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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Laudator temporis acti
Naturale, dunque, che i vecchi lodino la loro perduta gioventù, soprattutto se smemorati di quello che fu davvero, di solito meno nobile e bella. La mia crescente preoccupazione è che questo atteggiamento si sta diffondendo ad ondate successive e presso i meno anziani e persino presso i giovani e i giovanissimi, i quali, a forza di temi in classe sull’inquinamento e antimafia segue cena (ma non per i ragazzi!), temono e odiano il presente e l’avvenire, e si avvoltolano sulla nostalgia del passato, che, secondo loro, sarebbe stato non inquinato, buono, onesto, casto, e soprattutto sereno e senza stress; nonché tutti si volevano bene e le famiglie stavano tutte a sentire i racconti attorno al braciere anche a mezzogiorno dell’Assunta, che è il 15 agosto. Il che non è minimamente vero. Devo fare una premessa, se no qualche lettore capisce a modo suo sbagliato. Io sono rigorosamente e ferocemente tradizionalista, e, in specie, tradizionalista cattolico. Nonostante ciò, anzi proprio perciò non sono affatto un conservatore di un bel niente, anzi, come scriverebbe Herz, sono un modernista reazionario: ritengo ciò la tecnica un potenziamento delle mie risorse. Nel lontanissimo 1953 ho imparato a scrivere a macchina, e solo qualche anno dopo a penna; ho pronunziato le mie prime parole in dialetto verso il 1957, e per questo lo parlo e scrivo a modo; ho letto il mio primo libro buonista per ragazzi verso i vent’anni, e ho scoperto che era meglio evitare. Insomma, e Dio renda merito ai miei genitori e parenti e amici, ho avuto una formazione moderna. Scrivo di cose reazionarie e non sono minimamente progressista, però scrivo al computer dal 1989, e non credo che esso sia una specie di calcolatrice per insegnanti di matematica che “a noi di lettere non serve”. Eccetera. Storico dilettante, conosco il passato davvero, e non per aver leggicchiato un libro di testo omaggio; e non sono di quelli che fanno storia “scientifica”, e spiegano l’Impero Romano con le statistiche della produzione del farro nel Lazio dell’VIII secolo avanti Cristo. Mi affascina il passato, soprattutto il Medioevo, ma esattamente perché difficile, feroce, sanguigno: leggete l’Inferno di Dante, altro che famigliole al focolare e donne di casa! A proposito, stavano al focolare non per ascoltare i noiosissimi racconti del nonno sempre gli stessi da decenni, ma perché faceva un freddo boia, e chi si allontanava era congelato. Non c’era invece il congelatore, e quindi il cibo era scarso e manco valeva manco la pena di produrlo in quanto andava presto a male; perciò incombeva il timore della fame, che è uno stress mille volte più serio del traffico e dei pessimi programmi televisivi e corrispondenze del TG3 da Varapodio. In certi pochi giorni si ammazzavano di fatica per assenza di trattori, in tutto il resto dell’anno si giravano i pollici o andavano alla bettola; e giù pessimo vino e coltellate. Le donne, angeli del focolare, mettevano al mondo un mare di figli illegittimi, e le ruote dei conventi giravano come un ventilatore di oggi; ma allora il ventilatore non c’era, e d’estate crepavano di caldo. Una vita come quella antica è sicuramente meno prevedibile e banale e noiosa proprio perché aspra e difficile, e quindi ispirava la poesia, che oggi è quasi del tutto scomparsa o è solipsismo (quelle “cose” mentali che non posso dire in questa sede); e le guerre che oggi sono tecnologiche e non solo non si compongono poemi epici, ma i giornali ne parlano a stento se pare brutto e non è politicamente corretto. Nella vita privata, gli amori erano quasi tutti proibiti, e perciò più emozionanti, mentre oggi dilaga l’anafrodisia da eccesso di epidermide femminile esposta in vendita, spesso invano perché i maschietti a scuola vengono educati da femminucce e copiano temi sulla pace. I peccatori non accampavano scuse sociologiche, e se ne andavano in galera o alla forca, e, dopo defunti, nel forcone di Lucifero. Insomma, il passato era bello per motivi esattamente contrari a quello che immaginano le professoresse quando assegnano temi e gli ecologisti della domenica. A proposito, le città erano sporche da far paura; e vi scoppiavano epidemie da strage. E qui lo storico ufficiale spara la bufala che morivano i poveri e i Meridionali, e invece al Nord e i ricchi campavano cent’anni; e invece creparono di peste anche Pericle e, in seguito, Laura, quella del Petrarca, e Gian Galeazzo Visconti signore di Milano. Morivano infatti per assenza di medicine e non per la lotta di classe. Basta, ragazzi, con l’invenzione di un passato che non ci fu, e nel quale vi assicuro che vi sareste trovati molto a disagio. Per vivere in quei secoli ci volevano i baffi e una dose enorme di sano fatalismo. In Calabria, peggio che andar di notte, e io ne sono assai preoccupata: il passatismo impera non solo nei vecchietti ma, ahimè, tra i giovani e ragazzini, e guai a proporre la benché minima innovazione tecnologica e, non e ne parla nemmeno, politica, sociale e organizzativa. Nel cuore di ogni calabrotto c’è che il nonno ha fatto così, e, si sa, era nobile e molto rispettato in paese. Invece avremmo bisogno della stessa cosa che accadde qualche tempo fa a un popolo che stava messo male persino più di noi. Nel 1868 l’imperatore del Giappone, Mutshuito detto poi Mej, fece la rivoluzione contro il popolo, il quale, in parte, prese le armi contro di lui, però buscò legnate. Vinta la guerra, Mej impose a calci nei denti l’ammodernamento di tutto e del contrario di tutto tranne che della tradizione. I risultati sono sotto gli occhi del mondo. La tradizione, amici, non è il passato, è eterna: non finirà mai perché non ebbe mai inizio. Il passato, passò; il presente è labile; il futuro è un’ipotesi: la tradizione è senza tempo. Ecco, avremmo bisogno di Mutshuito anche noi, e subito.Ulderico Nisticò
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