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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Per l’onore delle nostre armi
Iniziamo con i paragoni. Sorvolo su Polonia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, i cui eserciti sparvero in un amen; ma la Francia, che si considerava la prima Potenza terrestre del mondo, resistette diciotto giorni tutto compreso all’attacco germanico del 1940, che da Sédan dilagò in tutto il territorio fino a Parigi, trovando come solo ostacolo la fuga scomposta delle popolazioni civili; scomposta ma breve, e milioni di Francesi fecero ordinata fila per andare a lavorare in Germania, ben pagati in marchi. L’Italia, con alterne vicende, sostenne per tre anni, dal giugno del 1940 all’estate del 1943 la guerra contro l’Impero Britannico (un quarto delle intere terre emerse!), cui si aggiunsero gli Americani. Nei tre anni, l’Italia commise sì errori e mostrò alcune debolezze, ma occupò e mantenne la Grecia (un discorso a parte sui primi mesi del conflitto, decisamente gestiti con i piedi da Badoglio e Ciano), la Iugoslavia e l’Africa Settentrionale. Quanto alla Marina, dopo Taranto (ottobre 1940) le corazzate e navi colpite, ma non affondate, tornano in linea entro sei mesi; la Marina inglese perse definitivamente due corazzate ad Alessandria per mano dei nostri incursori, una per siluro tedesco, una venne gravemente danneggiata da aerosilurante Savoia Marchetti; e, dal 1941 allo sbarco americano ad Algeri, il dominio tattico italiano del Mediterraneo fu quasi incontrastato, culminando con le due grandi battaglie dell’estate 1942, Mezzo giugno e Mezzo agosto. Vero però che il poco naviglio superstite britannico, mostrando l’audacia tradizionale, arrecò gravi danni ai nostri trasporti proprio nel momento più delicato dell’offensiva in Egitto. In quasi tutte le operazioni terrestri e navali italiane fu presente l’alleato tedesco, superiore, come al nemico, così a noi per tecnologia e organizzazione. Ma anche gli Inglesi resistettero per i rifornimenti americani, e americano fu il primo carro capace di equiparare quelli germanici, lo Sherman. I carri britannici Mathilda e Valentine erano più o meno equivalenti ai nostri M 11, 12, 13, 14 o 15 tonnellate. Quelli francesi non avevano fatto testo! “Scatole di sardine” erano stati i carri leggeri da 3 tonnellate, ottimi durante la guerra d’Etiopia o quella di Spagna, ma inadeguati al grande conflitto. Quali erano i limiti delle Forze Armate italiane? Non nel peso dei carri! Altri erano i problemi: una mentalità da Prima guerra mondiale degli Alti Comandi, senza ammodernamento di concezioni strategiche; la moltiplicazione delle grandi unità e relativi generali; il macchinoso e spesso insufficiente coordinamento di Marina e Aereonautica; qualche arretratezza negli armamenti individuali. Tutto, tranne la scarsa combattività. I nostri fanti, marinai e avieri si batterono con il massimo ardore, come venne riconosciuto e dall’alleato tedesco e dal nemico. Non possiamo permettere al primo venuto di vilipendere la memoria di milioni di combattenti e Caduti, e di Alfredo Comito, di Sarro Sinopoli… L’8 settembre 1943 il re e Badoglio speravano di voltare gabbana e passare al nemico. Un vecchio proverbio francese, risalente alle guerre del Settecento, recitava così: “Casa Savoia non finisce mai la guerra dalla stessa parte dove l’ha iniziata, a meno che la guerra non sia abbastanza lunga da cambiare due volte”! gli Angloamericani non volevano un’Italia alleata, ma solo la resa senza condizioni, e imposero la pubblicazione dell’armistizio. Colte di sorpresa, le Forze italiane vennero assalite e in gran parte catturate dai Tedeschi traditi ma non sorpresi, anzi pronti all’evenienza di un ribaltone sabaudo. E – altro che scarsa voglia! – si scatenò per venti mesi una guerra civile sanguinosa, che vide ricostruirsi Forze armate della Repubblica Sociale Italiana, da 800.000 a un milione di uomini (e donne: a tutt’oggi la sola signora italiana a rivestire il grado di generale è Piera Gatteschi, comandante delle Ausiliarie della RSI), e dall’altra parte un 10.000 regolari badogliani in divisa inglese, e (cifre ufficiali dell’ANPI nell’immediato dopoguerra, e non state a sentire le bufale posteriori!), 80.000 (ottantamila) partigiani: non moltissimi, ma un bel numero. Altro che rassegnazione e mitezza d’animo: gli episodi di ferocia da