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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò |
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Studiamo Mameli? Allora, studiamolo
1. Scipio. A parte che è una licenza poetica per Scipione (le parole italiane derivano dall’accusativo e non dal nominativo), quanti sanno che è Publio Cornelio Scipione Africano Maggiore? Dopo l’uccisione di padre e zio, prese il comando delle truppe di Spagna appena venticinquenne, e inaugurò così la degenerazione delle istituzioni repubblicane; con abilità e fortuna conquistò l’Iberia, e nessuno si accorse che si era lasciato passare sotto il naso Asbrubale; impose e realizzò la spedizione in Africa, e sconfisse Annibale a Zama; fu di fatto il vincitore di Magnesia contro Antioco III. Aprì Roma alla cultura greca. Accusato di peculato dal tradizionalista Catone, morì esule. 2. Le gesta di Scipio e la sua fronte cinta di vittoria, come leggete, non sono per nulla pacifiste e nemmeno difensive della patria, bensì del più squisito imperialismo di conquista: spiegatelo, ai fanciulli! 3. Spiegate al professore di religione postconciliare che, secondo l’inno, le glorie scipioniche sono state concesse direttamente da Dio affinché la vittoria fosse schiava di Roma. 4. Peggio che peggio con la strofa seguente, che va avanti a colpi di cose ritengo ignote ai libri di testo, essendo questi palesemente scopiazzati da testi francesi e perciò privi di cose italiane: Legnano (vittoria del 1176 dei Milanesi contro Federico I Barbarossa); Ferruccio (Francesco Ferrucci, fiorentino, ma in verità battuto e ucciso dal capitano calabrese Fabrizio Maramaldo per vendicare l’assassinio del suo messo impiccato contro le leggi di guerra); Balilla (un ragazzo genovese che nel 1746 avrebbe incitato alla rivolta contro truppe asburgiche e piemontesi; e qui attenti: di Balilla era pieno il Fascismo, compresa l’utilitaria FIAT); i Vespri (insurrezione ghibellina dei Siciliani nel 1282 contro Carlo d’Angiò, e guerra europea ventennale). Vuoi vedere che qualcuno dovrà ripassarsi – diciamo ripassarsi – l’intera storia nazionale? Peggio mi sento con la strofa seguente, in cui l’inno se la piglia con l’Austria, e il prof dovrebbe spiegare, e aver prima chiaro, che la nemica in parola non è la piccola e pacifica repubblica federale di oggi, per altro nostra alleata e membro dell’U. E., bensì l’Impero d’Austria, esteso alle attuali Austria, R. Ceca, Veneto, Trentino, Lombardia, Slovacchia, Croazia, Slovenia, Ungheria, mezza Romania e una buona fetta di Polonia. A questa l’inno accenna deprecando che i cosacchi assieme all’Austria abbiano bevuto il suo sangue, riferendosi niente di meno che a fatti del 1831. Boh! Se poi bisogna studiare a scuola Mameli come poesia, allora il professore dovrà mostrare senso critico e dire che la lirica patriottica italiana dell’Ottocento è ricca forse di sentimento, ma sulla forma è meglio sorvolare. Vero che l’inno è solo un po’ meno peggio di “Me ne andavo un mattino a spigolare quando ho visto una barca in mezzo al mare”, ma non ci vuole molto. Se non si fa un’esegesi stilistica, i ragazzi escono convinti che queste cose sono poesia e letteratura, e scrivono pure loro prose e versi ugualmente orrendi. La poesia è altra cosa: mica è il contenuto, è la forma. Ulderico Nisticò
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