cirenaica, prima che lo facesse qualcun altro. C’era poi la spinta del crescente nazionalismo. Come sempre, gli Italiani approfittarono di una guerra esterna per farsi la guerra tra di loro: il giovane Mussolini, allora capo dei socialisti massimalisti, finì in carcere per manifestazioni contro Giolitti e la spedizione; ma il Pascoli, socialista sentimentale, pronunziò a favore il celebre discorso “La Grande Proletaria si è mossa”, padre di tutte le dottrine nazionalpopolari, e perciò indirettamente del fascismo. L’Italia, ottenuta una non facile vittoria, chiamò la sua conquista Libia, in ricordo dei tempi classici. Tra i combattenti di quella lontana guerra, mio nonno Ulderico, che aveva lasciato gli svogliati studi e si era arruolato; da sergente, narrava, comandò reparti di meharisti indigeni. Dopo la Prima guerra mondiale tra gli Arditi, e divenuto ufficiale, andò in congedo, per essere richiamato prima della Seconda, e chiudere questa sua irregolare carriera da capitano. Quando vennero da noi i primi “marocchini” riusciva a comunicare con loro con le sue reminiscenze di arabo. Se sapete di altri dei tempi di Tripoli bel suol d’amore, ditemene. Così se sapete di nostri conterranei che, soprattutto dopo il 1938, andarono a colonizzare quelle terre, che nel frattempo erano divenute parte integrante del Regno come province di Tripoli, Misurata, Derna, Bengasi; agli indigeni venne concessa una “cittadinanza libica”. Dalla Libia partirono le tre offensive italiana e italotedesca che s’infransero infine a El Alamein. In quest’ultima battaglia cadde il nostro Baldassarre (Sarro) Sinopoli. Traiamo da “Soverato nel pallone” di U. N. e Tonino Fiorita questa lettera con cui il camerata di Sarro Moranduzzo di Firenze narra la morte del suo amico alla madre: Il giorno 4 settembre, data della sua gloriosa fine, mi trovavo a poche centinaia di metri da lui, ma non seppi e non ho potuto vedere, causa l’intensissimo fuoco, sopra le nostre posizioni, dall’artiglieria nemica. Era impossibile qualunque movimento. Il giorno dopo, 5, ricevemmo l’ordine di ripiegare e abbandonare il caposaldo, dato il grande pericolo che imminente correvamo tutti. Alla sera, pochi momenti prima di ritirarci, rimasi ferito... ... ... nella notte, un altro ... seriamente dallo stesso colpo d’artiglieria che cagionò l’immediata morte del vostro povero Sarro. Vi riassumerò ora il racconto che mi fece: ‘Eravamo in cinque, intenti a discutere, allo scoperto, sul da farsi, un colpo, un sibilo, e tutti e cinque si sdraiarono in terra. Il colpo ci investì in pieno, tre morirono immediatamente, io ferito... Cercai di interessarmi, di poter sapere di più, ma nulla. Il ripiegamento fu fatto. Avrei desiderato poter vederlo, ma era impossibile avvicinarsi a quel luogo: era preso di mira da tutte le armi nemiche, e pure la grande volontà del cappellano di dargli sepoltura fu vana. Mi pare di ricordare che fu paracadutista della Folgore anche Mimmo Curcio. L’ultimo atto di questa storia è il misterioso Mig libico “ritrovato” a Castelsilano nel luglio del 1980, dopo l’altro mistero di Ustica. Si disse e si dice che si era svolta una battaglia in cielo, con l’intento di uccidere Gheddafi, e un missile centrò l’aereo civile; ma si dissero molte altre cose. Nel dubbio, ecco un ottimo motivo per volere muto e morto Gheddafi invece che vivo e loquace! Così funziona la democrazia: è vero e raccontabile solo ciò che le fa comodo.Ulderico Nisticò
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