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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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In margine a un convegno sul territorio
Intanto rifletto, non certo per la prima volta, che uno dei problemi di fondo della Calabria è la scarsa conoscenza del territorio, e l’ancor minore consapevolezza. Gli intellettuali calabri, in genere, sono personcine il cui posteriore è in simbiosi con la sedia, non vanno mai da nessuna parte, studiano i viaggiatori forestieri del XIX secolo e non il territorio del XXI; a farla breve, urgono alcune considerazioni a vantaggio dei lettori intelligenti, e soprattutto dei giovani e di chi deve operare sul territorio medesimo. La Calabria per natura è una terra di collina e di montagna, sia pure vicinissime, a picco sul mare. Le popolazioni più antiche – Itali, Siculi, Enotri… - vivevano nell’interno; Soverato, come il solito, faceva eccezione pure nella protostoria, e abbiamo le tombe sicule sulla spiaggia. Sibari e Crotone vennero collocate in due delle poche pianure ioniche, ma estesero i territori alla Sila e verso il Tirreno, finché la ristrettezza degli spazi condusse le due città alla guerra a morte; ma Locri, ultima arrivata e con alle spalle l’Aspromonte, dovette fondare sub colonie a Ipponio e Medma; così Reggio, che cerco spazi in Sicilia. Certamente queste città greche costiere erano integrate con l’interno, fino all’assimilazione alla cultura greca degli indigeni. In età romana la nostra terra aveva perduto da tempo la funzione commerciale; vi vennero però dedotte molte e prospere colonie lungo le grandi strade: la Popilia da Polla a Reggio; il dromos, forse Aquilia, da Reggio a Taranto. E lungo la Trasversale da Scolacio a Vibo V.: c’era, all’epoca; e guai a chi ride! Un trasferimento lento verso l’interno dovette avvenire abbastanza presto, se Cassiodoro parla di Scolacio come di un grappolo d’uva appoggiato alla collina, ma ancora fino al IX secolo le coste sono abitate. Le cronache antiche calabresi attestano una fuga di fronte all’invasione saracena, “a cercare rifugio tra i boschi come le bestie”. Ce n’è ragione: la pace romana e bizantina, affidando la difesa a truppe professionali, aveva allontanato dall’immaginario dei popoli ogni idea di guerra, e la sola speranza era scappare. Nell’888 però l’ammiraglio Nasar e il generale Niceforo Foca battono i Saraceni e li cacciano dagli emirati di Amantea, Tropea, Santa Severina, Squillace. Sono trascorsi quarant’anni dalla fuga, due generazioni; e i nipoti dei pacifici e molli cittadini sono diventati pastori e contadini e boscaioli, e “uomini valenti” alle armi. Maschio guerriero in greco si dice anèr, valente si dice agathòs: sarà certo politicamente scorretto, farà dispiacere ai professionisti dell’antimafia segue cena, ma questa è l’etimologia di ‘ndrangheta. Lo storico se ne impipa delle ideologie, e racconta i fatti. Questi uomini valenti e armati si disposero a difendere attivamente il territorio, soprattutto da quando l’imperatore Niceforo II Foca, nipote del generale, ordinò quello che gli antichi hanno riferito come “ascendant ad montes”, il progetto strategico di costituire una linea di paesi fortificati, in greco bizantino kastellia. Questa è l’origine dei nostri paesi collinari, tutti ben visibili l’uno dall’altro e dal mare; tutti molto vicini per sentieri; tutti con strade strette e tali da costituire di per sé un ostacolo ai male intenzionati. Siccome però non c’è difesa materiale che resista, se non ci sono i difensori (la Muraglia cinese, la Linea Maginot con soldati mollaccioni crollarono miseramente di fronte ad assalitori audaci e decisi), la genuina forza dei paesi erano gli abitanti, con le loro tradizioni di seriosità e animosità. Niceforo inviò coloni da ogni parte dell’Impero, purché fossero di fede cristiana, obbedienti all’imperatore che rappresenta Dio, e di lingua greca; vennero portando con sé i santi greci di cui la leggenda fece traslazioni miracolose: Agazio, Gregorio Taumaturgo, Sostene, Caterina d’Alessandria, Andrea, Teodoro, Barbara… Molti sono santi guerrieri: Agazio e suo fratello Sostene sono raffigurati armati; Barbara è la patrona dei soldati; Teodoro, dell’esercito imperiale. Cristo e Maria sono raffigurati in vesti da Basileus e Basilissa. È per questo che ci chiamiamo Nisticò e Macrì e Condo eccetera; e che spesso parlando usiamo parole greche senza saperlo o accorgendocene per altri motivi; e la nostra sintassi è quella greca medioevale. Forse secondo la provenienza dei coloni si spiegano in parte le nette differenze di dialetto tra paesi contigui. Il sistema resse una prima volta contro i Saraceni, una seconda contro i Turchi; avvennero infatti incursioni e saccheggi, mai riuscì un tentativo di conquista. I paesi sono posti anche per la comodità dei pastori, che conducono le greggi d’inverno al mare, d’estate in montagna. Proteggono le valli e si giovano dei fiumi, ma se ne tengono lontani. Hanno intorno un po’ di terra coltivabile e i boschi. Di questo tempo bizantino restano memorie materiali: Stilo, la chiesetta del Campo a S. Andrea, S. Gregorio Taumaturgo e le laure eremitiche a Stalettì; e molte memorie storiche. Insomma per studiare il territorio e proporre interventi bisogna conoscerlo. Ulderico Nisticò
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