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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Piccole Province spariscono!
La vera novità nazionale, se le cose andranno come devono, non è tanto che le Province scenderanno di numero e avverranno gli accorpamenti, compreso questo ritorno dei figliuoli prodighi calabri; è che viene ripensato il concetto stesso di Provincia, e questo merita una riflessione di filosofia della politica. Eh, in questa Calabria è mai possibile che debba fare tutto io? E che delle tre università statali e una non si sa, e dei dotti che piangono antimafia segue cena ed emigrazione ben retribuita, nessuno abbia ritenuto suo dovere intervenire? Tutti muti, tutti omertosi e paciosi? Segue cena. Bah, diamoci allora da fare anche al posto dei filosofi stipendiati. Province e Regioni sono due concetti intrinsecamente diversi, direi opposti, e la loro convivenza dal 1970 è un mostro politico e giuridico, ovvero il solito compromesso all’italiana. Le Regioni sono storiche, segnate da un’identità culturale e linguistica, a volte persino etnica: la Toscana, per esempio, corrisponde al Granducato entro i confini del 1847-59, con qualche lieve modifica fascista a favore di Forlì; il Friuli è l’antica Patria, dominio del patriarca di Aquileia; la Liguria, la Repubblica di Genova; Sardegna e Sicilia, due regni... il Meridione, conquistato nel 1860, venne smembrato proprio per poterlo controllare, ma questo è un altro discorso. Così potremmo addurre innumerevoli esempi in tutta Europa. Le Regioni dunque preesistono agli Stati unitari. Le Province, istituzione romana, sono invece emanazione del potere centrale, che le crea e le sopprime e ne modifica i confini e gli assetti secondo esigenze non locali ma generali e statali. Nella versione moderna, sono un effetto della centralizzazione francese iniziata con Luigi XIV e perfezionata da Napoleone I, e da lui estesa a tutta l’Europa direttamente o indirettamente dominata. Quando il Piemonte si annesse gli altri Stati italiani (1859-61), impose il suo ordinamento napoleonico rigidamente centralista. Le Province sono dunque tutte uguali, tutte sottoposte alla stessa legge, senza alcuna autonomia decisionale. Si aggiungono alcune competenze particolari come strade e scuole superiori, però non esiste che un Liceo di Milano possa essere anche leggermente diverso da uno di Agrigento. Pare che Monti voglia, di fatto, abolire le Province come le fece Buonaparte, e renderle, come è logico, degli enti subregionali. Se ho capito bene, finirà l’anomalia giuridica, e lo Stato sarà diviso in Regioni e le Regioni in Province, e le Province in comuni, secondo questa gerarchia. Le Regioni conserveranno – depurate dagli sperperi – alcune importanti autonomie, e le Province le applicheranno nel territorio. Se non cade Monti, se non cambia idea come gli succede o gli fanno succedere spessissimo. E torniamo a noi. La Provincia di Catanzaro avrà un territorio vasto, con quattro centri urbani importanti: Catanzaro, Lamezia, Crotone e Vibo; e alcuni centri minori notevoli: Cirò M., Soverato, Serra S. B., Tropea, Pizzo; e troppi Comuni piccoli e piccolissimi, alla cui abolizione è il caso di pensare al più presto. Aveva un tempo due nuclei industriali, Crotone e Vibo, praticamente scomparsi; la patria del pubblico impiego, Catanzaro, lo perde pezzo a pezzo ogni anno; restano due punti di potenziale forza: il turismo e le piccole aziende di trasformazione delle risorse locali. Occorre un radicale ripensamento degli assetti sociali e produttivi. Occorrono infrastrutture, a cominciare dalle strade. Ecco un compito per la Provincia di Catanzaro: e per Provincia non intendo qui i burocrati e i pochi politici che Monti lascerà, spero pochissimi davvero; intendo l’opinione pubblica e, brutta parola per capirci, gli intellettuali. Soverato e il Basso Ionio sono, nella nuova Provincia, un’area di evidente emarginazione. Non producono nulla di rilevante; si sono riempiti, ai tempi deprecati della Prima repubblica, di passacarte; il turismo non si è molto evoluto dagli anni 1980, anzi peggiora. Dal Corace all’Assi, si contano 28, dico ventotto Comuni, con una popolazione totale inferiore alla sola Lamezia. Nulla è la rappresentanza politica; scarsissima la partecipazione personale in qualsiasi occasione: esclusi i presenti, ma io rappresento me stesso e basta. Urge una riflessione, o, in una Provincia povera, noi saremo i poveri più miseri. Se non temessi di scatenare la canea di tutti gli storici della domenica, porrei anche una piccola questione. A me non piacciono le “Provincia di Catanzaro” e simili, residuati giacobini e della mentalità illuministica che preferisce il citoynen al paysan, la città al territorio. Mi piacerebbe una denominazione che si riferisse a tutto il territorio, non a una sola città, per altro, nel nostro caso, nemmeno grandissima, anzi... Nei ritagli di tempo, pensateci. Evitate, ovviamente, bufale e fantasie. Ulderico Nisticò
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