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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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S. Severina: divagazioni su Rohlfs, il greco e il dialetto calabrese
Dal riassunto che ne ha fatto il TG3, ma spero sia una tigitreata solita farcita di prevedibili luoghi comuni, sono state dette cose abbastanza vaghe e poco precise. Come spesso, mi tocca riparare ai danni. Soveratoweb, essendo nel web, lo possono leggere anche a Santa Severina. Lo segnalerò del resto ai molti amici che ho lì. Gerhard Rohlfs (Berlino, 1892-1986), grande filologo tedesco (germanica è la filologia, per origine e per mentalità, e perciò ha infiniti pregi e qualche noumenico difetto), visse gran parte della sua attiva esistenza tra Salento e Calabria, studiando il grecanico, che non è un dialetto ma una lingua palesemente greca. Ma qui si apre la questione da lui sollevata, e non chiusa. Come molti stranieri, anch’egli era venuto per trovare conferma a una tesi precostituita. Nel suo caso, la tesi, anzi la tesi di laurea, era che il grecanico derivasse direttamente dal greco classico. A mio avviso e di molti altri, non è così se non per la conservazione di alcune parole, che d’altro canto sono presenti anche nei dialetti calabresi. Voglio qui riferire solo termini soveratesi e dei dintorni: argasìa, chicara, fanò, kheru, ospria, rema, sporìa, stracu, strumbu... E tralascio i cognomi e i toponimi, che sarebbero infiniti: cito solo Nisticò, e, a Soverato, la località Ciaramidìu! Quanto greco, qui dove fu la Magna Grecia... solo che queste parole elleniche si usano in paesi che si chiamano latinamente Soverato, Satriano, Cardinale; o si chiamarono Aurunco (Montepaone) o Cursano (Monasterace), a riprova che tra la Magna e la formazione dei nostri dialetti trascorsero almeno ottocento anni di latinità, e che i Greci, e con essi la lingua, tornano una seconda volta con la Guerra gotica (535-53), e governarono fino ai Normanni (1060, presa di Reggio). E i nostri stessi dialetti pieni di parole greche sono saldamente neolatini in tutte le strutture fondamentali: declinazioni e coniugazioni. Il nostro greco, che è abbondante anche nella sintassi (vojj’u vaju; nommu avia dittu... ), è prevalentemente, quasi totalmente bizantino e neogreco, non classico. Nei sei secoli in cui la nostra terra fu parte dell’Impero Romano d’Oriente, vennero soldati, coloni, funzionari, ecclesiastici, monaci; già, anche i monaci, ma mica tutti monaci come fanno credere i professori clericalmente corretti; e tanto meno di un Ordine Basiliano, che, in quanto Ordine con gerarchia e regole, nascerà solo nel 1579. In sei secoli dunque si tornò, anche se non dovunque né in maniera uniforme, a parlare il greco, s’intende quello bizantino. È per questo che da noi si dice jia, hicia, vorza... e mai una qualche forma di passato prossimo: perché in neogreco era sparito il perfetto e si usava solo l’aoristo. Non c’entra il perfetto latino, che nel latino popolare era in disuso; o è uno degli esempi di conservazione del latino. Questa precisazione nulla toglie al Rohlfs, che ebbe comunque il merito indiscusso di aver studiato i nostri dialetti con criteri scientifici; e di aver attirato l’attenzione della cultura europea su Salento e Calabria. Strinse rapporti con molti corrispondenti, e ancora viene ricordato. Badolato, dove fu spesso, gli ha dedicato una piazza. Il resto della Calabria istituzionale ha fatto poco e niente per la sua memoria.Ulderico Nisticò
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