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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Don Camillo e Peppone: il paragone non regge
Il parroco dell’Immacolata non è minimamente don Camillo: gli mancano la genuinità, l’immediatezza, la ruvida cordialità, il sorriso, il curioso rapporto diretto con Gesù e quello con le persone. Non farebbe suonare le campane per la morte di un giovane comunista scomunicato (all’epoca del romanzo), ma starebbe a controllare, mappa alla mano, se il trapasso è avvenuto o meno entro i confini parrocchiali, e guai a morire ad ovest dell’ospedale o al palazzetto, che, ope legis, è in agro di Satriano! Non farebbe le prediche fulminanti del tipo, al giovanotto della squadra parrocchiale in sfida a quella comunale e comunista, “Se non segni almeno una rete ti sfascio il sedere a pedate”, ma disserterebbe, per oscure allusioni e per tre quarti d’ora sul retismo, il centravantismo e il veritatismo, e alla fine non capiremmo se stiamo parlando di calcio o di pallavolo o, più spesso, di politica o dei fatti suoi. Non saprebbe, come don Camillo, scrutare nei cuori degli interlocutori e distinguere a fiuto chi è sincero e ruvido da chi invece è mellifluo e ipocrita: vedi i suoi cortigiani e dipendenti, e anche superiori dal nome significativo: nomen omen. No, leggete tutto Guareschi, e il paragone lo respingerete d’istinto e subito. E, soprattutto, c’è poco da scherzare: quanto sta succedendo a Soverato non è un gioco ma va preso con la dovuta accortezza, e banalizzarlo e cercare di stemperare con battute è pericoloso e fa scordare il nocciolo della questione, che è importante. Né è in discussione alcuna ideologia. Del resto, Giovannino Guareschi sotto questo profilo patì, ma, peggio, diffuse, la più desolante confusione concettuale, ed è all’origine del guazzabuglio mentale della piccola borghesia italiana: era mezzo monarchico e mezzo democristiano, mezzo anticomunista e mezzo anticapitalista, mezzo nazionalista e mezzo americano, mezzo conservatore e mezzo progressista; sempre un mezzo. Ce ne sono, del genere, anche in Soverato, e un po’, anzi molto, devono il disordine cerebrale alla lettura di “Mondo piccolo”, che è dolce e piacevole e a tratti commovente, a patto però di saperla filologicamente decifrare, e non farsi catturare dalla lettura. E che con don Tobia e Taverniti e i recenti fatti non ha niente a che spartire. Ulderico Nisticò ARTICOLO
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