entrambe le parti mostrano a iosa che gli Italiani non avevano nessuna voglia di pace, il contrario! Che se sa, lo storico per sentito dire, di una Marina di oltre settecento unità, da corazzate potentissime alla più numerosa flotta sottomarina del mondo, ma senza portaerei; dei pregi e dei limiti dei nostri aerei da caccia e bombardamento? Che ne sa, delle guerre precedenti stravinte dall’Italia: la Libia, cento anni fa; la Prima mondiale; l’Etiopia, la più grande guerra coloniale della storia mondiale; appena pochi mesi prima della Seconda guerra mondiale, la grande vittoria in Spagna contro i repubblicani e le brigate internazionali armati di materiale francese e russo, e dell’abbattimento di novecento aerei nemici? Vittorie che, bisogna dirlo, ci illusero di essere più potenti che non fossimo in realtà, e ci fecero arrivare scanzonati di fronte a un impegno assai più grave del previsto. Ma era un vizio diffuso: quando il dittatore polacco Beck si oppose a che la città tedesca di Danzica tornasse alla patria, lo fece con queste parole: “Tra una settimana prenderemo Berlino”, e voleva farlo, in piena guerra tecnologica, con le due potentissime trenta divisioni di cavalleria equina. Com’è finita, lo sanno tutti: tranne, ovviamente, Raffaele. Errori e carenze furono colpa del Regime, certo, che non riservò alle Forze armate la stessa attenzione che dedicata alle bonifiche, ferrovie, scuola, ferrovie, strade, industrie, fondazioni di città, totale repressione della mafia (ce la riportarono gli Americani), salute della popolazione… Ma, alla fine, anche Napoleone è stato sconfitto; e anche Annibale, anche Pirro, anche Hitler… anche gli Americani sono scappati a gambe levate dal Vietnam, e pure in Afghanistan non è che se la stiano cavando tanto bene. Anche l’Italia, nel 1943, ha perso la sua guerra: per molte cause, ma non per mancanza di valore dei suoi militari; o perché questi avessero delle riserve mentali, o magari volessero bene al nemico inglese. Vero altresì che ci furono dei traditori, tanto che, nel durissimo Trattato di pace del 1947, l’Italia si dovette impegnare a non processarli: articolo 16. *** Alamein non decise la storia? Eh, se si conoscesse almeno la geografia! Poniamo che l’Asse italotedesco avesse vinto ad Alamein, e le conseguenze sarebbero state esiziali per gli Inglesi: le nostre truppe avrebbero raggiunto il Canale di Suez e i Paesi arabi e musulmani, già ideologicamente schierati con noi: nel 1941 l’Iraq, di fatto dominio britannico, si ribellò e si alleò con Italia e Germania, sebbene l’episodio sia stato di breve durata; il Gran Muftì di Gerusalemme viveva in esilio tra Berlino e Roma, dopo i primi scontri del 1929 e 1936 tra Arabi e coloni ebraici; i giovani ufficiali egiziani Nasser e Sadat erano iscritti al Fascio clandestino di Alessandria. Sarebbe stata raggiunta l’India inglese, su cui puntavano già i nostri alleati Giapponesi. Il risultato strategico di maggior rilievo di una vittoria ad Alamein sarebbe stato puntare, attraverso la Mesopotamia, al Caucaso, e togliere ai sovietici i rifornimenti di petrolio di Baku e del Caspio, principale loro fonte energetica e di carburanti, causandone il crollo. Il Caucaso era un obiettivo essenziale cui miravano i Tedeschi dall’Ucraina, e avevano chiesto proprio a tal fine la presenza delle nostre truppe alpine, altrimenti inspiegabile; e causa stessa della manovra che s’infranse a Stalingrado. Non ci sarebbe stata alcuna Stalingrado, se avessimo vinto ad Alamein; e tanto meno uno sbarco in Normandia due anni dopo. E forse persino Churchill avrebbe capito quanto fosse insensato che gli Europei si dilaniassero tra loro per permettere, nel 1945, ad Americani e Russi di spartirsi l’Europa. Fu lo stesso inglese a pronunziare la plebea ma efficace frase: “Abbiamo ucciso il porco sbagliato”, quando vide Stalin piazzare le sue truppe sull’Elba: il porco sbagliato, secondo lui? La Germania. Era esattamente quello che aveva detto Mussolini nel 1933 proponendo il Patto a quattro; e lo stesso Hitler subito dopo la riconquista di Danzica. Ma ora sto andando troppo oltre per uno storico d’accatto. Chi vuole saperne di più e meglio, legga – un po’ di autopubblicità non fa male, via – il mio “Abele e Caino. Storie della guerra mondiale 1814-2001”, Rubbettino 2002.Ulderico Nisticò ARTICOLO CORRELATO
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