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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Scopelliti, i fondi europei e fantastoria
Mi vengono a mente paragoni storici, di quella storia che è divertente fare con i se e con i ma. Francesco II di Borbone era, dopo la morte del grande padre Ferdinando II (22 maggio 1859) il re del Regno delle due Sicilie. Oggi magari diremmo che era il presidente della macroregione meridionale. Egli aveva le seguenti belle cose: un territorio che andava dal Tronto a Gaeta a Pantelleria, e quasi dieci milioni di sudditi, con la più popolosa città d’Italia e seconda in Europa continentale dopo Parigi; un tesoro dello Stato pari a 442 milioni di lire dello Stato unitario: per capirci, quello del Piemonte era solo di 21, con infiniti debiti; un esercito di centomila uomini e una flotta modernissima e potentissima; una borghesia e una nobiltà fredde o infide o persino ostili, ma i popoli e i soldati fedelissimi alla Corona. Se re Francesco, appena saputo che il generale Landi si era lasciato battere da Garibaldi con quattro gatti male armati avesse fatto, egli sovrano assoluto, quello che in un amen aveva fatto nel 1849 il suo lontano parente Vittorio Emanuele re costituzionale con il generale Ramorino, pure lui lontano parente ma niente di meno che di Napoleone, che per molto meno di Calatafimi venne fucilato pubblicamente in Torino; se avesse licenziato i bolsi e vecchi generaloni che in vita loro tutto avevano fatto meno che la guerra, e avesse assunto personalmente il comando (nominale: di fatto poteva con più audacia dirigere la faccenda sua moglie, la sanguigna Maria Sofia!), e avesse rovesciato su Garibaldi fanterie e navi, a quest’ora la storia del Meridione sarebbe andata diversamente. Meglio o peggio non lo so; ma certo non avrebbe atteso, come attese, che don Peppino (c’è sempre un don Peppino a far danno nella nostra cronaca: noi per esempio abbiamo avuto Chiaravalloti presidente della Giunta) si pigliasse Napoli, per schierare quello che restava dell’esercito; e poco mancò che al Volturno vincesse, se i suoi generali avessero avuto quelli che educatamente chiamo i baffi, di cui erano invece del tutto privi. Andò invece malissimo, e i 442 milioni presero la via di Torino, e pagarono i debiti di Cavour. Più o meno come fa la Regione Calabria con i fondi europei. Torniamo, infatti, a noi. Se finalmente Scopelliti s’è deciso a fare la faccia feroce con i suoi generali inetti, ovvero i funzionari e passacarte, nonché assessori, ben venga. C’è tanto da fare, a voler spendere i fondi europei e non doverli rimandare a Bruxelles. Non sto ad elencare il da farsi, perché qui m’interessa piuttosto il metodo da seguire. Il quale è: 1. Mobilitare tutte le energie intellettuali della Calabria, ciascuno per la sua competenza, dimenticando per un momento parenti, amici, lobbisti, confratelli e cose del genere. 2. Sparare raffiche di bandi e simili, e subito. 3. Valutare le idee non appena vengono espresse e non sei mesi dopo e far scadere i termini come ha fatto Caligiuri con me. 4. Una volta assunta una decisione, metterla subito in opera. 5. Finanziamenti e soldi vari, erogarli al volo e non tra un decennio. Non si mai: il bello dei miracoli è che qualche volta succedono. Ulderico Nisticò
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