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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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TOPONOMASTICA
Lo sporadico turista che, sbagliando itinerario, dovesse capitare per caso dalle parti di Roccelletta, verrebbe invitato da un cartello a visitare una “Basilica Bizantina”, da un altro, a far lo stesso con una “basilica bizantino - normanna”: le maiuscole e minuscole sono testuali. Quale dei due cartelli ha ragione? Nessuno dei due, perché quell’enorme manufatto non è minimamente una basilica, parola che, nella terminologia ecclesiastica, ha il significato di chiesa dipendente da una delle quattro Basiliche maggiori di Roma; e non significa chiesa di grandi dimensioni, come evidentemente ritiene chi ha scritto i due per altro non concordanti avvisi. Nessun cenno alla bazzecola che c’è un’intera città romana, “Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium”, con foro, basilica (in senso grecoromano, cioè edificio pubblico coperto), portico, necropoli, teatro, anfiteatro, museo, statue, iscrizioni… niente: e il turista passa dritto. Se uno transita dalla scorciatoia di Santa Maria di Catanzaro, si fa due risate. Da sempre c’era una stradina la cui intestazione era via “XXVIII ottobre”; ed io, ogni volta, facevo doverosamente un bel saluto a braccio teso e mano levata. Il 28 ottobre, infatti, è la data della Marcia su Roma, e, nel Ventennio, si facevano iniziare gli anni dell’E. F., Era Fascista, in verità non destinata a molta lunghezza di tempo: sic transit gloria mundi. Per più di mezzo secolo la stradina continuò a portare la mussoliniana denominazione, finché qualche antifascista non del tutto ignorante di storia la trovò disdicevole. Valla a cambiare tu, una denominazione, bisogna avere l’assenso di tutti, fare una pratica… e allora cosa s’inventano? Che il 28 ottobre è la data “dell’elezione a papa di Giovanni XXIII”. Bufala pazzesca, però pia. Sempre la città capoluogo. Prima della galleria del Sansinato, un grande e policromo cartello avverte che lì nacque il nome di Italia. Beh, non proprio lì, ma ancora ancora passi: ne abbiamo parlato mille volte, abbiamo rappresentato Italo in “Eutimo e Caritea” (recitavo quella parte proprio io!). Ma, avvicinandosi a Lido, un altro maximanifesto ci dice che Ulisse da lì s’imbarcò per Itaca. Che non sia minimamente vero nemmeno interpretando alla lettera l’Odissea, lo sapete e non mi ripeto: ma il buffo è che lo stesso cartellone si trova, per non scontentare nessuno, anche ai confini catacensi con Simeri. Ulisse dunque s’imbarcò sia a Lido sia a Simeri. A parte che, nella prima versione, stava scritto “quì”, peggio di “un’altro” di Claudio Maria! A Soverato non fanno difetto le denominazioni discutibili. Ci sono intanto numerose vie autogestite, arbitrariamente intestate a parenti e amici, o con lapidi private. Molte vie sono di perfettissimi sconosciuti. Peggio, vie importanti portano il nome di politicanti degli anni 1970, 80, che non solo era dubbi per qualità e moralità, ma, dopo un mese dal trapasso, non se li ricordava manco il vicino di casa. E qui colgo l’occasione per rammentarvi che una legge del 1927 (a. V. E. F.), molto seria, impone che passino dieci anni prima di intitolare qualcosa a un defunto; e perché in dieci anni magari si scoprono gli altarini, e perché se dopo dieci anni qualcuno ancora ne fa parola, vuol dire che contava qualcosa non solo per i politicanti della sua banda. Gianni Calabretta aveva riunito un’informale commissione per la toponomastica, ma i lavori diedero adito a tali sbrigliate fantasie che egli penso bene di fingere di aver perso i verbali; più o meno come Mario Caligiuri mi perse la mia proposta culturale, forse perché non era roba da sbirri e delatori e antimafia segue cena, ma era cultura. Un giorno il Comune, sindaco Mancini, decide, opportunamente, di intitolare due piazze rispettivamente a don Gnolfo e a Mimì Caminiti, primi storici di Soverato. A don Gnolfo una piazza vuota c’è, ma la solenne cerimonia non si celebrò perché giunse il veto da dove uno non se l’aspetterebbe mai, e la Giunta fece un inchino più curvo della Concordia al Giglio: anche in questo caso, Gatta ci covava! Miau. Quanto a Mimì, Mancini, dimentico del suo passato socialista, voleva disintitolare piazza Matteotti e intitolarla a lui. Richiesto, sia pure inter pocula, di un parere, gli dissi che avevo un mucchio di motivi per essere perfettamente ed entusiasticamente d’accordo e sul levare e sul mettere, ma che l’impresa era destinata all’insuccesso più clamoroso, e che bisognava trovare altro luogo per onorare lo storico. Come al solito non mi è stata data retta, e il risultato fu che Matteotti è sempre Matteotti, e Caminiti è rimasto senza piazza o via o altro. Così vale per strade e stradine intitolate ad ignoti del XIX secolo più o meno patriottici. Il peggio che ho visto nei miei infiniti viaggi, no, i due peggio sono a Gerace, e a Montalbano Ionico in Basilicata, dove ogni buco porta il nome di tizi come Amatore Sciesa, Federico Confalonieri eccetera; tutti rigorosamente settentrionali, e mancano non solo vie intitolate alla nostra storia e cultura, ma persino ai Pepe, a Poerio, a Pisacane, i quali erano sì più o meno patriottici, però ebbero la disgrazia di essere nati nel Meridione. Meno male che qui Catanzaro un po’ si riscatta, e vi si trova una caserma Florestano Pepe; secondo me, non fu merito della città ma della storiografia militare; e, infatti, tutti credono erroneamente che sia intitolata a Guglielmo. Una cosa dedicata a lui l’ho vista a Capua, ma era solo una piccola caserma dei Carabinieri. In compenso di Guglielmo campeggia una possente statua a Venezia, solo che qui non lo sa nessuno. Nella toponomastica va messo un po’ d’ordine. Ultima riflessione: allorché non ci sarò più, mi intesteranno una strada? Dubito. Non prima del 2053, comunque, dieci anni dopo di quando, secondo la vecchia magara, io sarò defunto. E non prima: io le rispetto, le leggi littorie; le altre, mi limito a subirle per strategia di riduzione del danno. Ulderico Nisticò
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