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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Esami di maturità
La Scuola italiana nel suo impianto generale è retta dalla Riforma di Giovanni Gentile del 1923, voluta da Mussolini e concepita dal grande filosofo, ministro della P. I. Nel 1939 il ministro dell’allora detto Educazione Nazionale Giuseppe Bottai varò una radicale modifica, istituendo la Media Unica e ristrutturando i corsi superiori in Ginnasio Liceo, Liceo Scientifico, Istituti Tecnici di diverso indirizzo, quinquennali, e Magistrale quadriennale; conservando il principio, sancito da Gentile, che il corso di studi si concludesse con un esame di Stato. La Riforma Bottai è quella attualmente in vigore, e i governicchi e parlamenticchi che seguirono non hanno potuto e saputo fare altro che chiacchiere e convegni segue cena. La sola innovazione fu, e abbastanza in peggio, gli esami. Nell’impianto Gentile e Bottai, il candidato sosteneva esami scritti e orali su tutte le materie dell’ultimo triennio. Nel dopoguerra qualche ministro buonista si contentò dell’ultimo anno più riferimenti; e tale esame sostenne nel 1968, ultimo della storia, chi scrive queste righe. Poca roba: tema di italiano, versione in latino, versione dal latino, versione di greco; colloquio orale di italiano, latino, greco, arte, detti gruppo lettere; e storia, filosofia, matematica, fisica, geografia generale, dette gruppo scienze, in due giorni diversi; e in mezzo, per gradire, educazione fisica orale e pratica in un giorno a parte. Esempio di programma di italiano: dal Monti (Vincenzo!) ai contemporanei con infiniti versi da commentare, tra cui tutti i Sepolcri; latino e greco, molte centinaia di versi e capitoli di prosa su cui essere interrogati a colpi di paradigmi e metrica; storia, tutti i particolari più minuti, con date e nomi… eccetera. L’educazione fisica pretese da me che salissi la pertica, cosa mai prima e mai dopo avvenuta in vita mia. Chi veniva promosso a giugno con tutti sei senza rinvio a settembre, passava per dotto; con il sette, gloria; con la media dell’otto, qual fu la mia, veniva pubblicato sui giornali ad esempio delle generazioni future. Frequenti i rimandati e non rari i bocciati a sangue! Il mio luminoso esempio non venne colto da nessuno, giacché l’anno dopo, ad anno scolastico a metà, accadde qualcosa di incredibile assurdo: l’esame sperimentale con due scritti, due materie una scelta dal candidato e l’altra la più favorevole; e programmi ridotti alla miseria. L’esperimento, dovuto a un tal Sullo e giustificato con diluvi di blateramenti pedagogici, si disse di un quinquennio e durò trentasette anni 37 – alla faccia della sperimentazione – e consentì ai fanciulli la maturità gratis e per il solo fatto di esistere; e alle commissioni suscettibili di corruzione ogni possibile e immaginabile sorta di mercimonio dei voti e trucchi. Infatti non esistevano voti dall’ammissione all’ultimo istante, e i cosiddetti giudizi consentivano di dire tutto e il contrario di tutto, formulandosi il numero solo alla fine. I maturi della domenica andarono a riempire le università nel frattempo moltiplicate a iosa. Ciliegia sulla torta, libero accesso a tutte le facoltà da qualsiasi provenienza: come dire che uno può iscriversi a lettere classiche senza il liceo! È successo, lo giuro. Ci si accorse infine dell’indecenza. Nel 1997 era ministro Luigi Berlinguer, l’unico che abbia mai tentato una riforma sensata: e infatti il suo presidente del Consiglio, il compagno D’Alema, provvide d’urgenza a cacciarlo e a mettere al suo posto un pacifico e inoffensivo vocabolario, il De Mauro. Fece però a tempo Berlinguer a restituire un po’ di onestà all’esame, che, con qualche scossone negli anni seguenti, funziona attualmente così: - I tre anni finali formano un punteggio detto credito, ottenuto con le medie dei voti, fino a 25 punti; - Tre prove scritte possono giungere fino a 45 punti; - Il colloquio fa ottenere fino a 30 punti; - La commissione può assegnare un bonus fino a 5 punti. È certo un sistema non del peso dei miei tempi, ma mille volte più serio dell’esperimento sullesco. E non consente trucchi. Se infatti un fanciullo ha totalizzato, poniamo, 25 punti di credito nei tre anni, è aritmetico che arrivi facilmente a 100; se ne ha 15, arriva a 75 al massimo, e non c’è raccomandazione che tenga; quella raccomandazione che imperava sovrana ai tempi dei “giudizi”: con i numeri, non si dialoga, hanno sempre ragione loro. Ed è improbabile che il detto fanciullo, dopo tre anni di 6 e mezzo, scriva improvvisamente un ottimo tema (non lo sa manco copiare), e non parliamo di greco e matematica. Meno che meno lo stentato farà furori all’orale, salvo che l’intera commissione sia corrotta e connivente, il che è statisticamente improbabile. I membri interni non possono infatti sconfessare se stessi, e dichiarare un inaspettato genio chi hanno promosso a stento per tre anni. Insomma, meglio che niente questo esame è. L’ho scritto per i ragazzi, ma anche, ma soprattutto per le mamme, tante di loro ancora convinte che “professore, se volete… ”; e se il bimbo o la pupetta prendono mezzo voto in meno del desiderato da mamma, vi levano il saluto per un’era geologica e mezza. Ulderico Nisticò
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